Civile

Testamento, la consulenza tecnica è indispensabile per la prova dello stato di incapacità del de cuius

Lo precisa la Cassazione con l'ordinanza n. 4518/2021

di Andrea Alberto Moramarco

L'ammissione della consulenza tecnica costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito. Tuttavia, il medesimo giudice non può, «da un lato, negare ingresso all'istanza di consulenza tecnica e, dall'altro, ritenere al contempo indimostrati i fatti che, per effetto della consulenza stessa, si sarebbero potuti, invece, provare». Ciò vale soprattutto quando oggetto dell'accertamento sono elementi rispetto ai quali la consulenza si presenta come lo strumento di indagine più efficiente, come nel caso della capacità a testare del de cuius al momento del testamento. Ad affermarlo è la Cassazione con l'ordinanza n. 4518/2021.

La vicenda
All'origine della controversia c'è l'impugnazione di un testamento pubblico con cui una signora, istituita erede con un testamento olografo nel 1986, contestava la capacità di intendere e di volere della defunta nel momento in cui nel 2003, circa un anno prima della sua morte, la stessa redigeva un testamento pubblico con cui revocava il precedente atto e istituiva erede un'altra signora.
Il Tribunale prima e la Corte d'appello poi negavano però che al momento di redigere l'atto la de cuius fosse incapace di intendere e volere. In tal senso, infatti, dovevano essere lette le testimonianze del notaio rogante e del medico di fiducia dell'anziana signora, «ritenute particolarmente attendibili e qualificate per la loro provenienza», alle quali perciò «bisognava riconoscere una valenza probatoria maggiore rispetto alle dichiarazioni di segno contrario».
Il verdetto di merito veniva così impugnato in Cassazione dall'erede del primo testamento, la quale sottolineava come la conclusione dei giudici di merito non fosse affatto lineare, posto che dalle stesse testimonianze del notaio e del medico si evinceva che l'anziana signora «alternava periodi di lucidità a periodi più soporosi». Inoltre, la richiesta della stessa attrice di nominare un consulente tecnico medico legale, al fine di accertare l'eventuale stato di incapacità di intendere e di volere della de cuius al momento del secondo testamento, non era stata affrontata da entrambi i giudici di merito i quali, dopo essersi riservati, non avevano assunto alcuna decisione in merito, sostanzialmente impedendo di assolvere l'onere probatorio.

La decisione
Quest'ultimo rilievo coglie nel segno e induce la Suprema corte ad accogliere il ricorso e rinviare nuovamente alla corte territoriale per una nuova valutazione. Il punto dirimente della questione sta, dunque, nella mancata disposizione della consulenza tecnica, strumento con il quale l'attrice avrebbe potuto provare a dimostrare lo stato di incapacità della testatrice. Del resto, il quadro risultante dalle testimonianze non era univoco nel senso di una assoluta capacità di intendere e di volere della de cuius al momento del testamento, ragion per cui la consulenza tecnica avrebbe consentito di fugare ogni dubbio.
In altri termini, precisa il Collegio, seppur la Corte d'appello «abbia riconosciuto la prevalenza delle dichiarazioni testimoniali che deponevano nel senso della capacità cognitiva della testatrice, la decisione nel suo complesso non è fondata sul positivo riscontro di uno stato di capacità della stessa testatrice, tale da rendere superflua la consulenza tecnica». Con tale strumento, infatti, si sarebbe potuto dare la possibilità alla parte attrice di provare l'incapacità della de cuius, essendo la consulenza tecnica in linea di principio uno strumento di indagine efficiente. Pertanto, conclude la Cassazione, la corte territoriale è incorsa nella violazione delle norme sull'onere probatorio, «avendo ritenuto indimostrati i fatti che, per effetto della consulenza stessa, si sarebbero potuti, invece, provare».

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