Giochi online nei locali pubblici, norma da riscrivere: divieto troppo esteso
La Corte costituzionale, sentenza n. 104 depositata oggi, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 7, comma 3-quater, del “decreto Balduzzi” del 2012
È illegittimo il divieto di mettere a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, apparecchiature che consentano di giocare sulle piattaforme online. La Corte costituzionale con la sentenza numero 104, depositata oggi, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 7, comma 3-quater, del “decreto Balduzzi” del 2012. La disposizione vietava la messa a disposizione di apparecchiature che consentono l’accesso al gioco sia legale che illegale, ossia praticato al di fuori della rete dei concessionari o dei soggetti autorizzati. Essa, inoltre, colpiva allo stesso modo sia la destinazione occasionale delle apparecchiature al gioco, sia quella esclusiva e permanente.
I ricorsi sono stati promossi, nell’ambito di giudizi di opposizione a sanzioni amministrative irrogate nei confronti di titolari di pubblici esercizi, dal Tribunale ordinario di Viterbo e dalla Corte di cassazione, sezione seconda civile, per contrasto con l’art. 3 Cost., per il carattere assoluto e indiscriminato del divieto che colpisce la mera messa a disposizione anche di personal computer a navigazione libera, a prescindere dall’effettivo collegamento a siti di gioco online. È denunciata, inoltre, la violazione dell’art. 25 Cost., per l’indeterminatezza della fattispecie.
La Consulta ricorda che la disposizione censurata è stata inserita, in sede di conversione del d.l. n. 158 del 2012, nell’ambito dell’art. 7, dedicato alle «misure di prevenzione per contrastare la ludopatia». Essa vieta «la messa a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on-line, da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza, ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità». Vi rientrano dunque sia gli esercizi abilitati all’installazione degli apparecchi da gioco (come sale bingo, agenzie per l’esercizio delle scommesse su eventi sportivi, negozi di gioco, sale pubbliche da gioco ed esercizi dediti esclusivamente al gioco, sale da biliardo, circoli privati), sia qualunque altro esercizio commerciale, compresi gli internet point. Il divieto, infatti, stando alla lettera della legge, riguarda non solo i cosiddetti totem (ossia dispositivi destinati in via esclusiva al gioco online), ma anche gli strumenti a navigazione libera, ossia qualsiasi dispositivo idoneo al collegamento a siti di gioco online, compresi personal computer, tablet o apparecchi analoghi, che consentano di navigare in rete. Prescindendo dunque dalla possibilità di configurare tali dispositivi come congegni da gioco, poiché rileva soltanto la circostanza che la messa a disposizione degli stessi avvenga all’interno di un pubblico esercizio.
Per la Corte sebbene tale disposizione persegua la legittima e meritevole finalità di contrastare la ludopatia, risulta tuttavia viziata da irragionevolezza e difetto di proporzionalità in quanto eccessivamente inclusiva, poiché riferita a una gamma assai estesa di comportamenti, connotati da un diverso grado di offensività e da rilevanti differenze di disvalore.
L’illegittimità costituzionale, prosegue la Corte, va apprezzata anche alla luce della giurisprudenza di Lussemburgo, secondo cui le restrizioni alla libera prestazione dei servizi devono risultare proporzionali (Cgue, nona sezione, sentenza 16 marzo 2023, causa C 517/20). In particolare, occorre verificare se rispondano all’intento di ridurre le occasioni di gioco e combattere la criminalità. In definitiva, nel caso in esame, il divieto, nella sua indiscriminata estensione, sacrifica in modo irragionevole e sproporzionato altri interessi contrapposti, fra i quali la libertà di impresa.
La Consulta ha dunque dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, per violazione degli artt. 3, 41, 42, 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE, con assorbimento di ogni altro profilo. La dichiarazione di illegittimità ha travolto anche l’art. 1, co. 923, primo periodo, della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui stabilisce la sanzione amministrativa di ventimila euro per la violazione dell’art. 7, comma 3-quater, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito.
La Corte ha, infine, precisato che spetta al legislatore l’adozione di ulteriori e idonee misure di contrasto della ludopatia.