Civile

Cassazione: «Maradona può beneficiare del condono fiscale»

La Suprema corte, ribaltando una decisione della Commissione tributaria centrale del 2013, ha sancito che Maradona, quale dipendente della Società sportiva calcio Napoli, aveva diritto a beneficiare del condono attraverso il quale quest’ultima ha risolto la controversia su presunti pagamenti in nero effettuati tra il 1986 e il 1990

di Marco Bellinazzo

Ci sono voluti 30 anni per dirimere la vertenza tra il Fisco italiano e Diego Armando Maradona ed impedire che ai danni del Pibe de oro si concretizzasse una forma di «denegata giustizia», come l’ha definita la Corte di cassazione nell’ordinanza 6854 depositata ieri con cui è stata scritta la pagina decisiva, anche se non ancora definitiva, su questa storia. Una soddisfazione amara per gli eredi di Maradona, deceduto lo scorso 25 novembre in Argentina.

La Suprema corte, ribaltando una decisione della Commissione tributaria centrale del 2013, ha sancito che Maradona, quale dipendente della Società sportiva calcio Napoli, aveva diritto a beneficiare del condono attraverso il quale quest’ultima ha risolto la controversia su presunti pagamenti in nero effettuati tra il 1986 e il 1990. In particolare, il Fisco contestava al club all’epoca presieduto da Corrado Ferlaino (ma si trattava in realtà di una prassi consolidata nel mondo del calcio e non solo) di aver corrisposto, oltre all’ingaggio, ulteriori compensi per decine di miliardi di lire simulando uno sfruttamento dei diritti d’immagine acquisiti da società estere (come la Diego Armando Maradona Productions di Vaduz) che poi “triangolavano” i proventi agli stessi atleti (di cui erano diretta emanazione) sottraendoli così al prelievo dell’Erario.

Nel 1991 gli avvisi di accertamenti, oltre che nei confronti di Maradona, erano stati spediti anche ai brasiliani Careca e Alemao. Questi ultimi, come il club sostituto d’imposta, impugnarono i provvedimenti. Al contrario di Maradona che aveva già lasciato Napoli e che solo in seguito ricevette tre avvisi di mora (il primo nel 1993 tramite il Consolato di Siviglia).

La vicenda giudiziaria scaturita dalle impugnazioni vide in primo grado il giudice (decisione n. 3230/93) confermare le accuse del Fisco, ma in secondo grado la Commissione tributaria regionale annullò gli accertamenti ritenendo che l’ufficio imposte non avesse fornito la prova che la triangolazione all’estero dei diritti d’immagine avesse finalità elusive e che ci fosse stata una interposizione fittizia delle strutture estere, ricordando peraltro come in ambito penale «per tutti e tre i calciatori era stato escluso che i corrispettivi versati agli sponsor fossero in realtà ulteriori retribuzioni».

Nonostante questa decisione favorevole nel 2004 la curatela del club partenopeo, nel frattempo fallito, decise di aderire al condono pagando il 10% delle somme contestate. Maradona che non aveva potuto beneficiare della sentenza tributaria chiese allora di aderire al condono.

Una chance negata nel 2013 e concessa oggi dalla Cassazione per la quale «la definizione agevolata cui ha aderito la società può estendersi al calciatore Maradona» per effetto della “solidarietà passiva”.

Ora toccherà alla Commissione regionale della Campania rivalutare la posizione tributaria di Maradona e l’entità del suo debito salito negli anni tra sanzioni e interessi sopra quota 40 milioni di euro.

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