Società

Transfer pricing domestico, la Cassazione interviene per riequilibrare il perimetro normativo

Nota a Corte di Cassazione Sezione TRI Civile Ordinanza 24 marzo 2021 n. 8176

di Monica Peta*

La Suprema Corte con l' ordinanza n. 8176 del 24 marzo 2021 , si è pronunciata in tema di "transfer pricing domestico" con l'intento di voler (ri)equilibrare il perimetro normativo.

A riguardo afferma più principi sostanziali, ed in particolare:

a. le transazioni tra società infragruppo residenti nel territorio nazionale effettuate ad un prezzo diverso dal "valore normale" non sono indice di per sé, di una condotta elusiva, ed esclude la disciplina internazionale dell'art. 110 comma 7 d.p.r. n. 917/1986;

b. il valore normale deve attenere alla "sostanza economica" dell'operazione che va posta a confronto con analoghe operazioni stipulate in condizioni di libero mercato tra soggetti "indipendenti"

c. la valutazione sull' antieconomicità della condotta deve essere effettuata tenendo in debita considerazione la logica del gruppo, valorizzando il possibile riproporzionamento dell'interesse collettivo con quello delle singole consociate.

Il tema del transfer pricing torna periodicamente in auge, a causa dei dubbi interpretativi della normativa, insiti nella valutazione del presupposto di elusività fiscale di talune operazioni societarie infragruppo e delle diverse posizioni assunte nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità.
La cessione di beni ad un prezzo diverso dal "valore normale" fra società dello stesso gruppo, tutte residenti nel territorio dello stato, può raffigurare un rilevatore di condotta antieconomica che accende la lente d'ingrandimento dell'Amministrazione Finanziaria, con la conseguente ipotesi di un'azione accertativa analitico-induttiva, ai sensi dell'art. 39 comma 1, lett. D), del DPR 600/73.
L'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità più recente, appare oramai conforme nel sostenere il principio per il quale, "la valutazione di antieconomicità di un'operazione transfer pricing deve essere effettuata tenendo in debita considerazione la logica del gruppo, ovvero valorizzando il possibile riproporzionamento dell'interesse collettivo con quello delle singole società sorelle".

La fattispecie dell'ordinanza in commento, prende le mosse da una contestazione dell'A.F. nei confronti di una s.a.s., esercente attività di vendita ortofrutticoli all'ingrosso, che per soli tre mesi ha acquistato dalla s.r.l. dello stesso gruppo, prodotti ad un prezzo superiore a quello di mercato, con successiva rivendita ad un costo inferiore a quello di acquisto, realizzando un margine negativo. La società s.r.l. cedente, la cui compagine societaria coincideva con quella della s.a.s. cessionaria, peraltro nello steso anno di imposta acquistava l'intera attività della medesima s.a.s..Per l'Agenzia delle Entrate, la cessione "infragruppo" denotava una condotta antieconomica tale da giustificare l'accertamento induttivo. Il giudizio di merito si concludeva a favore della società contribuente. Il giudice di appello rivelava che l'intera operazione a marginalità negativa di per sé non era idonea a giustificare la ripresa induttiva, giacché la perdita secca maturata nella s.a.s. era stata portata in essere per un periodo di tempo limitato ad appena tre mesi, e la contabilità era formalmente regolare.La Corte inquadra il caso sopra esposto, in un'ipotesi tipica di "transfer pricing domestico", a cui per espressa previsione dell'art. 5, comma 2, D.lgs.n. 147/2015, non deve ritenersi applicabile la disciplina del transfer pricing internazionale di cui all'art 110, comma 7, del TUIR. Il novellato comma 7, dell'art. 110, (prima comma 5, art. 76, TUIR). in sostanza, disciplina la normativa nazionale in materia di transfer pricing nei rapporti infragruppo tra soggetti italiani ed esteri, recependo la Guidelines dell'OCSE.

A riguardo, è bene ricordare che, già in passato la medesima cassazione (Cass. sent., n. 23551 del 20 dicembre 2012) si era espressa affermando che la disciplina del transfer pricing internazionale non poteva essere applicata estensivamente anche ai rapporti tra consorelle italiane.Sul punto, è stato fatto un passo indietro, quando la medesima Corte (Cass , sez.5, n. 17955, 24 luglio 2013; Cass., sez.5, n. 13475, 13 giugno 2014), dichiarò applicabile l'art. 110 comma 7 del TUIR , alla stregua di una disciplina o clausola antielusiva speciale, alle società italiane che tramite un uso distorto della contrattazione infragruppo, tendevano a spostare la base imponibile verso altre società del gruppo che potevano godere di benefici fiscali .La questione si è poi risolta con la norma di interpretazione autentica ex art. 5 comma 2, D.Lgs n. 147/2015, che ha escluso l'applicabilità del transfer pricing internazionale in ambito domestico. Da qui, la Suprema Corte, nell'ordinanza in commento, è stata ferma nel ribadire che, le transazioni infragruppo tra società residenti nel territorio nazionale effettuate ad un prezzo diverso dal "valore normale" non sono indice di per sé di una condotta elusiva, (Cass. Sez. 5, n. 16948,25 giugno 2019, Cass, sez. 5, n. 2387, 29 gennaio 2019; Cass., sez. 5, n. 898,16 gennaio 2019). Per la determinazione del valore normale dei beni e servizi, vale il dettato dell' art. 9 del TUIR, che fissa il principio di valore "corrente", il "prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni e i servizi sono stati acquisiti, tenuto conto dei listini, tariffe e sconti d'uso".
Secondo la Cassazione il principio della libera concorrenza, sicché la valutazione del valore normale deve attenere alla "sostanza economica" dell'operazione che va posta a confronto con analoghe operazioni stipulate in condizioni di libero mercato tra soggetti "indipendenti".
In più, quand'anche potenzialmente un'operazione appare antieconomica per una delle società coinvolte, ma si colloca comunque all'interno di una strategia economica diretta a raggiungere un risultato nell'interesse del gruppo, deve ritenersi esclusa l'antieconomicità.Con riferimento al caso di specie, dell'ordinanza in commento, a parere della Suprema Corte, l'interesse superiore dell'operazione risponde ad un logica di gruppo, giacché l'operazione di vendita "infragruppo" è stata limitata ad un periodo di tempo breve, e si era perfezionata alla luce della prospettiva di vendita dell'intera attività dall'una all'altra società del gruppo.

Esclusa l'applicabilità della clausola elusiva del citato art. 110, comma 7 del TUIR in ambito domestico, tuttavia l'Amministrazione Finanziaria ha il potere di accertare l'esistenza di transazioni economiche tra società sorelle ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale (a fronte di indizi di condotte antieconomiche), ma non deve dimostrare la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente. Spetta al contribuente provare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato (Cass., se., 5, 16 gennaio 2019, n. 898; Cass., sez. 5, 15 aprile 2016, n. 7943; Cass., sez.5, 14 novembre 2018, n. 29306; Cass., sez. 5, 24 luglio 2015, n. 15642).
La ratio sottostante è che chiunque svolga attività economica dovrebbe secondo l'id quod plerumque accidit indirizzare le proprie condotte verso la riduzione dei costi e la massimizzazione dei profitti.
Di conseguenza, in tema di valutazione sull'antieconimicità della condotta, lo scostamento dal valore normale può assumere rilievo quale parametro meramente indiziario, e l'operazione che si pone al di fuori dei prezzi di mercato costituisce una possibile anomalia, che giustifica l'accertamento induttivo, con onere in capo al contribuente di dimostrare il contrario (Cass. Sez. 5, 16948/2019).
Ciò vuol dire che, l'antieconomicità o il risparmio di imposta non sono elementi sufficienti per fondare l'accertamento: occorre che l'ufficio provi lo scostamento del prezzo rispetto al valore normale.
Il contribuente è poi tenuto a dimostrare la "normalità" delle condizioni economiche concordate (in mancanza della prova a carico dell'ufficio dello scostamento del prezzo rispetto alla "normalità", è indubbio che non ci sono i presupposti per la contestazione di trasfer pricing).

Invero, il punto non è pacifico sotto il profilo operativo. Capita sempre più spesso che l'Agenzia delle Entrate interpreti in modo non corretto la norma, ed accerti operazioni infragruppo al fine di verificare il rispetto della disciplina sul transfer pricing internazionale. La Corte, nell'ordinanza in commento (ri)escludendo de plano l'estensione applicativa dell'art. 110 comma 7 TUIR, in ambito domestico, ha voluto significare che essa non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del transfer pricing (spostamento d'imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé considerato. Sicché la prova gravante sull'A. F. riguarda non il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l'esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, mentre incombe sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697, cod. civ, ed in materia di deduzioni fiscali, l'onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dall'art. 9, comma 3, TUIR (Cass. n. 7493 del 15/4/2016; n. 13387 del 30/6/2016; Cass. 27018 del 15/11/2017; Cass. n.18392 del 18/9/2015; Cass. n. 9673 del 19/4/2018; Ordinanza 230/2021 del 12 gennaio 2021).

A bene vedere, il quadro normativo del transfer price non è di immediata ed automatica interpretazione rimangono ancora aperti molti dubbi, concernenti i profili tecnici operativi della metodologia per la determinazione del transfer price (cfr linee guida domestiche del D.M. 14 maggio 2018), nonché del provvedimento dell'Agenzia delle Entrate del 30 maggio 2018 relativo all'attuazione dell'art 31-quater del D.P.R. n. 600/1973.

L'ultimo provvedimento dell'Agenzia delle Entrate, del 23 novembre 2020, ha definito alcuni aspetti della disciplina domestica in materia dei prezzi di trasferimento intervenendo sulla penality protection. In particolare, l'ADE prevede la comunicazione preventiva (in sede di dichiarazione dei redditi) del possesso della documentazione sui prezzi di trasferimento, come condizione necessarie per beneficiare della disapplicazione delle sanzioni in caso di rettifica dei prezzi di trasferimento. Tuttavia, accade di frequente che, le società infragruppo non adempiano alla comunicazione preventiva del possesso della documentazione, in quanto non predisposta nei tempi previsti dalla normativa o, in alcuni casi, anche per mero errore/dimenticanza nella predisposizione della dichiarazione dei redditi. Ciò significa che, esse si trovano costrette a consegnare nel corso delle attività ispettive, tutta la documentazione "idonea" ed utile a comprendere le politiche di transfer pricing adottate.

Bisogna dire che, in tema di oneri documentali sarebbe auspicabile una maggiore semplificazione. Questo è già previsto per le piccole e medie imprese, che hanno la facoltà di non aggiornare, in esito alle risultanze dell'analisi di comparabilità, i dati derivanti dalla procedura di selezione dei soggetti comparabili relativi ai due periodi di imposta successivi a quello cui si riferisce la documentazione.

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*Monica Peta, Dottore Commercialista - Revisore Legale, PhD in Scienze Aziendali, Componente del Comitato Scientifico Nazionale Fondazione School University

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