Vietato divulgare su Facebook messaggi razzisti ed ostili verso alcune etnie
Nel caso di specie, la molestia era caratterizzata proprio dal collegamento di una intera etnia allo svolgimento abituale di attività delinquenziali per vivere
Con la recente ordinanza n.14836/2023 la Corte di cassazione ha chiarito che la denigrazione, la molestia lesiva della dignità della persona, che le norme comunitarie e nazionali vogliono prevenire ed evitare, non coincide solo con comportamenti “razzisti” ossia di disprezzo verso l'appartenenza ad una etnia in quanto tale, ma comprende e tutela anche le ipotesi in cui si ipotizzi che tutti gli appartenenti ad una determinata etnia, in quanto tali, siano più inclini a commettere reati; ovvero a tenere comportamenti a cui si associa disvalore sociale, con conseguente incremento di un “clima ostile” verso una determinata etnia. E tutto è ancor più grave quando il mezzo di diffusione di tali affermazioni è Facebook e chi le ha scritte è un personaggio politico, con l'evidente cassa di risonanza delle sue azioni ed affermazioni. Nel caso di specie, la molestia era caratterizzata proprio dal collegamento di una intera etnia allo svolgimento abituale di attività delinquenziali per vivere, in ragione delle quali, peraltro, si augurava a tutti i suoi appartenenti “di patire i più atroci tormenti”.
La vicenda all’esame della Suprema corte
Una associazione domiciliata in Roma conveniva in giudizio un personaggio politico sostenendo che lo stesso avesse posto in essere un comportamento discriminatorio nei confronti di una certa etnia per aver pubblicato sul suo profilo Facebook, a distanza di quattro mesi l'uno dall'altro, due post dal contenuto discriminatorio e ingiurioso; e ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale subito dall'associazione quale ente esponenziale dei diritti collettivi in materia di contrasto alla discriminazione. La domanda veniva rigettata sia in primo che in secondo grado.
Le motivazioni dei giudici
La Suprema Corte ha ricordato che la nozione di discriminazione si ricava dalle disposizioni contenute nel Testo unico del 1998 recante «Disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e la condizione dello straniero», e dalla disciplina del 2003 sulla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.
Il primo corpus normativo introduce, in attuazione dei precetti costituzionali, una sorta di clausola generale di non discriminazione e definisce discriminatorio qualunque comportamento che direttamente od indirettamente, abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà
fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica. La disciplina del 2003 definisce, poi, la nozione di discriminazione, stabilendo che per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell'origine etnica.
La definizione di discriminazione - nella parte in cui si definisce discriminatorio quel comportamento che, mediatamente o immediatamente, abbia l'effetto di vulnerare il godimento, in condizioni di parità, dei diritti umani - porta a ritenere che l'imputazione della responsabilità non possa essere
ancorata solo al tradizionale criterio della colpa. Infatti, costituisce condotta discriminatoria anche quella che, pur senza essere animata da uno scopo di discriminazione, produca comunque un effetto di ingiustificata pretermissione per motivi razziali o etnici. Le molestie sono assimilate agli atti di discriminazione, diretta o indiretta, e consistono in quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante ed offensivo. Pertanto l’Ordinamento sanziona quei comportamenti, non necessariamente deliberatamente volti ad offendere, ma che comunque constino di due elementi:
La nozione di origine etnica deriva dall'idea che i gruppi sociali siano caratterizzati da una comunanza di nazionalità, di fede religiosa, di lingua, di origine culturale e tradizionale e di ambiente di vita. Tali criteri comportano che il Paese di nascita di una persona rappresenta uno dei fattori specifici che consentono di concludere che un soggetto appartiene ad un gruppo etnico; ma ciò non è, sotto il profilo in parola, in alcun modo determinante. La stessa Convenzione Onu sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale include, fra queste ultime, anche la disparità fondata sull'origine etnica. Su queste basi secondo la Corte di Cassazione la decisione impugnata si caratterizza per un complessivo “fraintendimento” e una totale “sottovalutazione” dei valori tutelati dal nostro Ordinamento.
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