Uso improprio di vettura aziendale, legittimo il controllo del datore mediante ricorso ad agenzia investigativa
Nota a Corte di Cassazione, Sez. L. Civile, Ordinanza 12 febbraio 2025, n. 3607
La Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 3607 del 12 febbraio 2025 è tornata a pronunciarsi sulla legittimità dei controlli eseguiti dal datore di lavoro con l’ausilio di un’agenzia investigativa.
In particolare, il caso esaminato dalla Suprema Corte attiene ad un licenziamento per giusta causa intimato a valle di un procedimento ex art. 7 L. 300/1970 per aver il dipendente, in diverse occasioni, timbrato la propria presenza in ufficio per poi allontanarsi ed utilizzare il mezzo concesso esclusivamente per lo svolgimento dell’attività lavorativa per fini personali.
La condotta così descritta era stata accertata anche mediante il ricorso ad agenzia investigativa.
La legittimità del licenziamento così intimato è stata confermata dal Tribunale di Siracusa in entrambe le fasi del c.d. rito Fornero (art. 1, comma 48, L. 92/2012) e dalla Corte di Appello di Catania in sede di gravame di merito.
Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per Cassazione il dipendente, basando le proprie doglianze sui seguenti motivi di censura:
(i) con il primo motivo di ricorso, il dipendente ha dedotto l’illegittimità dell’attività investigativa per aver il datore di lavoro fatto ricorso ad un’agenzia privata per controllare le mansioni svolte fuori dai locali aziendali, così ponendosi in violazione dell’art. 4, L. 300/1970 e della normativa privacy;
(ii) con il secondo motivo di ricorso, il dipendente ha dedotto l’omesso esame di fatti decisivi, per non aver la Corte di Appello considerato la genericità della relazione investigativa posta a fondamento del licenziamento;
(iii) con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto, ancora una volta, l’omesso esame di fatti decisivi per non aver la Corte di Appello considerato la condotta contestata avrebbe dovuto essere sanzionata con una sanzione di tipo conservativo sulla base delle previsioni del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro;
(iv) con il quarto motivo di ricorso, il dipendente ha censurato l’operato della Corte per non aver considerato che il comportamento contestato era avallato da prassi consolidata aziendale e
(v) con l’ultimo motivo di ricorso, il ricorrente ha addotto di non aver commesso alcuna falsificazione e che dunque la condotta sarebbe dovuta essere sanzionata in maniera meno grave, mancando il licenziamento di proporzionalità rispetto ai fatti contestati.
La Società ha resistito con controricorso
La Corte di Cassazione ritenuti inammissibili il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso anche in considerazione del principio “doppia conforme” che rende improponibili le censure ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., ha rigettato il primo ed il quinto motivo di ricorso ritenendoli infondati.
In dettaglio, i Giudici di legittimità, ripercorrendo i propri precedenti giurisprudenziali in materia (tra cui Cass. 6468/2024, 6174/2019, 4670/2019, 14094/2018, 10636/2017) ha confermato che sono legittimi i controlli del datore di lavoro (anche tramite agenzia investigativa) sull’uso dell’auto aziendale da parte del dipendente durante l’orario di lavoro per motivi personali quando questa era stata concessa al dipendente per uso esclusivamente lavorativo, cioè soltanto per esigenze attinenti all’attività lavorativa.
Secondo il ragionamento della Corte sussiste la legittimità di tali controlli purché:
- l’oggetto del controllo non sia l’adempimento della prestazione lavorativa in sé ma il fatto che questi comportamenti del dipendente possano integrare attività fraudolente recanti danno per il datore medesimo (come l’uso dell’auto aziendale per motivi personali in orario di lavoro e la falsa attestazione della presenza in servizio poiché il badge era stato timbrato, creando così «una situazione definita di “apparenza lavorativa”»);
- tali controlli non siano lesivi della privacy del dipendente stesso, in quanto effettuati in luoghi pubblici e finalizzati ad accertare le cause dell’allontanamento del dipendente dal posto di lavoro in orario di lavoro.
Su base di tale presupposto, la Corte ha dichiarato la legittimità del licenziamento del dipendente in presenza delle condotte contestate così comprovate; ciò a prescindere “dall’integrazione di una fattispecie di reato o dalla quantificazione del danno, comunque riscontrabile nell’utilizzo improprio della vettura e dell’orario lavorativo retribuito”.
Venendo alla censura circa la mancanza di proporzionalità tra fatti contestati e licenziamento, la Corte ha ricordato come tale valutazione sia rimessa al giudice di merito, non potendo il giudizio di legittimità estendersi sino ad un diverso apprezzamento dei fatti analizzati, ed anche la circostanza che la condotta contestata fosse prevista dal contratto collettivo di riferimento come riconducibile ad una sanzione conservativa non preclude una “autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore…a far venire meno il rapporto fiduciario”.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa del dipendente, ribadendo la possibilità per il datore di lavoro di avvalersi di agenzie investigative per controllare comportamenti potenzialmente fraudolenti, purché tali verifiche non riguardino l’adempimento della prestazione lavorativa in sé e siano svolte nel rispetto della privacy.
La decisione si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale che tutela il diritto del datore di lavoro a proteggere il proprio patrimonio aziendale e il corretto svolgimento dell’attività lavorativa, purché non invasivi e lesivi di altri diritti fondamentali.
Questa pronuncia conferma quindi l’importanza di un corretto bilanciamento tra il potere di controllo datoriale e la tutela dei diritti del lavoratore, ponendo l’accento sulla necessità che ogni verifica sia condotta con criteri di legittimità e proporzionalità.
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*Avv. Alberto De Luca e Avv. Stefania Raviele, Studio Legale DL-LAW