Responsabilità

Uso massivo del telefono cellulare, ancora una condanna per l'Inail – In discussione anche il conflitto di interessi

La decisione in commento si inserisce in un trend giurisprudenziale che appare incline a riconoscere l'efficienza causale che l'uso massiccio del telefono cellulare può avere sullo sviluppo di determinate patologie tumorali - Al vaglio della Corte anche l'attendibilità degli studi prodotti da Autori che presentano dei collegamenti più o meno diretti con l'industria telefonica

di Clara Cerlon*

La Corte di Appello di Torino con la sentenza n. 519/2022 (oggi definitiva) ha riconosciuto, confermando integralmente la pronuncia del Giudice di primo grado, che la prolungata esposizione ai campi elettromagnetici prodotti dal telefono cellulare utilizzato dal dipendente di un'acciaieria sia stata determinante nell'insorgenza di un neurinoma del nervo acustico e che, quindi, dovesse configurarsi un'ipotesi di malattia professionale non tabellata a eziologia multifattoriale con conseguente obbligo, a carico dell'Inail, di corrispondere al lavoratore la relativa rendita previdenziale.

La decisione in commento si inserisce in un trend giurisprudenziale che appare incline (pur nell'esiguità dei casi ad oggi rinvenibili) a riconoscere l'efficienza causale che l'uso massiccio del telefono cellulare può avere sullo sviluppo di determinate patologie tumorali [si vedano, tra le altre, CdA Brescia, sent. 10 dicembre 2009, n. 361; Cass. civ., sent. 12 ottobre 2012, n. 17438; Trib. Ivrea, sent. 30 marzo 2017, n. 96; Trib. Firenze, sent. 24 giugno 2017, n. 391; Trib. Monza, 13 marzo 2019, n.56; CdA Torino, sent. 3 dicembre 2019, n. 904; Trib. Aosta, sent. 4 luglio 2020, n. 25;] ed approfondisce, al contempo, due delle questioni che maggiormente caratterizzano i giudizi in materia: da un lato, l'indagine sul nesso di causa, dall'altro le situazioni di conflitto di interesse che possono interessare la letteratura scientifica con il rischio (quantomai concreto) di viziare sia l'operato del CTU sia l'integralità della decisione giudiziaria che, sulla perizia stessa, fonda gran parte delle proprie ragioni. Emblematico, infatti, che nella formulazione del quesito da sottoporre al CTU la Corte abbia chiesto, oltre al consueto accertamento del nesso, altresì di indicare «gli eventuali legami tra gli scienziati firmatari dei lavori scientifici citati ed industrie telefoniche, elettriche e radioelettriche ».

Per quanto attiene al primo profilo, ribadendo i principi espressi due anni addietro in un caso pressoché analogo [ CdA Torino, sent. 3 dicembre 2019, n. 904 ] la Corte ha ritenuto infondata la censura dell'Inail secondo cui sarebbe stato erroneamente ritenuto sussistente il collegamento causale tra mansione lavorativa e patologia lamentata pur in assenza di una legge scientifica generale di copertura o quantomeno di una legge scientifica suffragata da un preponderante consenso e/o confermata da studi epidemologici successivi.

La Corte d'Appello ha invece ritenuto che il ragionamento del Giudice di primo grado – ribadito anche dal consulente del gravame – fosse corretto e perfettamente coerente con i principi – applicabili in materia di malattie non tabellate multifattoriali – sanciti dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 6954/2020 relativamente all'equivalenza delle cause in virtù di quanto previsto dagli articoli 40 e 41 c.p..

Il nesso causale, infatti, avrebbe potuto (e dovuto) essere escluso solo qualora si fosse dimostrato con certezza che l'infermità derivasse da un fattore estraneo all'attività lavorativa. Al contrario, laddove il lavoro svolto – anche se in misura modesta od in concorso con altri fattori – sia stato l'occasione dell'insorgenza o dell'aggravamento della patologia, la prova della correlazione causale deve ritenersi raggiunta in termini probabilità c.d. qualificata (e non di mera possibilità come sembrava pretendere l'Inail) rilevante – sul punto – al pari della certezza.

Nel caso di specie, pertanto, dovevano ritenersi correttamente argomentate – e quindi condivisibili – le conclusioni del Giudice di prime cure e del CTU i quali, analizzate le circostanze del caso concreto, riscontrata l'assenza di altre possibili cause e la presenza «di un unico fattore di rischio costituito da un'esposizione prolungata a radiofrequenze in un periodo nel quale i sistemi telefonici esponevano gli utilizzatori a elevata intensità» hanno riconosciuto l'«elevata probabilità» della relazione causale tra le mansioni lavorative svolte dal ricorrente (anche per come descritte ed emerse in sede di istruttoria testimoniale) e la patologia sviluppata.

Superato, quindi, il profilo causale, la Corte d'Appello, anche per il tramite del proprio consulente, ha affrontato la questione del conflitto di interesse che costituisce sicuramente uno dei leit motiv dei giudizi in materia atteso che – come già riconosciuto dalla Cassazione e ricordato dal Giudice di primo grado – non è infrequente che (taluni) studi scientifici debbano ritenersi « non particolarmente attendibili […] per essere cofinanziati dalle stesse ditte produttrici di cellulare» (cfr. Cass., sent. n. 17438/2012 e Trib. Aosta, sent. n. 25/2020).

Con specifico riferimento al caso sottoposto alla Corte, relativamente alla potenzialità oncogenetica delle radiofrequenze si rilevavano (e si rilevano) due filoni di studio Interphone e Hardell - i quali, rispettivamente, come evidenziato dal consulente tecnico, ridimensionano e affermano il nesso causale. Solo relativamente ai primi, tuttavia, sussistono plurimi dubbi sia in relazione al metodo di indagine (che prenderebbe in considerazione anche esposizioni brevi alle quali necessariamente si accompagna una minore potenzialità lesiva) sia in relazione al «possibile conflitto di interesse degli Autori con le ditte produttrici» (cfr. conclusioni del ctu riportate nella sentenza in commento).

Tenendo anche in conto, quindi, le prescrizioni IARC che fin dal 2011 hanno inserito le radiofrequenze nelle possibili cause oncogenetiche per l'uomo (gruppo 2B) la perizia ha condivisibilmente ritenuto di valorizzare ed applicare gli studi di Hardell poiché eseguiti «valutando in modo più preciso l'esposizione» nonché scevri da qualsivoglia possibilità di conflitto di interesse nelle conclusioni raggiunte.

Tuttavia, nel riconoscere la sussistenza del nesso causale il consulente ha svolto un'ulteriore considerazione relativa alla minore potenzialità lesiva dei sistemi GSM 3-4G rispetto ai sistemi 2G che, pur risultando del tutto ininfluente nel caso specifico (in cui la tecnologia oggetto di indagine era comunque soltanto quella 2G) rischia di ridimensionare la portata attuale dei problemi connessi all'uso dei dispositivi cellulari che sono invece quantomai presenti e che meritano pertanto un approfondimento anche in considerazione del fatto che – presumibilmente – costituiranno oggetto di dibattito nei futuri giudizi in materia.

Sul carattere nocivo o meno delle nuove tecnologie (dal 3G all'introducendo 5G), infatti, in letteratura si ravvisa la medesima contrapposizione sottolineata dal consulente relativamente ai precedenti sistemi e, anche in questo caso, la scienza che tende a ridimensionare la potenzialità lesiva delle radiofrequenze è per la maggior parte costituita da Autori che presentano dei collegamenti più o meno diretti con l'industria telefonica e/o con organizzazioni alla stessa legata.

Come ha insegnato la Corte d'Appello di Torino, d'altronde, richiamando la CTU svolta in quel grado «possono concretizzare situazioni di conflitto di interesse rispetto alla valutazione dell'effetto sulla salute delle RF, ad esempio, quei casi in cui l'autore dello studio ha effettuato consulenze per l'industria telefonica o ha ricevuto finanziamenti per la realizzazione di studi dall'industria telefonica oppure (come anche stabilito anche dal Karolinska Institutet di Stoccolma, in relazione all'esposto presentato contro il prof. Ahlbom, poi destituito dalla presidenza del gruppo di lavoro IARC sulle RF proprio a causa della sua appartenenza all'ICNIRP) nel caso in cui l'autore stesso sia membro dell'ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation). Infatti l'ICNIRP è un'organizzazione privata, le cui linee guida sulle RF hanno una grande importanza economica e strategica per l'industria delle telecomunicazioni, con la quale peraltro diversi membri dell'ICNIRP hanno legami attraverso rapporti di consulenza […] appare evidente che i membri dell'ICNIRP dovrebbero astenersi dal valutare l'effetto sulla salute di livelli di RF che l'ICNIRP stesso ha già dichiarato sicuri e quindi non nocivi per la salute (Hardell, 2017)"» [cfr. CdA Torino, sent. 904/2019].

Ebbene, l'affermazione fatta propria dal consulente e ripresa dalla pronuncia in commento appare totalmente riconducibile alle posizioni di conflitto appena descritte con la conseguenza che, anche sotto questo profilo, dovrebbero continuare ad essere preferiti studi indipendenti capaci di offrire maggiori garanzie di attendibilità rispetto a quelle commissionate, gestite o finanziate – almeno in parte – da soggetti interessati all'esito degli studi.

D'altronde, è lo stesso funzionamento delle più recenti tecnologie che dovrebbe far propendere per una dichiarazione di assoluta persistenza delle criticità evidenziate nella vicenda in commento, poiché il GSM è utilizzato automaticamente dal terminale che sceglie – in autonomia a meno di una configurazione esplicita dell'utente – la rete per la voce con una migliore copertura e la banda in cui trasmettere con possibilità che – anche nel corso di una medesima telefonata – si verifichi un cambiamento di banda stessa in relazione al variare delle condizioni radioelettriche.

Anche il funzionamento dell'attuale tecnologia 4G, in sostanza, si basa proprio ed ancora sullo standard 2G – a cui si è aggiunto (non sostituito) il 3G – che continua pertanto ad essere utilizzato proprio per il traffico voce.

La compresenza delle diverse tecnologie rende già di per sé evidente come gli studi relativi al 2G non possano in alcun modo ritenersi superati o desueti, dovendo al più essere integrati sulla base delle nuove configurazioni dei dispositivi (ad es. il collocamento dell'antenna al quale potrebbe essere connesso, secondo alcuni studi, un incremento dei tumori alla tiroide in luogo di quelli dell'apparato auricolare , cfr.) e delle nuove frequenze e tecnologie utilizzate. Infatti, gli studi italiani ed esteri condotti da soggetti sulla cui indipendenza non è mai stata sollevata alcuna obiezione [a titolo esemplificativo lo studio Ramazzini, Falcioni e altri nonché lo studio del governo statunitense NTP consultabile in estratto al link https://ntp.niehs.nih.gov/whatwestudy/topics/cellphones/index.html] ritengono sia impossibile escludere la cancerogenicità della tecnologia 4G sia per l'operatività combinata con le precedenti tecnologie, sia per i normali tempi di latenza delle potenziali patologie correlate che emergerebbero comunque a distanza di anni dall'uso prolungato del dispositivo. Ne deriva che, evidentemente, è fondamentale condurre nuovi ed approfonditi studi sulla tossicità delle radiofrequenze «a prescindere dal numero di G» (queste le parole del NTP).

In conclusione, quindi, nell'attesa di una eventuale normativa di settore capace di garantire l'effettiva tutela dei lavoratori l'auspicio è che la giurisprudenza – come nel caso di specie seppur con l'evidenziata eccezione delle considerazioni in merito alle più moderne tecnologie – continui a farsi promotrice di soluzioni capaci di identificare e valorizzare dati e risultati dei soli studi indipendenti o comunque svincolati da qualunque interesse che sia diverso dalla tutela della salute.

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*A cura dell'Avv. Clara Cerlon, Studio legale Cerlon

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