Whatsapp del video intimo ripreso di nascosto, il reato è “Diffusione di riprese fraudolente”
Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 2112 depositata oggi, chiarendo le differenze rispetto all’articolo 612-ter del Cp ed esprimendo un principio di diritto
Scatta il reato di “Diffusione di riprese e registrazioni fraudolente” per chi invia su Whatsapp immagine private, nel caso delle riprese fatte di nascosto subito dopo aver consumato un rapporto sessuale in auto. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2112 depositata oggi, chiarendo le differenze rispetto all’articolo 612-ter del Cp “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, ed esprimendo il seguente principio di diritto: “Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 617-septies, è richiesta la prova, ritraibile da ogni elemento utile, della sussistenza in capo all’agente del dolo specifico, costituito dal fine di arrecare danno all’altrui reputazione o immagine”.
Nella decisione impugnata, la Corte di appello ha dato conto delle ragioni della ritenuta captazione fraudolenta delle immagini, e, cioè dell’assenza di consenso, come plasticamente reso evidente oltre che dalle modalità della ripresa, fugacemente - realizzata subito dopo un rapporto sessuale, - da alcune immagini del video, in cui la persona offesa esprime la propria sorpresa e contrarietà per quell’azione improvvida, invitando l’autore a mettere da parte il telefono. Video di cui era venuta in possesso solo dopo la diffusione.
La V Sezione Penale ricorda poi che la previsione della procedibilità a querela conferma come oggetto di tutela dell’articolo 617-septies cod.pen. sia l’interesse del singolo al mantenimento del proprio onore e della reputazione. Mentre sul piano strutturale, la condotta sanzionata consiste nella diffusione di una captazione fraudolenta, effettuata mediante riprese audio/video o registrazioni, di conversazioni o incontri di tipo privato, alle quali l’agente abbia preso parte o sia stato presente.
L’articolo 612-ter cod. pen., invece, si sostanzia nella divulgazione non autorizzata online di file multimediali a contenuto sessualmente esplicito, soprattutto a scopo di vendetta nei confronti dell’ex partner. Peculiarità di questo tipo di immagini e video, precisa la Suprema corte, oltre al contenuto, sessualmente esplicito - laddove per l’articolo 617-septies assume rilievo la captazione fraudolenta delle immagini/registrazioni - è che gli stessi sono girati con il consenso della persona ritratta. A essere non consensuale, dunque, nel reato di cui all’articolo 612-ter, non è la realizzazione del materiale pornografico, ma la sua successiva diffusione.
Tornando al 617- ter, per la configurazione del reato, si richiede “non la mera diffusione del materiale, bensì che la diffusione avvenga al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine”. Non sarebbe, ad esempio, sufficiente la sola diffusione di immagini carpite senza il consenso della vittima, pur supportata dal dolo generico: non è punibile, esemplificando, la condotta di chi abbia ’cliccato’ sul tasto condividi.
E poiché si richiede che la condotta diffusiva (dolo generico, anche eventuale) sia accompagnata dalla finalità di arrecare danno (dolo specifico), la Cassazione rammenta che la prova di tale elemento può essere tratta “da ogni elemento utile allo scopo, attraverso un ragionamento logico-inferenziale … desumendolo, cioè, dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne, oltre alla cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato, l’intenzione di danno specificamente richiesto dalla norma”.
E allora, tornando al caso di specie, la Corte ricorda che i giudici di merito hanno evidenziato come le modalità della condotta fossero chiaramente fraudolente, e la diffusione del video imputabile all’odierno ricorrente, mentre il fine specifico perseguito dall’agente poteva trarsi dalla stessa oggettiva materialità della condotta, ovvero dalle modalità con le quali il filmato è stato realizzato, immediatamente dopo il rapporto sessuale (ciò che rende evidente una finalità diversa da quella erotica o comunque collegata al rapporto sessuale appena consumato) e dal mezzo di diffusione del filmato, che è stato fatto circolare su una chat di amici, comuni anche alla persona offesa, elementi che appaiono direttamente esplicativi della precisa volontà di danneggiare la reputazione della vittima.
È dunque riscontrabile, conclude la Corte, accanto al dolo generico (anche eventuale), l’ulteriore elemento volitivo necessario ai fini dell’integrazione del delitto sotto il profilo soggettivo, costituito dalla specifica volontà di danneggiare la vittima, integrante il dolo specifico.