Trading online con clausola di recesso
Nel trading online sono nulli i contratti che non contengono la clausola che prevede il recesso entro sette giorni. Una nullità che il giudice è tenuto a rilevare d’ufficio e che scatta anche se l’investitore non ha manifestato la volontà di fare una marcia indietro. La Corte di cassazione, con l’ordinanza 19161, accoglie il ricorso con il quale si chiedeva la revoca di un decreto ingiuntivo per il saldo di due conti correnti e veniva proposta una domanda riconvenzionale per affermare la nullità di tutti i contratti di investimenti titoli, stipulati fuori dai locali commerciali della banca. Alla base della richiesta l’omessa indicazione della facoltà di recesso, prevista dall’articolo 30 del Testo unico della finanza. Ad avviso della Corte territoriale non c’erano però i margini per accogliere l’istanza, visto che l’investitore non aveva mai espresso l’intenzione di recedere dai contratti, nei tempi indicati dal Tuf.
Ma per la Suprema corte la volontà di recesso è un elemento ininfluente a fronte dell’obbligo del giudice di rilevare d’ufficio la nullità negoziale. Rilievo che è d’obbligo anche quando, come nel caso esaminato, si tratta di una nullità “speciale” o di “protezione”. Un passo che, se non avviene in primo grado, deve essere fatto in fase di appello.
Per la Cassazione la Corte territoriale ha sbagliato poi a considerare la nullità non rilevabile solo perché la parte non aveva fornito una ragione per la richiesta in tal senso.
Né, sottolineano i giudici di legittimità, può passare la tesi secondo la quale è necessario che l’investitore dimostri di aver manifestato la volontà di recedere dal contratto: condizione che non rientra nella previsione di legge e non regge sul piano della logica.
La questione in gioco è, infatti, relativa al diritto dell’investitore di ”rinunciare” al contratto entro i sette giorni dalla stipula fuori sede.
Un diritto «che, evidentemente - scrivono i giudici - l’investitore non avrebbe modo di esercitare, in mancanza della disposizione che, in conformità a quanto prescritto dall’articolo 30 del Tuf, glielo accordi». La possibilità di un ripensamento nei termini , in assenza di una indicazione convenzionale - conclude la Cassazione - si potrebbe giustificare solo se si ipotizzasse la nullità parziale del contratto, prevista dall’articolo 1419 del Codice civile. La via è però preclusa proprio del Tuf che “punisce” con la nullità totale l’omessa indicazione del diritto di recesso.
Corte di cassazione - Ordinanza 19161/2020