Civile

Il leasing finanziario: ancora discussa la sua natura di contratto di finanziamento

Il contratto di leasing finanziario deve indicare l'Indice Sintetico di Costo? Dottrina e giurisprudenza di legittimità a confronto

di Gianfranco Di Garbo



Il cospicuo contenzioso tra aziende di credito e soggetti finanziati si arricchisce di una nuova sentenza, questa volta chiaramente "ex parte creditoris" del Tribunale di Milano (sent.20.12.2020 Giudice dott.ssa Filippi ). Tra i vari punti di interesse della sentenza ne scegliamo uno che è particolarmente significativo, anche per profili riguardanti il sistema delle fonti normative in ambito bancario e finanziario.

Semplici sono i fatti di causa e anche, alla fine dell'istruttoria, pacifici, perché il Tribunale dà atto che una CTU aveva accertato che in un contratto di leasing finanziario il tasso di leasing (c.d. T.I.R.) pattuito e indicato nel contratto e quello effettivamente applicato erano risultati differenti, a svantaggio del soggetto finanziato che aveva chiesto l'applicazione del tasso "tasso Bot" secondo i criteri indicati all'117 del D.Lgs 385/1993 ("TUB") per i contratti "bancari e finanziari" (capo I del titolo VI).

La norma sembra, a un primo esame, precisa sia nella parte dispositiva ("4. I contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora") che nella parte sanzionatoria (" 7. In caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione").

E' poi lo stesso TUB che definisce quale sia l'ambito di applicazione dell'art. 117, nell'ambito del titolo VI ("trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti").

Dispone infatti l'art. 115 che "1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività svolte nel territorio della Repubblica dalle banche e dagli intermediari finanziari…. 3. Le disposizioni del presente capo, a meno che siano espressamente richiamate, non si applicano ai contratti di credito disciplinati dai capi I-bis e II e ai servizi di pagamento disciplinati dal capo II-bis.".

Dopo aver verificato che il contratto di leasing non rientra tra quelli esclusi dalla normativa di cui trattasi dal 3° comma dell'art. ultimo citato, continuiamo nell'analisi, rilevando che l'art. 117 al comma 8 consente alla Banca d'Italia di "prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato".

Si tratta di un rinvio della legge a una norma di natura amministrativa (emessa dalla Banca D'Italia) i cui limiti dovrebbero essere circoscritti a una migliore descrizione del contenuto di certi contratti, al fine di farli rientrare nell'ambito di quei contratti "bancari e di finanziamento" che, come abbiamo visto, sono oggetto delle disposizioni del Titolo IV del TUB.

Senonché le Istruzioni di Vigilanza della Banca d'Italia (circolare n.. 229 del 21 aprile 1999 - 9° Aggiornamento del 25 luglio 2003 Indice: pagg. 28 e 29), vigenti all'epoca della stipula del contratto de quo, testo su cui dichiaratamente si basa la difesa della banca che ha convinto il Tribunale, prevedevano che "Il contratto e il "documento di sintesi" di cui al par. 8 della presente sezione riportano un "indicatore sintetico di costo" (ISC), calcolato conformemente alla disciplina sul tasso annuo effettivo globale (TAEG), ai sensi dell'art. 122 del T.U. e delle relative disposizioni di attuazione, quando hanno a oggetto le seguenti categorie di operazioni indicate nell'allegato alla delibera del CICR del 4 marzo 2003: mutui; anticipazioni bancarie; altri finanziamenti".

Negli "altri finanziamenti", secondo la tesi sottesa dalla sentenza del Tribunale, non rientrerebbe il leasing finanziario perché detta tipologia contrattuale sarebbe differente da quella degli "altri finanziamenti" espressamente prevista dall'elenco delle operazioni contemplato nell'allegato alla delibera del CICR alle quale le Istruzioni rinviano.

In sostanza, quindi, il ragionamento è il seguente: posto che l'ISC (calcolato come il TAEG) è richiesto solo per i mutui, le anticipazioni bancarie e gli "altri finanziamenti" e posto altresì che il leasing finanziario sarebbe un'operazione diversa dagli "altri finanziamenti", per il leasing non sarebbe richiesta l'indicazione dell'ISC (o del TAEG).

Una siffatta impostazione, che muove dall'assunto secondo cui la Banca d'Italia ha il potere di indicare quali sono i contratti per i quali può non essere indicato l'ISC, è ad avviso dello scrivente molto discutibile sotto il profilo della ratio della norma generale in tema di trasparenza: essa non sembra infatti corrispondere al limitato ambito dei poteri attribuiti alla Banca d'Italia, né appare coerente con l'impianto generale delle Istruzioni della stessa.

Ed infatti l'art. 117 T.U.B. (norma applicabile, come già rilevato, a qualsivoglia rapporto riguardante "operazioni e servizi bancari e finanziari", capo I del titolo VI, dedicato alle norme sulla trasparenza) prevede solo che la Banca d'Italia possa prescrivere che determinati contratti abbiano contenuto tipico determinato e solo con un salto logico-interpretativo la Banca d'Italia si è auto-assegnata il potere di escludere dal novero dei contratti bancari e finanziari alcuni contratti che dichiaratamente hanno questa natura (come il "leasing finanziario").

Si può quindi ragionevolmente sostenere, in altre parole, che il rinvio operato dalle Istruzioni della Banca d'Italia alla delibera CICR non poteva escludere determinati contratti dal novero di quelli a cui si applica l'art. 117. Si noti, in proposito, che la stessa delibera CICR, nel punto 6 delle premesse, che l'art.117 TUB demandava al CICR il solo compito di dettare disposizioni in materia di "forma dei contratti".

Dalla lettura delle norme che precedono è infatti evidente che il TUB non conferiva alla Banca d'Italia il potere di ridefinire l'ambito di applicazione delle norme sulla trasparenza, ma soltanto quello di arricchire o precisare il contenuto tipico di detti contratti.

Il punto era già ben presente ad autorevole dottrina (DE NOVA, La tipizzazione amministrativa dei titoli e dei contratti prevista dall'art. 117, comma 8 del testo unico bancario in Quaderni di ricerca giuridica di Banca d'Italia, 1997, pag. 65 e ss.) che commentando l'art. 117 aveva osservato che dalla lettura dei lavori parlamentari l'intenzione della prima versione della predetta norma era quella "di attribuire alla Banca d'Italia non il potere di limitare l'autonomia contrattuale … bensì, appunto, di prescrivere che particolari denominazioni siano riservate a titoli e contratti che abbiano contenuto determinato dalla medesima Banca d'Italia. Non mi risulta - proseguiva l'Autore - che il passaggio dal testo del progetto al testo attuale dell'art. 117, comma 8, sia il frutto di un mutamento di sostanza nell'impostazione del problema. D'altronde - leggiamo ancora - che alla Banca d'Italia non sia affidato un potere di eteronormazione risulta anche dal testo vigente dell'art. 117, comma 8. Si parla, infatti, di "contenuto tipico determinato" per titoli e contratti individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualitativi, e cioè, appunto, di connotazione. Se si fosse trattato di un potere di eteroregolamentazione, si sarebbe detto, sulla falsariga dell'art. 1374 cod. civ., che "i contratti producono gli effetti determinati dalla Banca d'Italia". Argomento importante a favore della tesi da me prospettata deriva dalla collocazione sistematica della norma, che fa parte del titolo "trasparenza delle condizioni contrattuali". Il potere di connotazione ben si inquadra nella trasparenza, perché garantisce al cliente che al nome corrisponde il contenuto; del tutto estraneo alla trasparenza sarebbe un potere di eteronormazione".

La conclusione del DANOVA (scritte prima dell'emissione delle Istruzioni del 2003) era che "L'aggettivo "tipico" è stato inteso dalla Banca d'Italia nel senso di "caratteristiche minime necessarie". L'interpretazione mi pare corretta, ma un'osservazione si impone. Se il titolo (il contratto) presenta quelle caratteristiche minime, ma presenta anche caratteristiche ulteriori, il precetto è rispettato? Direi di sì, ma a condizione che le caratteristiche ulteriori non smentiscano le caratteristiche minime necessarie perché altrimenti il titolo (il contratto) è difforme. Con la conseguenza che il titolo (il contratto) è nullo".

La Banca d'Italia, a cui rinviava l'art.117, ha ignorato le indicazioni dell'illustre Autore e con le Istruzioni del 2003 ha operato un rinvio a un'altra norma amministrativa, una delibera del CICR di qualche mese prima.

La tecnica del doppio rinvio crea, di per sé, più di un problema sistematico.

Secondo la più nota distinzione dottrinale, si tratta nel primo caso (rinvio dall'art. 117 TUB alla Banca d'Italia) di una forma di rinvio c.d. dinamico, caratterizzato dal fatto che la disposizione rinviante rimette il completamento di una disposizione ad un'altra fonte (la Banca d'Italia), mentre nel secondo caso (rinvio da Banca d'Italia alla delibera CICR) si tratta di un rinvio c.d. statico perché la rimessione è fatta unicamente ad una diversa e ulteriore disposizione.

Ambedue le forme di rinvio sono largamente utilizzate dal legislatore; in questo caso però la situazione è complicata dal fatto che si tratta di un rinvio a catena (tecnica che le norme di "drafting" normalmente sconsigliano) che rende ancora più delicata la ricostruzione definitiva della fattispecie normativa perché occorre evitare che alla fine della "catena" la norma che le ha dato origine ne risulti travisata o illegittimamente ampliata. Trattandosi in materia di diritti, la posizione più rigorosa condurrebbe alla conclusione che la relativa disciplina possa essere dettata soltanto dalla fonte a cui è fatto rinvio (con illegittimità, quindi di rinvii ulteriori).

La natura e l'estensione e di questo articolo ci impediscono di approfondire questo argomento di natura costituzionale e ci limitiamo a segnalare la dubbia legittimità della tecnica legislativa utilizzata. Ma non si può fare a meno di osservare che, anche ammettendo l'ammissibilità in astratto del rinvio a catena, la conclusione che se ne deduce, e cioè che l'"indicatore sintetico di costo" (ISC) debba essere obbligatoriamente indicato solo per i mutui, le anticipazioni bancarie e gli "altri finanziamenti", limita l'ambito di applicazione dell'art. 117 e costituisce da parte della Banca d'Italia l'esercizio di quello che il DANOVA definì un potere "eteronormativo" che non le apparteneva.

Non è la prima volta che la Banca d'Italia travalica i limiti entro i quali si può esplicare la sua attività di fonte secondaria della normativa in materia bancaria e finanziaria. La giurisprudenza di Cassazione, infatti, in termini generali, ne ha preso più volte le distanze, statuendo che "le circolari e le istruzioni della Banca d'Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d'Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell'elemento oggettivo. Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, neppure quale mezzo di interpretazione …" (Cass. pen. n. 46669/2011). Nel settore vicino a quello che ci interessa si segnala una sentenza del Tribunale di Como dell'11 ottobre 2017, secondo la quale "le istruzioni della Banca d'Italia, che non costituiscono fonte del diritto, non sono vincolanti nell'ambito della determinazione dell'usurarietà dei tassi di interessi applicati ad un contratto di mutuo, avendo esse il solo scopo di richiedere agli intermediari dati da fornire al Ministero del Tesoro al fine di valutare il TEGM da osservarsi per il trimestre successivo …" .

Tornando al contratto di leasing finanziario, della sua natura hanno preso atto, implicitamente o esplicitamente, diverse sentenze, che hanno fatto rientrare il leasing finanziario tra i contratti di finanziamento: per tutte si ricordi Cass. n. 25125 del 2006, secondo la quale "il contratto di leasing, indipendentemente dal carattere traslativo o di godimento, configura un contratto atipico in cui si realizza un collegamento negoziale tra l'opzione d'acquisto e la concessione in godimento del bene oggetto del contratto. Entrambi i negozi sono inscindibilmente avvinti da un'unica funzione, ossia il finanziamento per l'acquisto di beni".

Ma contrarie alla sentenza in esame, che peraltro rispecchia l'orientamento prevalente del Tribunale di Milano (es. la n. 13179/2016), sono anche altre sentenze di merito, tra le quali ricordiamo:

a) una sentenza del Tribunale di Bologna (sez. II, del 1/04/2014) emessa in sede fallimentare, che ha preso atto come "il legislatore dimostra di aver abbandonato la tradizionale distinzione tra le due figure di leasing traslativo e di godimento (così anche Cass. 4862/2010) riconducendo a unità tale tipo di contratto, costruendo il contratto di leasing come figura di contratto di durata che ha come unica causa il finanziamento (come dimostra il meccanismo dell'art. 72quater, che consente alla società di leasing il recupero di tutto il capitale impiegato, oltre che di trattenere per intero tutti i canoni riscossi, interessi compresi");

b)un'importante sentenza della Corte di Appello di Torino (n. 699 del 16.04.2018), che ha statuito, proprio per i contratti di leasing finanziario, che "la sia pur minima differenza tra il tasso indicato nel contratto da quello effettivamente previsto ed applicato, non può certo evitare di constatare l'avvenuta violazione dell'art 117 Tub e la conseguente applicazione della sanzione ivi prevista".

Non c'è che augurarsi, quindi, che, alla luce delle considerazioni che precedano, l'anomalia venga corretta o in sede di revisione delle Istruzioni della Banca d'Italia, o in sede di giurisprudenza di legittimità, in modo che venga definitivamente disattesa la tesi secondo cui il contratto di leasing finanziario non debba indicare l'ISC e eliminando così quella opacità a cui questa figura contrattuale è condannata, in spregio al principio di trasparenza cui dovrebbe uniformarsi la normativa primaria e secondaria per tutti i rapporti bancari e finanziari, senza ingiustificate discriminazioni.

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