Lavoro

Il "nuovo" contratto di espansione: opportunità per le imprese

La Legge di Bilancio ha da un lato "aperto" le porte del contratto di espansione alle imprese con almeno 500 dipendenti e, dall'altro, ha espressamente previsto la possibilità per le imprese con almeno 250 unità di utilizzare il solo strumento dello scivolo pensionistico a favore dei lavoratori che distino massimo 5 anni dalla pensione di vecchiaia, a fronte del riconoscimento in loro favore di un assegno pari alla pensione maturata al momento della cessazione del rapporto di lavoro (dedotto il valore della NASPI)

di Alessandro Ferrari


La legge di Bilancio 2021 (n. 178 del 30 dicembre 2020) ha provveduto, tra le varie cose, ad apportare alcune modifiche in merito all'impianto normativo del contratto di espansione così come in precedenza disciplinato, avendo di fatto prorogato la possibilità di utilizzo dello stesso strumento per un anno rispetto alla formulazione originaria del c.d. decreto Crescita, oltre ad avere ampliato la potenziale platea di imprese beneficiarie: tali novità, meglio analizzate in seguito, suggeriscono almeno di "rivalutare" lo strumento - fino ad ora poco utilizzato dalle imprese italiane - anche e soprattutto in funzione della sempre più attuale Digital Revolution che, tra le varie cose, sta modificando e comunque influenzerà il mondo del lavoro.

Salvo gli interventi di cui si dirà a breve, l'art. 1, comma 349 della Legge di Bilancio rimanda alla disciplina originaria prevista dall'articolo 41, D.lgs. n. 148/15, per cui l'impianto normativo di base del contratto di espansione rimane invariato.

Nello specifico, questo strumento, così come introdotto nel Jobs Act da parte dell'art. 26-quater del D.L. 30 aprile 2019, n. 34 abrogando la precedente figura del contratto di solidarietà espansivo, è stato creato appositamente per tutte quelle imprese di organico superiore alle 1000 unità che vogliono attuare un piano di reindustrializzazione e riorganizzazione che comporta la modifica dei processi aziendali (in ottica di sviluppo tecnologico dell'attività) e correlata esigenza di intervenire sulle competenze professionali esistenti (anche mediante assunzione di nuove figure).

In tale ottica, l'impresa interessata può stipulare il detto contratto di espansione con le parti sociali interessate (secondo la procedura prevista ex art. 24, D.lgs. n. 148/15 in materia di accesso alla cassa integrazione straordinaria), dando atto in particolare delle assunzioni previste e dei piani di formazione e di riqualificazione prospettati (sul punto, vedasi il comma 8 del detto art. 41 e la circolare n. 16/2019 del Ministero del Lavoro), il tutto in costanza di integrazione salariale (per un massimo di 18 mesi e di norma con una riduzione oraria non superiore al 30%).

Inoltre, l'azienda aderente al suddetto programma può attivare uno scivolo pensionistico (per lavoratori a non più di 5 anni dal conseguimento del diritto alla pensione, a fronte dell'erogazione in loro favore di una indennità commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato, eventualmente comprensiva di NASPI); mentre qualora fosse impossibile far uso del detto scivolo pensionistico, i lavoratori possono essere coinvolti negli anzidetti piani di formazione e riqualificazione in costanza di integrazione salariale.

Questo, appunto, l'impianto normativo di base, che è stato confermato dalla Legge di Bilancio.

Venendo alle novità, nel tentativo di promuovere e favorire l'utilizzo dello strumento in oggetto, la Legge di Bilancio ha, tra le altre cose, da un lato "aperto" le porte del contratto di espansione (mantenendo invariata la disciplina di cui sopra) alle imprese con almeno 500 dipendenti; e dall'altro ha espressamente previsto (comma 5-bis dell'art. 41) la possibilità per le imprese con almeno 250 unità di utilizzare il solo strumento dello scivolo pensionistico (la CIGS è esclusa da tale previsione) a favore dei lavoratori che distino massimo 5 anni dalla pensione di vecchiaia (o, se decorrente prima della vecchiaia, dalla pensione anticipata ordinaria), a fronte del riconoscimento in loro favore di un assegno pari alla pensione maturata al momento della cessazione del rapporto di lavoro (dedotto, questa volta, il valore della NASPI).

Ora, al di là dell'apparato normativo di cui, seppur brevemente, si è dato atto, è interessante notare come, proprio come accadde quando il contratto di espansione prese il posto dell'assai poco diffuso contratto di solidarietà espansiva - che nonostante i numerosi tentativi di rilancio e restyling non aveva mai preso piede, a differenza di quello difensivo, oggi tipizzato come causale CIGS - è ancora oggi forte il desiderio del legislatore di individuare uno strumento utile per le imprese che possa da un lato contribuire allo sviluppo economico delle stesse, e dall'altro favorire un talvolta necessario ricambio generazionale (in tal senso, basti pensare al tentativo di rendere ulteriormente attrattivo e favorevole il prepensionamento, con l'introduzione del detto comma 5-bis) nonché un processo di crescita professionale del lavoratore.

Insomma, sebbene di fatto raramente utilizzato nel recente passato, non può essere messo in dubbio che il contratto di espansione si ripropone oggi come un ambizioso strumento di innovamento, di ricambio generazionale, di formazione e appunto di avvicinamento alla pensione, dotato di gran potenziale.

In tal senso, se è vero che lo strumento presenta ancora dei "lati oscuri" che necessitano di chiarimenti (tra tutti, l'ormai celebre questione dell'assoggettamento della CIGS del contratto di espansione a contribuzione addizionale o meno, tema con importanti ricadute sull'effettivo costo che l'impresa deve sostenere), lo stesso rappresenta di fatto l'unico oggi a disposizione delle aziende che – in costanza di un trattamento di integrazione salariale – guarda realmente al futuro ed alla crescita, non soltanto imprenditoriale ma anche professionale del singolo lavoratore.

Da un lato, infatti, il contratto di espansione permette alle imprese di porre le fondamenta per un nuovo modello di business (si veda, da ultimo, il contratto di espansione firmato da TIM, fortemente indirizzato al mondo digitale, con una forte propensione per lo smart-working ed il telelavoro; o quello firmato da Ericcson, dichiaratamente attuato per rispondere alla trasformazione digitale) verso il quale forse – emergenza epidemiologica a parte – le stesse aziende sarebbero comunque obbligate a virare nel breve periodo per stare al passo con l'era della digitalizzazione; dall'altro, se promuovendo l'assunzione di personale (per citare ancora il caso TIM: 600 innesti tra il 2019 ed il 2020) garantisce senza dubbio una grande occasione per figure giovani e skillate di fare ingresso nella nuova organizzazione del lavoro e di creare cambiamento e innovazione, anche culturale (almeno in attesa di concrete politiche attive in loro favore, la cui necessità è stata a più riprese ribadita, anche dall'UE), prescrivendo l'adozione di piani di formazione / riqualificazione permette anche ai soggetti più senior di acquisire nuove competenze per stare al passo con i tempi e non essere tagliati fuori dal nuovo mondo del lavoro: il tutto, comunque, anche a vantaggio dell'imprenditore che, in definitiva, si ritroverebbe a gestire personale più all'avanguardia.

Insomma, al netto di tutti i dubbi/perplessità legati al contratto di espansione che, ci si augura, verranno risolti a breve dagli addetti ai lavori, vista anche e soprattutto l'era di cambiamento che stiamo vivendo e le opportunità in termini di business che questa può rappresentare (se le aziende saranno in grado di adattarsi tempestivamente), potrebbe essere giunta l'ora per le imprese di "osare" qualcosa di più rispetto al passato e forse, per una volta, sfruttare al meglio le opportunità offerte dal legislatore…

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