Penale

Sul suicidio assisitito lo scudo del consenso informato

di Giovanni Negri

Il giorno dopo l’apertura della Corte costituzionale sul suicidio assistito è quello delle prese di posizione, delle promesse, degli attacchi. E così, se il presidente della Camera Roberto Fico garantisce un intervento nel solco di quanto ha indicato la Corte e in tempi veloci, la Cei, per bocca del segretario generale Stefano Russo, parla di «presupposti di una cultura della morte in cui la società perde il lume ella ragione». E allora, ricordato che in Parlamento giacciono 13 disegni di legge, uno dei quali di iniziativa popolare, è dal dato giuridico che occorre ripartire.

Le motivazioni della sentenza, le cui conclusioni sono state anticipate mercoledì sera in un comunicato, saranno disponibili solo tra qualche settimane (un mese, pare), ma intanto in mattinata è arrivata una piccola ma significativa correzione da parte della stessa Consulta. Che, per quanto sia possibile una distinzione nell’ambito della natura delle sofferenze, chiarisce che quelle che devono accompagnare la patologia irreversibile potranno essere fisiche oppure psicologiche e non necessariamente entrambe, come nella prima versione del comunicato.

La Consulta non ha cancellato il reato di suicidio assistito, ma ne ha ridotto l’area di applicabilità, escludendo che posano essere punite (con una sanzione, tra l’altro, identica a quella che colpisce , l’istigazione, 12 anni) le condotte di chi aiuta a togliersi la vita una persona colpita da una malattia irreversibile, con sofferenze intollerabili, tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e tuttavia in condizioni di prendere decisioni libere e consapevoli.

Una formulazione tale da scongiurare un’apertura indiscriminata a situazioni che poco o nulla hanno a che vedere con quella approdata alla Corte (il suicidio di Dj Fabo, tetraplegico e cieco, dopo un gravissimo incidente stradale, ma nel possesso delle facoltà mentali). A venire escluse sono tutte quelle situazioni, per esempio, di depressione, anche grave, di “male di vivere”, anche giovanile, di malattie gravi ma non in vita solo per la somministrazione di trattamenti.

La Corte scrive poi di «proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi» e individua nella legge sul consenso informato, la n. 219 del 2017 e, in particolare, negli articoli 1 e 2, lo strumento oggi disponibile per evitare abusi nei confronti di individui evidentemente di particolare fragilità (casi nei quali ha appunto senso la conservazione del reato). Norme che delineano una procedura medicalizzata dove, appunto, è il medico la figura chiave nel rapporto con il paziente per la formulazione di una volontà consapevole. Un consenso che poi, come prevede la legge, dovrà essere sempre tracciabile e concretizzato in scritti o video. Starà poi alle strutture sanitarie pubbliche verificare l’esistenza delle condizioni definite.

Ed è, come era prevedibile, in buona parte sul ruolo dei medici che si sono concentrate le polemiche. Con l’Associazione dei medici cattolici che ha messo in primo piano la necessità di rispettare il codice deontologico che nella tutela della vita vede il baricentro e il parere di giuristi come Giovanni Maria Flick e Michele Ainis che invece ricordano l’ovvia prevalenza della legge su qualsiasi prescrizione deontologica.

Di sicuro toccherà alla legge,che la stessa Corte costituzionale ritiene indispensabile, intervenire per prevedere anche la possibilità di un’obiezione di coscienza che da molti ambienti, non solo cattolici, è considerata opportuna.

Corte costituzionale, comunicato del 25 settembre 2019

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