Civile

Utili extra bilancio ai soci, la prova della estraneità alla gestione vince la presunzione

Per la Cassazione, sentenza n. 26473 depositata il 10 ottobre, però la dimostrazione della “assoluta estraneità” deve essere “precisa e rigorosa”

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di Francesco Machina Grifeo

In una società di capitale a ristretta base partecipativa, ai fini del superamento della presunzione della distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la prova dell’estraneità totale del socio/contribuente alla gestione e conduzione societaria deve essere molto rigorosa ma può essere fornita. La Cassazione, sentenza n. 26473 depositata il 10 ottobre, giudicando su un accertamento delle imposte sui redditi nei confronti di una piccola società, dopo aver dato atto di contrastanti precedenti giurisprudenziali, ha stabilito il principio secondo il quale è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati. Per la Sezione tributaria, tuttavia – e questo è il passaggio da sottolineare - , resta salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova contraria, anche solo attraverso la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria.

Si afferma così una interpretazione meno stringente di quella per cui il contribuente ha sempre la necessità di dimostrare, eventualmente anche ricorrendo alla prova presuntiva, che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società e che quest’ultima non li ha distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che degli stessi se ne è appropriato altro soggetto.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, l’interpretazione aperturista che supera dunque quella “tradizionale” non collide affatto con la ragione dell’operatività della presunzione in parola. Tale presunzione si fonda sulla “massima di comune esperienza che, dalla ristrettezza della base sociale, inferisce un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi”. E allora, argomenta la Suprema corte, una volta dimostrata, a dispetto della ristretta base sociale, l’assoluta estraneità del socio alla gestione e alla vita stessa della società, “la suddetta massima di esperienza perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci”.

Il problema, dunque, si sposta sul piano della “prova dell’estraneità assoluta” del socio alla gestione e alla vita della società. Prova che, tornando al caso specifico, riguardante una Srl attiva nella produzione di contenuti musicali per una nota band italiana, non è stata fornita dalla Commissione tributaria regionale che pure aveva accolto il ricorso di un socio al 10%. La Ctr, infatti, prosegue la decisione, si è limitata ad esporre le argomentazioni del contribuente in ordine alla sua estraneità alla gestione e conduzione societaria, ricordando come egli abbia sostenuto di occuparsi esclusivamente di musica come tecnico del suono, di non avere alcuna competenza in ordine a qualsivoglia aspetto economico e di gestione e di essersi disinteressato dell’attività della società, avendola ritenuta inoperativa. Si tratta, però – annota la decisione -, di allegazioni “descrittive” di ciò che dovrebbe costituire oggetto di prova.

A fronte di ciò, la Cassazione valorizza piuttosto la “mole dei documenti prodotti” dalle Entrate, in particolare le decine di fatture emesse dalla società nell’anno d’imposta nel quale non era stata presentata alcuna dichiarazione, oltre alla movimentazione sul conto corrente. Un quadro certificato dall’avviso di accertamento mai contestato dalla Srl che dimostra “senza dubbio alcuno che la società era certamente operativa, che aveva percepito ingenti somme non contabilizzate e che non aveva presentato alcuna dichiarazione fiscale, producendo considerevoli utili la cui destinazione normale, secondo l’id quod plerumque accidit nell’ambito di società di capitali a ristretta base, è la distribuzione tra i soci”.

A fronte di ciò, la prova dell’estraneità totale del contribuente alla gestione e conduzione societaria avrebbe dovuto essere “molto rigorosa e soprattutto, quel che in questa sede conta, di ciò avrebbe dovuto dare specifico conto la CTR”.

La Suprema corte boccia anche la tesi del contribuente secondo cui la ristretta compagine societaria non può più essere considerata elemento sufficiente a legittimare tale presunzione, in considerazione della modifica dell’articolo 7 del Dlgs n. 546 del 1992, operata dalla legge n. 130 del 2022. Per la Cassazione, infatti la modifica legislativa “non stabilisce un onere probatorio diverso, o più gravoso, rispetto ai principi già vigenti in materia”.

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