Responsabilità

Ustica: respinti i ricorsi dei Ministeri, confermata la condanna a pagare 330 mln a Itavia

La Terza sezione civile, sentenza n. 17004 depositata oggi, ha infatti respinto il ricorso contro la sentenza della Corte d'Appello di Roma che il 22 aprile 2020 aveva aggiornato il quantum

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di Francesco Machina Grifeo

La Cassazione ha confermato la condanna dei Ministeri della Difesa e delle Infrastrutture a pagare 330milioni di euro circa ad Aerolinee Itavia s.p.a. in amministrazione straordinaria. Il risarcimento ristora la compagnia per il default seguito alla sciagura area di Ustica del 27 giugno 1980 che determinò la morte 81 persone a seguito della distruzione del DC 9/10-I-TIGI.

La Terza sezione civile, sentenza n. 17004 depositata oggi, ha infatti respinto il ricorso dei Ministeri (e quello incidentale di Finnat fiduciaria, in qualità di azionista) contro la sentenza della Corte d'Appello di Roma che il 22 aprile 2020 aveva aggiornato il quantum risarcitorio rispetto al 2013.

In quell'occasione, infatti, il Collegio, all'esito di un ennesimo rinvio, aveva liquidato anche l'ulteriore voce di danno relativa alla "cessazione dell'attività di trasporto aereo" fissandola 5.659.199,087 euro (alla data dell'evento lesivo). Tale importo è stato dunque sommato a quelli liquidati nel 2013, sempre dalla Corte d'appello capitolina (n. 5247/2013), ossia 14.287.480,69 per l'avviamento commerciale e 13.204.797,87 per il fermo flotta, per un totale di 27.492.278,56 euro che rivalutati portavano alla cifra di 265.154.431,44 (105.185.457,77 per rivalutazione 132.476.695,11 per interessi).
Si è così raggiunto l'importo complessivo di 33.151.477,647 (sempre alla data dell'evento) da cui ripartire per il calcolo della rivalutazione e degli interessi legali.

Per la Suprema corte il giudice di appello "senza infrangere il giudicato interno effettivamente formatosi, ha, dunque, statuito in conformità al vincolo di cui all'art. 384, secondo comma, c.p.c. e al principio di risarcimento integrale del danno di cui all'art. 1223 c.c., senza, quindi, incorrere in una non consentita duplicazione risarcitoria, operando, in armonia con il principio anzidetto, una liquidazione che, nel rapportare la rivalutazione monetaria e gli interessi legali compensativi all'integrale danno-conseguenza generatosi dall'illecito, ha svolto la sua coerente funzione volta a reintegrare il patrimonio del danneggiato qual era all'epoca del prodursi del danno".

Riguardo poi al ricorso incidentale di Finnat, la Corte chiarisce che il socio di società di capitali, che, come nel caso di specie, lamenti un pregiudizio alla propria quota di partecipazione azionaria derivante da un fatto illecito di un terzo, non può qualificarsi come terzo legittimato all'opposizione ex art. 404 c.p.c., in quanto non è titolare di un diritto distinto ed autonomo, individualmente e separatamente tutelabile nei confronti dei terzi, rispetto al diritto fatto valere dalla compagine sociale. Di qui, pertanto, l'inammissibilità dell'intervento spiegato in sede di giudizio di rinvio dinanzi alla Corte territoriale.

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