Amministrativo

Proroga concessioni sulle spiagge lesiva dei candidati esclusi

di Enrico Traversa

All’inizio di ogni stagione estiva riappare la “saga” dell’ennesima proroga delle concessioni di aree demaniali marittime destinate all’esercizio di stabilimenti balneari. L’ultima è stata disposta dalla legge di Bilancio per il 2019 (145 /2018), che al comma 683 ha prorogato per altri 15 anni, vale a dire fino alla fine del 2033, la durata delle concessioni in essere al 1° gennaio 2019. Vale la pena chiarire le cause e le possibili conseguenze giudiziarie di questo interminabile conflitto fra legislazione italiana e diritto europeo.

La norma della Ue

L’atto legislativo europeo di riferimento è la cosiddetta direttiva Bolkestein (2006/123) che all’articolo 12, paragrafo 1, dispone: «Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali ... gli Stati membri applicano una procedura fra candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento». Lo stesso articolo precisa poi al paragrafo 2 che «l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico, né accordare altri vantaggi al prestatore uscente». Tuttavia il paragrafo 3 dello stesso articolo consente agli Stati membri di «tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione,....di obiettivi di politica sociale .... della protezione dell’ambiente ....e di altri motivi imperativi di interesse generale conformi al diritto comunitario». Gli obblighi imposti dall’articolo 12 della direttiva ai legislatori e alle pubbliche amministrazioni degli Stati Ue, inclusi i loro enti territoriali, non potrebbero essere più chiari.

Era quindi più che prevedibile che prima o poi le disposizioni di legge che prevedevano rinnovi generalizzati e automatici delle concessioni di aree demaniali sarebbero state contestate; il che si è puntualmente verificato con le due cause pregiudiziali riunite C-458/14 (dal Tar Lombardia) e C-67/15 (dal Tar Sardegna).

Nella sentenza del 14 luglio 2016 la Corte di giustizia, proprio con riferimento all’analoga proroga (Dl 194/2009, articolo 1, comma 18) delle concessioni di aree demaniali marittime che ha preceduto l’ultima, disposta con la legge di Bilancio 2019, ha enunciato i seguenti principi interpretativi:

le concessioni demaniali di diritto italiano sono da qualificare come “autorizzazioni” secondo l’articolo 12 della direttiva 123 in quanto costituiscono “atti formali” che i prestatori di servizi devono ottenere preventivamente dalle amministrazioni nazionali competenti al fine di poter esercitare la loro attività economica;

una proroga ex lege delle concessioni equivale al loro rinnovo automatico «che è escluso dai termini stessi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123»;

la proroga automatica delle concessioni aventi ad oggetto lo sfruttamento economico del demanio marittimo non consente di organizzare una selezione pubblica fra più candidati, con tutte le garanzie di imparzialità e trasparenza richieste dallo stesso articolo 12.
È sulla base di questa sentenza della Corte di giustizia che il Tar Lombardia, nella sua decisione del 24 gennaio 2017, n. 153, ha semplicemente disapplicato il Dl 194/2009 e ha confermato il provvedimento amministrativo con il quale il Consorzio dei comuni della sponda bresciana del Lago di Garda aveva respinto l’istanza di rinnovo della concessione senza procedura pubblica, presentata dalla Promoimpresa la cui concessione era nel frattempo scaduta.

Platea estesa

Meno nota al grande pubblico è invece la più recente sentenza del 30 gennaio 2018 emanata dalle sezioni unite della Corte di giustizia nella causa C-360/15 Visser. Qui la Corte di giustizia ha chiarito che tutte le disposizioni del capo terzo della direttiva 2006/123 disciplinanti la «Libertà di stabilimento dei prestatori» (di servizi), compreso quindi l’articolo 12 relativo alle autorizzazioni, «devono essere interpretate nel senso che si applicano anche ad una situazione i cui elementi rilevanti si collocano all’interno di un solo Stato membro».

Con questa pronuncia la Corte ha quindi drasticamente esteso la platea dei potenziali controinteressati alla proroga automatica delle concessioni: non più qualche decina di operatori economici di altri Stati membri, ma migliaia di imprese balneari italiane e potenziali candidate alla concessione di un’area demaniale, che si sono viste riconoscere dalla Corte Ue il diritto ad una procedura pubblica di aggiudicazione della concessione stessa.

Come potranno queste imprese far valere in giudizio il loro diritto ad una selezione pubblica aperta a più candidati? L’Ue mette a disposizione un’azione di risarcimento danni i cui tre presupposti sono stati individuati dalla Corte di giustizia nella sentenza Francovich C-6/90 e in decine di altre sentenze successive:

la norma europea violata deve conferire dei diritti ai singoli, che in questo caso sono gli operatori balneari esclusi dalle concessioni a causa delle proroga automatica;

la violazione commessa dallo Stato deve essere «sufficientemente caratterizzata», vale a dire grave e manifesta e dopo quanto precisato dalla Corte di giustizia nella sentenza C-458/14 non vi è più alcun dubbio che la violazione dell’articolo 12 sia stata commessa dal Parlamento con piena cognizione di causa;

deve esistere un nesso di causalità fra violazione dell’obbligo e danno subito dagli operatori balneari esclusi per l’assenza di procedure pubbliche di aggiudicazione.

Più numerose saranno le azioni di risarcimento intentate dagli operatori lesi dalla proroga, più alte saranno le probabilità di un secondo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dall’esito, a questo punto, quasi scontato. Non vi è dubbio infine che, per motivi procedurali, una sentenza pregiudiziale della Corte arriverebbe molto prima di una condanna a seguito dell’avvio di un procedimento di infrazione.

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