Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 15 e il 19 maggio 2023

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello si pronunciano in tema di obbligo vaccinale, responsabilità della scuola peri danni riportati da un alunno, distanze nelle costruzioni, revisione delle tabelle millesimali, contratti della P.A..
Da parte loro i Tribunali sono chiamati ad affrontare i temi della tutela del marchio, dei permessi dal lavoro, del comportamento delle parti di un contratto in pendenza di una condizione sospensiva, delle operazioni di cartolarizzazione e, infine, della responsabilità nelle società di persone.

SANITA' E BIOETICA
Obbligo vaccinale – Imposizione - Giustificazione.

(Costituzione, articoli 2 e 32; Dl 44/2021)
Afferma in sentenza la sezione lavoro della Corte d'Appello di Brescia che l'imposizione di un obbligo vaccinale, o di un trattamento sanitario, può ritenersi compatibile con l'art. 32 Cost. in presenza dei seguenti presupposti: 1) se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; 2) se vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili; 3) se nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato.
Nell'ambito del contemperamento degli interessi contrapposti del singolo e della collettività, inoltre, l'imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio trova giustificazione nel principio di solidarietà previsto dall'art. 2 Cost., che rappresenta la base della convivenza sociale in forza del quale ciascuno può essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo comporti un rischio specifico.
Ne consegue, in termini generali, che il Legislatore che impone un obbligo vaccinale, dovendo compiere un contemperamento tra interesse individuale e interesse collettivo, deve necessariamente effettuare una scelta che avviene nell'esercizio della sua discrezionalità politica e che è sindacabile dall'Autorità Giudiziaria solo nei limiti della ragionevolezza e proporzionalità dell'intervento normativo.
In particolare, la Corte richiama e avalla l'orientamento secondo cui la scelta del Legislatore (D.L. n. 44/2021 s.m.i.) di introdurre l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da Sars.Cov-2 per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario (ciò rilevando nel caso oggetto del suo intervento), nel bilanciamento dell'interesse individuale e di quello della collettività, sia stata del tutto ragionevole e proporzionata.
Corte appello Brescia, sezione lavoro, 16 maggio 2023 n. 121

RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO
Responsabilità della scuola - Allievo – Danno cagionato a se stesso

(Cc, articoli 1218 e 2048)
L'accertamento della responsabilità della scuola per i danni alla persona riportati da un allievo (minore) presuppone – secondo l'adita Corte d'Appello di Catanzaro - la prova del fatto, ovvero del verificarsi del fatto dannoso e del nesso causale tra esso e il soggetto responsabile, ovvero quando il minore era sotto la responsabilità della scuola, sulla quale incombe l'obbligo di provare di avere correttamente adempiuto agli obblighi di vigilanza e controllo sugli alunni, durante il tempo in cui gli sono stati affidati.
L'imprevedibilità del fatto ha portata liberatoria solo nell'ipotesi in cui non sia stato possibile evitare l'evento nonostante l'approntamento di un sistema di vigilanza adeguato alle circostanze (cioè atto ad impedire che l'allievo possa assumere comportamenti pericolosi procurando così delle lesioni).
Tale dovere di vigilanza deve essere tanto maggiore quanto minore è l'età degli alunni, in quanto va commisurata al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione al caso concreto.
In via generale, dunque, in tema di responsabilità dei soggetti obbligati alla sorveglianza di minori, nel caso di danno cagionato dall'alunno a se stesso, sia che si invochi la presunzione di responsabilità posta dall'art. 2048, II, c.c., sia che si configuri la responsabilità come di natura contrattuale, la ripartizione dell'onere della prova non muta, poiché il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c. impone che, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile all'obbligata.
Nell'ipotesi di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo subito all'interno di una scuola (o di altra struttura ricreativa), ai fini della configurazione di responsabilità ex art. 2048 c.c., non è sufficiente la sola circostanza di aver fatto svolgere tra le parti una gara sportiva in quanto è necessario che il danno sia conseguenza di un comportamento colposo integrante un fatto illecito, posto in essere da altro giocatore impegnato nella partita ed inoltre che la struttura, in relazione alla gravità del caso concreto, risulti non aver predisposto tutte le misure atte ad evitare i danni.
Corte appello Catanzaro, sezione II, 16 maggio 2023 n. 603

DISTANZE LEGALI
Distanze nelle costruzioni - Canne fumarie – Allocazione.

(Cc, articoli 889 e 890)
Chiamata a fornire la corretta esegesi della previsione di cui all'art. 889, II, c.c. – secondo cui per l'allocazione di tubi d'acqua (pura o lurida), di gas e simili, e loro diramazioni, deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine – osserva l'adita Corte d'Appello di Messina che tale disposizione codicistica si riferisce a condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose, e di conseguenza causino un pericolo costante per il fondo del vicino in relazione alla naturale possibilità di infiltrazioni.
In virtù della ritenuta presunzione assoluta di dannosità si ritiene la completa equiparazione dei canali di gronda e dei pluviali discendenti dal tetto dello stabile alle colonne di scarico.
Con la precisazione, ancora, che la richiamata previsione codicistica non risulta applicabile alle canne fumarie per la dispersione di fumi delle caldaie, né agli impianti di condizionamento d'aria, i quali vengono ad essere qualificati di funzione analoga a quella del camino; quindi, essendo esclusa la pericolosità assoluta di tali strutture e macchine, deriva -quale conseguenza- l'applicabilità della disciplina dell'art. 890 c.c. e, così, il loro posizionamento alla distanza che nel caso concreto risulti necessaria a preservare da pregiudizi il fondo del vicino.
Infine, il principio di diritto che ritiene la disposizione dell'art. 889 c.c. (relativamente alle distanze da rispettare per pozzi, cisterne, fossi e tubi) applicabile anche con riguardo agli edifici in condominio, deve essere poi adeguatamente applicato nella valutazione delle circostanze concrete, imponendosi così il contemperamento degli interessi fra norme che regolano i rapporti di vicinato e diritti e facoltà dei condomini. Ne consegue che l'art. 889 c.c. non opera nel caso di impianti da considerarsi indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell'immobile (negli edifici in condominio), tale da essere adeguata all'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene.
Corte appello Messina, sezione I, 16 maggio 2023 n. 416

CONDOMINIO
Condominio negli edifici – Tabelle millesimali – Revisione.

(Cc, disp. att., articolo 69; Cc, articoli 1130 e 1131; legge 11 dicembre 2012 n. 220)
La Corte d'Appello di Bari, avuto riguardo al caso oggetto del suo esame, osserva come, in tema di condominio di edifici, l'errore il quale, ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali consiste nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari e il valore proporzionale ad esse attribuito nelle medesime tabelle.
In particolare, gli errori, di fatto e di diritto, che giustificano la modifica della tabella, espressione dei valori millesimali, sono solo quegli errori attinenti -direttamente o indirettamente- alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unità immobiliari (tra cui l'estensione o l'altezza).
Precisamente, tale revisione può essere richiesta (oltre all'ipotesi di errore), ove siano mutate le condizioni dell'immobile, precisandosi, in questo caso, che la mutazione deve comportare un'alterazione di almeno un quinto del valore proporzionale dell'unità immobiliare di un singolo condomino. In base ai principi generali sulla ripartizione dell'onere probatorio, spetta a chi agisce in giudizio per richiedere la revisione delle tabelle dimostrare l'esistenza di uno o entrambi i presupposti indicati.
Fermo il fondamento assembleare, e non unanimistico, dell'approvazione delle tabelle, nessuna limitazione può sussistere in relazione alla legittimazione dal lato passivo dell'amministratore per qualsiasi azione, ai sensi dell'art. 1131, II, c.c., volta alla determinazione giudiziale o alla revisione di una tabella millesimale che consenta la distribuzione proporzionale delle spese in applicazione aritmetica dei criteri legali.
Si tratta, infatti, di controversia rientrante tra le attribuzioni dell'amministratore (art. 1130 c.c.) e nei correlati poteri rappresentativi processuali dello stesso, senza alcuna necessità del litisconsorzio di tutti i condomini. Riconosciuta la competenza gestoria dell'assemblea in ordine all'approvazione e alla revisione delle tabelle millesimali, non sussiste alcun ostacolo a ravvisare in materia, altresì, la rappresentanza giudiziale dell'amministratore.
Tale principio, dapprima giurisprudenziale, ha poi ricevuto espresso riconoscimento normativo nell'art. 69, II, disp. att. c.c., nella riformulazione introdotta con L. n. 220/2012.
Corte appello Bari, sezione III, 17 maggio 2023 n. 793

CONTRATTI
Contratti della P.A. – Forma scritta – Ad substantiam.

(Costituzione, articolo 97; Rd 18 novembre 1923 n. 2440, articoli 16 e 17)
Secondo la Corte d'Appello di Lecce i contratti conclusi dalla P.A. (nella specie si tratta di un contratto di prestazione professionale svolta nei confronti dell'amministrazione) richiedono, al fine di soddisfare il requisito della forma scritta ad substantiam, la contestualità delle manifestazioni di volontà delle parti, salva l'ipotesi eccezionale prevista dall'art. 17 R.D. n. 2440/1923 per i contratti stipulati con ditte commerciali.
Detti contratti devono essere consacrati in un unico documento, sicché va escluso il loro perfezionamento attraverso lo scambio di proposta ed accettazione tra assenti (salva l'ipotesi eccezionale di cui si è appena fatto cenno), mentre tale requisito di forma deve ritenersi soddisfatto nel caso di cd. elaborazione comune del testo contrattuale, e cioè mediante la sottoscrizione - sebbene non contemporanea, ma avvenuta in tempi e luoghi diversi - di un unico documento contrattuale il cui contenuto sia stato concordato dalle parti.
La proposta e l'accettazione possono, comunque, essere contenute in documenti distinti, purché siano poi consacrate in un unico testo.
In particolare, dal combinato disposto del citato art. 17 e del precedente art. 16 (che al comma 1 contempla la cd. forma pubblica amministrativa) si fa discendere la necessità della forma scritta ad substantiam, con esclusione della validità di qualsivoglia manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi.
La ratio di tale principio trova fondamento nei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità della P.A. (art. 97 Cost.), nella misura in cui la forma scritta assolve la funzione di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa, permettendo di identificare con precisione l'obbligazione assunta ed il contenuto negoziale dell'atto, così da renderlo controllabile da parte dell'Autorità tutoria.
Secondo la Corte è dunque la marcata esigenza di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa che conduce a privilegiare una prospettiva di particolare rigore formale, permettendo di identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell'assoggettamento ai dovuti controlli.
Corte appello Lecce, sezione II, 17 maggio 2023 n. 435

MARCHI E BREVETTI
Marchio – Tutela – Contraffazione – Risarcimento danni

(Cc, articolo 1226)
Il giudizio di contraffazione del marchio – secondo quanto afferma in sentenza il Tribunale di Firenze – deve essere svolto in via globale e sintetica, mediante un apprezzamento complessivo che tenga conto degli elementi salienti grafici, visivi e fonetici, nonché di quelli concettuali o semantici.
Nessuna rilevanza assume poi la circostanza che, per una parte, si tratti di marchio e che, per la controparte, si tratti della ragione sociale: l'identità fonetica dei segni, il medesimo ambito di attività e la stessa estensione territoriale di quest'ultima inducono l'adito Tribunale a ritenere illegittimo l'uso del segno distintivo (da parte del convenuto) stante il rischio di confusione nel pubblico.
Nonostante la prova dell'avvenuta contraffazione, il danno, non può essere ritenuto sussistente in re ipsa, così che, ove di questo non sia stata data la prova puntuale, lo stesso non può essere liquidato in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c..
Infine, il titolare di un marchio dell'Unione Europea che si ritenga leso dall'uso senza il suo consenso, da parte di un terzo, di un segno identico a tale marchio in pubblicità e in offerte di vendita online di prodotti identici o simili a quelli per i quali detto marchio è registrato, può proporre un'azione per contraffazione nei confronti di tale terzo dinanzi a un tribunale dei marchi dell'Unione europea dello Stato membro nel cui territorio si trovano consumatori e professionisti destinatari di tali pubblicità o offerte di vendita, nonostante il fatto che detto terzo non elenchi in modo esplicito e univoco tale Stato membro tra i territori verso i quali potrebbe essere effettuata una consegna dei prodotti di cui trattasi, se tale stesso terzo ha fatto uso del segno in parola mediante indicizzazione a pagamento sul sito Internet di un motore di ricerca che utilizza un nome di dominio di primo livello nazionale di tale Stato membro. Per contro, così non è per il solo fatto che il terzo interessato ha effettuato l'indicizzazione naturale delle immagini dei suoi prodotti su un servizio di condivisione online di foto con un dominio di primo livello generico, facendo ricorso a meta tag che utilizzano come parola chiave il marchio di cui trattasi.
Tribunale Firenze, sezione V – spec. in materia di impresa, 15 maggio 2023 n. 1456

LAVORO E FORMAZIONE
Permessi dal lavoro contrattualmente dovuti – Mancata fruizione – Risarcimento - Prescrizione.

(Cc, articoli 1218 e 2948)
Osserva il Giudice del Lavoro del Tribunale di Cassino che la domanda di pagamento di somme a titolo di indennità per la mancata fruizione di permessi contrattualmente dovuti, in analogia con l'indennità sostitutiva delle ferie non godute, costituisce un credito di natura mista, in cui è presente una componente volta all'accertamento dell'inadempimento contrattuale del datore di lavoro (ex art. 1218 c.c.) e al risarcimento del danno, parametrato alla retribuzione che sarebbe stata spettante per le ore di riposo non godute.
Precisamente, l'indennità sostitutiva delle ferie non fruite ha natura mista, avendo non solo carattere risarcitorio, in quanto volta a compensare il danno derivante dalla perdita di un bene determinato (il riposo, con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali), ma anche retributivo, in quanto è connessa al sinallagma contrattuale e costituisce il corrispettivo dell'attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sè retribuito avrebbe dovuto essere non lavorato, in quanto destinato al godimento delle ferie annuali.
Quindi, somme dovute per permessi non goduti, e indennità sostitutiva delle ferie non godute, hanno natura mista, sia risarcitoria che retributiva, a fronte della quale si deve ritenere prevalente, ai fini della verifica della prescrizione, il carattere risarcitorio, volto a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo, cui va assicurata la più ampia tutela applicando il termine ordinario decennale.
Secondo il Giudice, dunque, deve desumersi dalla loro prevalente natura risarcitoria, che si applichi a tali crediti il termine ordinario decennale di prescrizione, non potendo tali ipotesi essere ricondotta ad alcuna delle previsioni speciali di cui all'art. 2948 c.c., e che il dies a quo da cui far decorrere tale termine vada individuato nella data di cessazione del rapporto di lavoro, stante l'impossibilità per il creditore, a prescindere dal momento in cui è maturato il diritto a fruire del permesso, di far valere il credito a titolo risarcitorio nel corso del rapporto, potendo invece nella pendenza dello stesso sempre domandarne la fruizione in forma specifica.
Tribunale Cassino, sezione lavoro, 16 maggio 2023 n. 388

CONTRATTI
Contratto a prestazioni corrispettive - Condizione sospensiva – Inadempimento
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(Cc, articoli 1358)
Il Tribunale di Avezzano precisa che la domanda di risoluzione per inadempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti nel contratto a prestazioni corrispettive sottoposto a condizione sospensiva - salvo che la parte abbia violato l'obbligo ex art. 1358 c.c. di comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte - deve essere rigettata nel caso in cui la condizione non si sia verificata.
La richiamata disposizione codicistica sancisce una specifica applicazione del generale principio di correttezza in materia contrattuale per ogni tipo di condizione alla quale le parti subordinano la produzione o l'eliminazione degli effetti della pattuizione (con esclusione della sola condizione meramente potestativa, che non conferisce all'altra parte alcuna aspettativa tutelabile o coercibile), imponendo alla parte condotte tali da conservare integre le ragioni dell'altra.
Durante il periodo di pendenza della condizione, il contratto vincola i contraenti al puntuale ed esatto adempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte: la condizione rende infatti incerta la produzione (o l'eliminazione) degli effetti contrattuali ma il vincolo pattizio appare già fermo e irrevocabile. Ne deriva che la mancata o inesatta osservanza dell'obbligo di buona fede, dalla quale derivi pregiudizio alla realizzazione del complessivo assetto di interessi sotteso all'atto di autonomia privata, identifica una fattispecie di inadempimento attuale e immediatamente rilevante.
Secondo l'adito Giudice si può parlare di inadempimento contrattuale solo quando sussiste un contratto efficace: il mancato avveramento della condizione impedisce al contratto di produrre i propri effetti con conseguente impossibilità di parlare di inadempimento. E, in caso di inadempimento dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione sospensiva ai sensi dell'art. 1358 c.c., il momento dell'inadempimento – utile ai fini della determinazione del danno risarcibile e della sua decorrenza – va individuato in quello (ultimo) in cui risulta che la parte non si sia attivata per consentire il verificarsi della "condicio facti" e non già nel successivo momento della proposizione, ad opera della parte in mala fede, della domanda giudiziale di risoluzione del contratto (già inefficace per mancato avveramento della condizione).
Tribunale Avezzano, 17 maggio 2023 n. 153

CONTRATTI
Operazioni di cartolarizzazione – Disciplina – Pubblicazioni in G.U.

(Legge 30 aprile 1990 n. 130; legge 21 febbraio 1991 n. 52; Reg. UE n. 2017/2402; Dlgs 1 settembre 1993 n. 385, articolo 106)
Le operazioni di cartolarizzazione – osserva il Tribunale di Bari - si realizzano attraverso strumenti finanziari, per cui il contratto di cessione è collegato ad un contratto di finanziamento (teoria dualista), la società cd. veicolo acquista i crediti in nome proprio ma per conto dei sottoscrittori dei titoli (cartula), che finanziano l'operazione di cessione e, soprattutto nel caso di cessione in blocco per i crediti d'impresa, la società veicolo (SVP - special purpose vehicle) non è cessionaria, rivestendo tale qualità i finanziatori sottoscrittori.
Per riscuotere i crediti ceduti la S.P.V. può incaricare terzi soggetti, che si occuperanno della riscossione e del servizio di cassa e pagamento (il c.d. servicing), i quali possono essere solo banche o soggetti iscritti all'albo di cui all'art. 106 D.Lgs. n. 385/1993 (T.u.b.).
La cartolarizzazione del credito (c.d. securitization) rientra nel più ampio genere delle attività di smobilizzo dei crediti da parte d'imprese (specie delle banche) e trova i propri riferimenti normativi nella L. n. 130/1999 e nel Reg. UE n. 2017/2402.
Con la precisazione che le operazioni di cartolarizzazione involgono interessi privati di rango costituzionale superiori e diversi, rispetto a quello della semplice autonomia negoziale, quale quello della libertà dei mercati, la tutela del risparmio, della libera circolazione dei beni, in particolare della ricchezza mobiliare e della libera concorrenza, che non possono non determinare una compressione dell'autonomia privata e pesino dell'area di incidenza dei privilegi della P.A..
Pertanto, allo scopo di favorire e agevolare le operazioni di cartolarizzazione, la legge sulle cartolarizzazioni (Legge n 130 cit.) per i crediti oggetto di tali operazioni contiene una deroga alle ordinarie norme sulla cessione dei crediti, in quanto per l'efficacia della cessione non occorre la notifica al debitore ceduto, bastando a tal fine la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e per la cessione in blocco dei crediti di impresa di cui alla L. n. 52/1991 è sufficiente che la pubblicazione contenga soltanto l'indicazione del cedente, del cessionario e della data di cessione.
Tribunale Bari, sezione IV, 17 maggio 2023 n. 1892

SOCIETÀ E IMPRESE
Società di persone – Responsabilità - Azione individuale del terzo danneggiato.

(Cc, articoli 2043, 2260, 2315, 2394 e 2395)
Precisa in sentenza il Tribunale di Milano che la disciplina della società di persone, richiamata per le società in accomandita attraverso il rinvio dell'art. 2315 c.c., prevede all'art. 2260, II, c.c. solo l'azione di responsabilità sociale, esperibile dalla società nei confronti degli amministratori per ottenere il risarcimento del danno arrecato al patrimonio sociale dall'inadempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale.
In coerenza con la mancanza di autonomia patrimoniale perfetta delle società di persone, e con il regime generale di responsabilità personale dei soci per i debiti sociali, non è, invece, prevista l'azione dei creditori sociali nei confronti degli amministratori, che sono di norma anche soci illimitatamente responsabili, già esposti direttamente con il loro patrimonio nei confronti dei creditori sociali.
Né è possibile l'applicazione analogica dell'art. 2394 c.c., norma di carattere speciale che, in deroga ai principi generali della responsabilità aquiliana, consente ai creditori, nel contesto di limitazione al patrimonio sociale della responsabilità per i debiti sociali delle società di capitali, di ottenere il risarcimento del danno subito per effetto dell'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le loro pretese che solo indirettamente lambisce la loro sfera giuridica.
L'unica azione che può coesistere con l'azione di responsabilità sociale nelle società di persone è l'azione individuale del socio o del terzo direttamente danneggiati dal comportamento illegittimo del socio amministratore che, in applicazione analogica dell'art. 2395 c.c. fondato sul principio generale del neminem laedere dell'art. 2043 c.c., esige, però, la deduzione e prova di un pregiudizio che non sia il mero riflesso del danno subito dal patrimonio sociale.
L'esercizio dell'azione individuale del terzo danneggiato non è, quindi, esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.
Tribunale Milano, sezione XV spec. in materia di impresa, 17 maggio 2023 n. 3976

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