Una circolare “tampone” nell'attesa di norme
Con la circolare del 29 luglio 2015, il ministero della Giustizia colma, in primo luogo, le lacune disseminate dal Legislatore nel percorso fisiologico della procedura di negoziazione assistita.
Procedimento di negoziazione assistita: modalità attuative - Il Ministero chiarisce, sostanzialmente, i singoli passaggi della procedura.
■Gli avvocati depositano la convenzione di negoziazione assistita (intesa come accordo compositivo del conflitto) presso la procura della Repubblica competente. La cancelleria della procura (in particolare, la segreteria) deve, dunque, procedere a “registrare” il passaggio del procedimento in un apposito registro «che dovrà essere istituito normativamente»; nelle more, utilizzerà un registro di comodo che contenga i dati essenziali di ciascun procedimento di negoziazione assistita, quali il nome delle parti e degli avvocati, la data di presentazione dell'accordo, il tipo di accordo.
■Il pubblico ministero, nel caso in cui il controllo abbia avuto esito positivo, rilascia il suo provvedimento (nullaosta o autorizzazione) apponendolo direttamente in calce alla convenzione di negoziazione assistita. Questo atto originale (convenzione con il provvedimento del Pm) viene consegnato all'avvocato che ha presentato la convenzione o a quello eventualmente indicato nel caso di più avvocati; una copia conforme viene tenuta dalla Cancelleria che la custodisce in un apposito archivio.
Fin qui la disciplina risultante dalla lettura combinata di legge n. 162 del 2014 e circolare del 29 luglio 2015. I dubbi, però, sono tutt'altro che risolti.
Resta aperto il rebus dell'atto originale - Un primo vero e proprio “rebus” diventa l'atto originale: che sorte gli spetta?
L'atto originale non resta in procura: perché l'ufficio tiene una copia conforme e lo consegna all'avvocato.
L'avvocato, però, non lo consegna all'ufficiale di Stato Civile: infatti, il difensore della parte è obbligato a trasmettere al citato ufficiale di Stato Civile, una copia (da egli autenticata) dell'accordo munito delle certificazioni necessarie. Insomma: l'atto originale (convenzione di negoziazione assistita con provvedimento del Pm) resta nella disponibilità dell'Avvocato che lo ha ritirato. Ma cosa deve fare l'Avvocato? Giova ricordare che la Convenzione potrebbe essere oggetto finanche di impugnative o (perché no?) denunce/querele penali con la necessità di acquisire l'atto originale; più semplicemente, potrebbe essere necessaria per una procedura di revisione (ad esempio, azione ex articolo 710 del Cpc a fronte di una separazione consensuale conclusa a mezzo di convenzione di negoziazione assistita). L'avvocato è, allora, tenuto a custodirla? Ma per quanto tempo?
Potrebbero prospettarsi diverse soluzioni, attingendo al bacino di normative speciali, ma con una interpretazione tutt'altro che stabile.
Il dubbio non risolto degli atti in procura - Un altro dubbio riguarda gli atti che devono essere depositati presso la Procura. Come si ricava dal combinato disposto delle norme di cui agli articoli 2, comma 1, e 5 del Dl n. 132 del 2014, la disciplina generale prevede la stipula di una convenzione all'esito della quale può essere raggiunto un accordo.
Sono dunque due gli atti delle parti: la convenzione di negoziazione assistita e l'eventuale accordo. Il Ministero, con riguardo all'articolo 6, sembra propendere a favore di quella tesi che, con riguardo alla negoziazione in materia di famiglia, profila l'esistenza di un unico atto e, cioè, la convenzione (= accordo) di negoziazione che contiene il patto compositivo. In ogni caso, l'unico atto che andrà depositato presso la procura è la convenzione (intesa nel senso di “accordo”) conclusa per effetto della negoziazione degli avvocati.
La natura giuridica del procedimento - Con la circolare del 29 luglio 2015, il ministero della Giustizia conferma la propria impronta interpretativa, già enunciata in occasione della delibera del 13 marzo 2015, con riguardo alla natura giuridica del procedimento di negoziazione assistita: per il Dicastero, la procedura ha natura amministrativa.
L'argomento principale per sostenere questa tesi è, come noto, lo stesso leit motiv della nuova legislazione: “degiurisdizionalizzazione”. Questo argomento, oltre che debole, è evidentemente contraddittorio. Infatti, come noto, il titolo “degiurisdizionalizzazione” era stato assegnato alla normazione in esame dal decreto legge n. 132 del 2014, in un testo approvato che non prevedeva l'intervento di alcun magistrato: l'articolo 6 del decreto legge 12 settembre 2014 n. 132 (nella versione anteriore alle modifiche introdotte dalla legge di conversione), infatti, si limitava a prevede, come noto, che “la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 10 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”. Questa formulazione normativa stabiliva, poi, che “l'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. L'avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5”.
Si trattava, dunque, di effettiva «degiurisdizionalizzazione» poiché l'utente non attingeva al bacino del servizio pubblico di Giustizia, sostituito dal ruolo fattivo (e di garanzia) dell'avvocato.
Con la legge di conversione, il legislatore, in parte qua, “giurisdizionalizza le misure di degiurisdizionalizzazione” così provocando, di fatto, solo un mero depotenziamento della giurisdizione e non certo la sua sostituzione. Infatti, l'accordo delle parti, che prima doveva essere sottoposto al giudice competente, ora deve essere presentato al pubblico ministero. Nell'un caso e nell'altro si registra l'intervento della magistratura.
Nella complessiva architettura risultante per effetto delle modifiche apportate dalla legge di conversione al Dl 132 del 2014, non può intravedersi un “procedimento amministrativo” ma, al contrario, una procedura di volontaria giurisdizione (cosiddetta “Vg”).
Secondo una definizione assai condivisa, la Vg fa capo a una attività che resta “giurisdizionale” ma si esplica in procedimenti (anche aventi a oggetto diritti soggettivi), nei quali i provvedimenti finali non risolvono conflitti fra contrapposti diritti ma valutano gli effetti di atti sostanzialmente privati.
L'autorità giurisdizionale viene chiamata solo ad “amministrare” interessi privati, per la rilevanza pubblicistica degli altri interessi coinvolti. Che si tratti di attività giurisdizionale e non amministrativa si ricava dal fatto stesso che gli atti provengono da un organo soggettivamente non amministrativo ed esprimono - secondo l'opinione preferibile in dottrina - una funzione – quella della volontaria giurisdizione – che è diversa da quella amministrativa (ex multis, si veda Tar Veneto, sentenza 6 settembre 2004 n. 3215).
Peraltro, nel caso in cui il Pm sia adito per un provvedimento di autorizzazione è finanche possibile (poiché fisiologico) un intervento del tribunale per il caso in cui l'autorizzazione stessa sia negata. Al cospetto dell'intervento del presidente del Tribunale, la circolare in esame mantiene ferma la tesi della natura ammnistrativa addirittura profilandola per la stessa fase al cospetto del direttivo dell'ufficio giudiziario: secondo il Ministero, infatti, questa fase «non ha una propria autonomia, ma costituisce una prosecuzione del tutto eventuale dello stesso procedimento che per definizione legislativa è degiurisdizionalizzato».
Ebbene, che un Presidente del Tribunale, su atti trasmessi dall'Ufficio di procura, per decidere su questioni in materia di separazione e divorzio, possa esercitare funzioni meramente amministrative, sembra davvero difficilmente sostenibile se non delineando la nascita di un nuovo istituto – un ircocervo processuale - nell'ordinamento processualcivilistico.
A questo punto, forse ci si dovrebbe interrogare sul significato giuridico di “degiurisdizionalizzazione”: valga un esempio.
Nelle separazioni consensuali, i coniugi compaiono dinanzi al presidente del tribunale e poi l'accordo viene o non omologato; nella negoziazione assistita non autorizzata, i coniugi compaiono dinanzi al presidente del tribunale e poi l'accordo viene o meno omologato.
Seguendo il ragionamento del Ministero, il primo caso è attività giurisdizionale; il secondo caso è attività amministrativa. Il primo caso è giurisdizione; il secondo caso è degiurisdizionalizzazione. Questo ragionamento cozza con la logica.
Argomento poco convincente è anche quello relativo alle norme sulle “minori entrate”, poiché la disposizione è stata così introdotta dal decreto legge n. 132 del 2014 (originariamente, articolo 22 comma 2), nel già ricordato originario testo dell'articolo 6. A ogni modo, in tempi recenti, la Dottrina (autorevolmente) ha affermato che il nuovo istituto deve essere inquadrato nei procedimenti di volontaria giurisdizione (Luiso, Le differenti forme di A.d.R. e l'arbitrato in libero osservatorio del diritto - lood.it -, 2015, 2).
La tassazione e i costi: entra in scena l'Agenzia - Con la circolare del 29 luglio 2015, il ministero della Giustizia definisce, infine, il trattamento fiscale del procedimento di negoziazione assistita.
Per il Dicastero, il procedimento instaurato davanti al procuratore della Repubblica, ed eventualmente proseguito davanti al presidente del tribunale, è gratuito: non è dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo e nemmeno è dovuto il pagamento della imposta di bollo. Inoltre, nemmeno sono dovuti i diritti di copia per il rilascio della copia autentica del nulla osta e dell'autorizzazione che il pubblico ministero è chiamato ad apporre sull'accordo concluso ai sensi dell'articolo 6 del Dl n. 132 del 2014.
Con questa impostazione, il Ministero conferma il proprio precedente provvedimento del 13 marzo 2015 e recepisce il parere della Agenzia entrate, del 16 luglio 2015 n. 65/E. A sostegno della scelta posta in essere, il Ministero osserva che «il Procuratore della Repubblica, svolge un'attività di controllo e verifica con carattere di natura amministrativa in sintonia con lo spirito e la ratio della legge che ha “degiurisdizionalizzato” la materia in oggetto».
Per quanto già osservato, sarebbe stato forse più corretto pretendere il contributo unificato di iscrizione a ruolo previsto per i procedimenti di Vg.
Per il Ministero devono ritenersi non dovuti, poi, i diritti di copia per il rilascio della copia autentica del nulla osta e dell'autorizzazione che il pubblico ministero è chiamato ad apporre sull'accordo concluso a seguito di convenzione di negoziazione assistita di cui al citato articolo 6 del Dl 132 del 2014.
Le prime reazioni degli uffici giudiziari - Successivamente alla diffusione della nuova circolare del ministero della Giustizia, la procura di Milano ha già emanato i suoi provvedimenti consequenziali, con una celerità ormai ben nota.
Il Procuratore addetto agli affari civili (dr. N. Cerrato) ha, infatti, diramato una circolare in data 5 agosto 2015, con efficacia dalla data dell'1 settembre 2015. Con questo provvedimento, la Procura modifica le proprie linee guida recependo le istruzioni del Dicastero. In particolare, l'ufficio milanese aveva, sino a ora, ritenuto di interpretare l'articolo 6 della legge n. 162 del 2014 nel senso che l'atto originale dovesse restare custodito presso la Procura. Preso atto del diverso avviso del Ministero, la Procura milanese cambia indirizzo e si adegua alla circolare ministeriale.