Vendita sottocosto contraria ai doveri di correttezza solo se è un illecito antitrust
La vendita sottocosto è contraria ai doveri di correttezza ex articolo 2598, comma 1, del Cc solo se si connota come illecito antitrust , in quanto posto in essere da un'impresa in posizione dominante e praticata con finalità predatorie. Lo chiarisce la Cassazione con l'ordinanza 7 febbraio 2020 n. 2980. La vendita sottocosto è infatti favorevole ai consumatori e al mercato, sino a quando non giunga alla soppressione della concorrenza, e, perciò, si traduca in un danno per gli stessi consumatori e il mercato, onde solo in tale ultima situazione si realizza l'illecito concorrenziale da dumping interno.
Secondo una giurisprudenza più risalente (Cassazione 2743/1983), in tema di vendita sottocosto, la competizione extraindustriale, attuata mediante strumenti di comunicazione e di distribuzione, doveva considerarsi illecita in quanto veniva a fuorviare subdolamente e illusoriamente il giudizio del consumatore; successivamente, la Corte ha superato tale orientamento (Cassazione n. 1636/2006), chiarendo che la scelta di un imprenditore in ordine alla politica dei prezzi sia, in linea di massima, lecita, trattandosi di un comportamento legato alle valutazioni di rischio, che solo a lui competono.
L'utilità sociale, prevista dall'articolo 41 della Costituzione, va intesa con riguardo al cosiddetto "interesse del mercato", a quello che nuoce o giova al buon funzionamento del medesimo, e quindi alla generalità dei consumatori e non all'interesse di un altro concorrente a non essere messo in difficoltà. Si è osservato, quindi, che altre tecniche di competizione cosiddetta "extraindustriale" sono spesso più aggressive e meno trasparenti della vendita sottocosto che, almeno, reca indiscutibilmente vantaggio all'acquirente.
Cassazione - Sezione I civile - Ordinanza 7 febbraio 2020 n. 2980