Legittima la norma italiana che assoggetta all'imposta unica i bookmakers esteri privi di concessione
Con la sentenza dello scorso 26 febbraio (C-788/18) la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, mettendo fine a un contrasto che si trascinava da anni, ha confermato che non collide con il diritto comunitario la normativa italiana che assoggetta al pagamento dell'imposta unica anche i bookmakers esteri privi di concessione. Secondo il Giudice Europeo, inoltre, l'Amministrazione finanziaria può richiedere il versamento dell'imposta direttamente ai soggetti nazionali operanti per conto dei predetti bookmakers (cosiddetti Centri di raccolta dati - Ctd), con facoltà di agire, eventualmente, nei confronti degli operatori esteri quali obbligati in solido. Soggetti passivi dell'imposta unica, dunque, sono tutti gli operatori che gestiscono sistemi di scommesse, indipendentemente dal fatto che operino per proprio conto o per conto di terzi, dalla circostanza che siano o meno titolari di una concessione o dal luogo in cui si trova la loro sede, anche all'estero.
Il comparto delle scommesse - In Italia, la raccolta delle scommesse può essere effettuata esclusivamente dai concessionari individuati a seguito dei bandi di gara a evidenza pubblica indetti dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli (Adm), ovvero dai soggetti a cui è devoluta l'attività di organizzazione ed esercizio del gioco e delle scommesse attraverso i luoghi di vendita. Il comparto è estremamente diversificato. Si distingue tra di raccolta tradizionale - che si realizza quando il concessionario si avvale per l'attività di gioco di un "punto fisico" - e raccolta di a distanza, che si realizza quando l'offerta di scommesse è veicolata tramite internet o tramite telefono. Tanto per la raccolta fisica quanto per quella a distanza i concessionari, anche esteri, che offrono scommesse in Italia devono essere muniti di un'apposita concessione rilasciata dall'Adm.
Ctd - Le prime criticità relative alla tassazione della raccolta a distanza si sono registrate con il crescente flusso di scommesse verso i bookmakers esteri, soggetti che accettano le puntate provenienti dall'Italia pur essendo privi della necessaria autorizzazione, per mezzo dei centri di trasmissione dati. I "Ctd" sono esercizi dislocati sul territorio nazionale che fanno da tramite tra lo scommettitore e il bookmaker estero. La tematica relativa alla liceità dell'attività di intermediazione svolta da tali soggetti è stata per anni al centro non solo della giurisprudenza interna ma, altresì, da quella europea. Specie in seguito all'introduzione, a opera della legge 388/2000, dei commi 4-bis e 4-ter, dell'articolo 4 della legge 401/1989 i Ctd sono stati ripetutamente imputati per il reato di esercizio abusivo dell'attività di raccolta di scommesse in via telematica. Tali esercizi, tuttavia, continuano a difendere la legittimità del canale di raccolta "terrestre" (o retail) non autorizzato e parallelo a quello dei concessionari dello Stato nelle sedi giudiziarie, invocando i principi comunitari in materia di libera prestazione di servizi e libertà di stabilimento.
Quadro normativo fiscale - L'organizzazione e l'esercizio di giochi di abilità e scommesse è assoggettato a imposta unica. Ai sensi dell'articolo 3 del Dlgs n. 504 del 1998 i soggetti passivi dell'imposta unica sono «coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse». Il presupposto dell'imposta è integrato dall'esercizio dell'attività in quanto tale: è irrilevante il fatto che lo svolgimento dell'attività da gioco avvenga per conto proprio oppure in rappresentanza di un terzo.
Con la Legge di Stabilità 2011 è stato chiarito, da un lato, che «l'art. 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si interpreta nel senso che soggetto passivo d'imposta è chiunque, ancorché in assenza della concessione (…) gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all'estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere» e dall'altro, che: «se l'attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l'attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell'imposta e delle relative sanzioni» (art. 1, comma 66, lett. b) e, dall'altro, che l'articolo 1 del medesimo Dlgs n. 504/1998 «si interpreta nel senso che l'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato» (articolo 1, comma 66, lett. a).
La questione vagliata della Corte Ue - Nel suddetto contesto normativo si è assistito a un massiccio contrasto giurisprudenziale sull'assoggettabilità a imposta dei Ctd, chiamati dall'Adm al pagamento dell'imposta unica. Secondo la tesi dell'Amministrazione i Ctd sarebbero soggetti passivi dell'imposta, in quanto gestori delle scommesse per conto del bookmaker comunitario, soggetto che sarebbe coobbligato in via solidale per il pagamento del tributo, secondo il meccanismo previsto dall'articolo 64 del Dpr n. 600 del 1973. La questione è stata affrontata dalla Corte costituzionale che, con la sentenza 21 febbraio 2018, n. 27, ha affermato l'illegittimità dell'applicazione dell'imposta ai Ctd in relazione alle annualità precedenti al 2011, anno di entrata in vigore della Legge di Stabilità 2011. Per gli esercizi successivi, al contrario, la Corte ha escluso l'irragionevolezza dell'equiparazione del "gestore per conto terzi" (il titolare di ricevitoria) al "gestore per conto proprio".
L'interpretazione resa della Consulta ha aperto nuovi dubbi di compatibilità rispetto alla normativa e alla giurisprudenza europea. In considerazione, in primo luogo, della qualificazione delle ricevitorie dei bookmakers esteri privi di concessione come obbligati principali e "gestori" dell'attività di scommessa e, in secondo luogo, della giustificazione di un trattamento fiscale differenziato tra Ctd e ricevitorie collegate al concessionario statale.
Tali questioni sono state poste al vaglio della Cgue dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, sezione III, con l'ordinanza del 26 novembre 2018 n. 565. Il giudice a quo, in particolare, aveva rimesso alla Corte europea la valutazione della compatibilità della normativa nazionale con il diritto dell'Unione e, in particolare, della legittimità degli accertamenti con i quali l'Adm aveva riferito la titolarità del pagamento dell'imposta unica sulle scommesse, in via principale, al Ctd e, in via di obbligato solidale, al bookmaker estero.
Il Giudice europeo, dopo aver premesso che i giochi d'azzardo rientrano sia "nell'ambito di applicazione dell'articolo 56 TFUE" (libera prestazione di servizi) e che il ricorso al sistema delle concessioni può "costituire un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore", ha escluso l'esistenza di discriminazioni in funzione del luogo di stabilimento tra gli operatori, riscontrando che l'imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano. La Corte Ue ha chiarito, altresì, che la normativa interna non determina discriminazioni tra ricevitorie operanti per conto di bookmakers esteri e ricevitorie intermediarie di concessionari nazionali, in quanto le prime non si trovano a "in una situazione analoga a quella degli operatori nazionali". Concludendo, dunque, che "la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non comporta alcuna restrizione discriminatoria (…) e non pregiudica, per quanto le riguarda, la libera prestazione dei servizi".
Corte di giustizia dell'Unione europea – Sezione I – Sentenza 26 febbraio 2020