Penale

Le plusvalenze fittizie nel settore calcistico

All'indagato viene contestato di aver posto in essere tra la società di cui era Presidente del CdA e una seconda società - poi fallita - la fittizia compravendita di giovani calciatori a valori abnormi

di Mattia Miglio, Carlo Rombolà

Con la sentenza che qui si commenta, la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi delle tematiche inerenti al fenomeno delle plusvalenze fittizie nel settore sportivo.

Questa in estrema sintesi la vicenda sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità: veniva applicata all'indagato, in qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione di una società calcistica, la misura cautelare interdittiva del divieto temporaneo - avente durata di mesi otto - di rivestire cariche direttive in persone giuridiche e di esercitare imprese.

Tale misura veniva disposta nell'ambito di un procedimento penale nel quale - secondo l'imputazione provvisoria - veniva contestato di aver utilizzato fatture relative ad operazioni inesistenti nelle dichiarazioni fiscali relative agli anni di imposta dal 2014 al 2018, di aver emesso - nel medesimo periodo - fatture aventi ad oggetto prestazioni inesistenti, oltre che di aver indicato "nei bilanci della [...] società sportiva relativi agli anni in questione le plusvalenze rinvenienti da alcune di tali operazioni inesistenti" (cfr. p. 2).

Segnatamente, per quanto concerne i profili penal-tributari, veniva contestata la violazione dell' "art. 2 del dlgs n. 74 del 2000 per aver egli presentato una dichiarazione dei redditi fraudolentemente compilata tramite l'indicazione di elementi passivi relativi ad operazioni inesistenti" (p. 3), oltre che l'art. 8 D.Lgs. 74/2000 "per aver egli emesso, onde consentire a terzi l'evasione l'evasione delle imposte, fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti" (p. 3).

Nel merito, si contestava di aver posto in essere tra la società di cui era Presidente del CdA e una seconda società (poi fallita) la (fittizia) compravendita di giovani calciatori a valori abnormi: "in concorso con altri dirigenti di ulteriori società sportive, i quali sono sostanzialmente rei confessi, di avere fittiziamente acquistato e ceduto i diritti sulle prestazioni sportive di taluni giovani calciatori, apparentemente per importi molto elevati, al fine di realizzare fittizi utili, legati alla valorizzazione sportiva di costoro, tali da far apparire, in particolare agli organi ispettivi delle Federazione Italiana Giuoco Calcio incaricati di verificare l'andamento economico delle società calcistiche, il conseguimento di cospicue plusvalenze da iscrivere in tal modo in bilancio" (p. 2).

Un dato importante, se non decisivo, è proprio l'ammissione di colpa da parte dei dirigenti delle altre società sportive, sodali in affari con l'indagato: una testimonianza che, da sola, vale a sostenere l'intero impianto accusatorio.

Per altri versi, è sullo scopo che aveva ispirato le operazioni contestate che si impernia una delle censure mosse dal ricorrente; in particolare, secondo l'impostazione difensiva, "la reciprocità delle operazioni commerciali indicate come fittizie [...] sarebbe tale da annullare qualsivoglia vantaggio fiscale e comunque escluderebbe il dolo specifico" (p. 3), requisito imprescindibile ai fini dell'integrazione dei delitti ex artt. 2, 8 D.Lgs. 74/2000.

Come noto, infatti, per poter integrare l'art. 2 D.Lgs. 74/2000 è richiesto il dolo specifico di evasione - determinato dall'aver agito al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto - mentre, in via analoga, l'art. 8 prevede che il soggetto attivo agisca al fine di consentire a terzi l'evasione su imposte su redditi o sul valore aggiunto, richiedendo così la sussistenza del dolo specifico, rispetto al quale è indifferente il raggiungimento dell'evasione, risultando invece sufficiente ai fini dell'integrazione del reato il compimento dell'atto tipico purché supportato dalla finalità evasiva altrui.

Ci troviamo al cospetto, in altre parole, di un reato di pericolo, che si verifica allorquando l'offesa consista proprio nella messa in pericolo del bene giuridico (l'interesse fiscale dello Stato alla riscossione dei tributi) e necessiti, dunque, di una tutela penale anticipata.

Tutto ciò posto, nel rigettare l'assunto difensivo, la Corte focalizza l'attenzione su un aspetto fondamentale: per integrare le due fattispecie penal-tributarie appena ricordate, non è richiesto che la finalità di evasione sia perseguita dal soggetto agente in via esclusiva, ragion per cui ogni altra finalità può sussistere purché concorra con il dolo specifico d'evasione richiesto dagli artt. 2, 8 D.Lgs. 74/2000: "è stata ben chiarita dal Tribunale del riesame di (omissis) la circostanza che, per un verso, ai fini della sussistenza dei reati fiscali contestati, non vi è la necessità che il fine di evasione delle imposte ovvero di consentire a terzi l'evasione di imposta - operazione questa nel primo caso riferita al dichiarante fraudolento e nell'altro al soggetto che si avvale delle fatture relative ad operazioni inesistenti compiacentemente emesse dal reo - sia né l'unico scopo perseguito dal soggetto agente né il principale, potendo esso concorrere, sebbene in ipotesi statisticamente marginali, con altre finalità - così come si verifica nel presente caso in cui la finalità principale perseguita dalle parti era, con tutta verosimiglianza, quella di compiere un'operazione di maquillage contabile onde far risultare delle apparenti plusvalenze, legate alla valorizzazione di giovani calciatori, da esporre di fronte agli Ispettori della Federazione Italiana Giuoco Calcio - e, per altro verso, che proprio la reciprocità del meccanismo delle fittizie cessioni consentiva ai soggetti che se ne giovavano di realizzare le plusvalenze, le quali diversamente sarebbero state foriere di imposizione tributaria, neutralizzandole sul medesimo piano fiscale con i costi connessi alle avvenute acquisizioni del diritto alle prestazioni sportive di altri calciatori" (p. 4).

Tanto premesso, indipendemente dalla sorte del presente procedimento - come visto, ancora in essere - non si può non prendere in considerazione un aspetto cruciale: ossia che una delle due società coinvolte nelle operazioni oggetto dell'odierno procedimento è poi fallita, mentre all'odierno indagato - quale Presidente del Consiglio di Amministrazione dell'altra società coinvolta - viene (pur provvisoriamente) contestata la violazione degli artt. 2, 8 D.Lgs. 74/2000, fattispecie recentemente introdotte nel catalogo dei reati presupposto ai sensi della responsabilità amministrativa dell'ente ex D.Lgs. 231/2001.

Ora, pur volendo prescindere dalle ulteriori conseguenze derivanti dal (parallelo) procedimento sportivo a carico delle società e dei dirigenti coinvolti, la vicenda in esame offre l'occasione per qualche riflessione in merito alla cultura della gestione del rischio nell'ambito dell'organizzazione delle società calcistiche e, in particolare, sull'opportunità che tali società si dotino di adeguati assetti organizzativi in grado di monitorare e prevenire tali rischi mediante idonee misure di controllo.

Del resto, sono numerose le recenti disposizioni - non tutte ovviamente dedicate espressamente alle società sportive - che sembrano incentivare un nuovo approccio alla gestione (preventiva) dei rischi aziendali.

Focalizzando in primis l'attenzione sui profili di gestione della crisi di impresa, l'esigenza di pervenire a un razionale governo dell'impresa trova un primo spunto normativo nella recente formulazione dell'art. 2086 c.c., il quale - nel prevedere, al secondo comma, che "l'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuita' aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuita' aziendale" - sancisce di fatto nei confronti dell'imprenditore - anche operante nel settore sportivo - un obbligo di adottare adeguati assetti organizzativi nell'ottica di prevenzione delle situazioni di crisi aziendale.

Accanto a ciò, non si possono trascurare le recenti modifiche al catalogo dei reati-presupposto idonei a fondare la responsabilità dell'ente ex D.Lgs. 231/2001 e, in particolare, la recente introduzione dell'art. 25 quinquiesdecies ha sancito l'estensione del sistema 231 ad alcune fattispecie penal-tributarie.

Se da un lato, tale riforma non costituisce un evento del tutto imprevedibile per la vita di una società - del resto, alcuni illeciti tributari spesso sono (ragionando in linea teorica) collegati con altri reati-presupposto rientranti da tempo nel catalogo 231 (es.: autoriciclaggio, riciclaggio, reati societari) e quindi non si può escludere che i modelli in essere contengano già misure idonee a mitigare la commisione di illeciti tributari - d'altro canto, l'entrata in vigore dell'art. 25 quinquiesdecies sancisce ufficialmente l'entrata nelle aree di rischio 231 di un importante numero di processi cardine per la vita di un'impresa (anche sportiva), quali le procedure di acquisto e vendita di beni e servizi (i rapporti con i fornitori e con i partners), la redazione delle dichiarazioni fiscali, la redazione delle operazioni contabili, le grandi operazioni societari, etc.

Restando sempre nella sfera del sistema 231, ma con specifico riferimento al settore sportivo, la recente entrata in vigore della legge 3 maggio 2019, n. 39 ha anche inserito le fattispecie di cui agli artt. 1 e 4 l. 401/1989 ("esercizio abusivo di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa") nel catalogo dei reati presupposto di cui al Decreto legislativo n. 231/2001, mediante l'introduzione dell'art. 25 quaterdecies (frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d'azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati).

Ovviamente, l'adozione di un adeguato modello organizzativo 231 è un adempimento che ha struttura e finalità differenti rispetto al precetto ex art. 2086 c.c.; ne è la dimostrazione la circostanza per cui l'adozione del M.O.G. è una mera facoltà per l'ente e non un obbligo per l'ente stesso [1].

Sennonché, come noto, l'art. 6 D.lgs. 231/2001 contempla l'esonero della società da responsabilità se questa dimostra di aver adottato modelli organizzativi idonei a prevenire la realizzazione dei reati presupposto della responsabilità delle società ai sensi del D.Lgs. 231.

L'adozione del modello diviene, pertanto, di fatto presupposto necessario ed indispensabile se si vuole beneficiare dell'esimente - ed evitare quindi che la commissione dei reati presupposto possa dar adito alle sanzioni a carico dell'ente - e, soprattutto, alla luce delle indicazioni provenienti dall'ordinamento sportivo e finalizzate ad implementare il raccordo tra la responsabilità 231 e la tradizionale responsabilità oggettiva sportiva. Si tratta di un elemento importantissimo, se considerato nell'ottica preventiva di taluni reati, fortemente voluta dal legislatore.

In questo senso, la recente modifica dell'art. 7 del nuovo Codice di Giustizia Sportiva F.I.G.C. - approvato con deliberazione n. 258 dell'11 giugno 2019 - prevede che "al fine di escludere o attenuare la responsabilità delle società di cui all'art. 6 (ndr.: la responsabilità sportiva), [...] il giudice valuta l'adozione, l'idoneità, l'efficacia e l'effettivo funzionamento dei modelli di organizzazione, controllo di cui all'art. 7, comma 5 dello Statuto" F.I.G.C.; tali modelli "tenuto conto della dimensione della società e del livello agonistico in cui essa si colloca, devono prevedere: a) misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività sportiva nel rispetto della legge e dell'ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio; b) l'adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo; c) l'adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; d) la nomina di un organismo di garanzia, composto di persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento".

Detto altrimenti, l'art. 7 del CGS F.I.G.C. sembra riconoscere valenza esimente proprio ai modelli di cui all'art. 7, comma 5 appena menzionato, presentando più di un'affinità rispetto alle condizioni in forza delle quali l'art. 6 D.Lgs. 231/2001 esenta gli enti dalla responsabilità ex D.Lgs 231/2001 (adozione ed efficace attuazione di un M.O.G., individuazione e nomina di un organismo di vigilanza autonomo ed indipendente, etc.).

Proprio tale contiguità strutturale tra responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 e responsabilità sportiva suggerisce quindi l'adozione di un approccio integrato tra il M.O.G. e il modello di prevenzione degli illeciti sportivi, nell'ottica di un unitario sistema di compliance integrato per le società sportive, in grado di prevenire (oltre agli altri settori coinvolti nei sistemi di audit, ossia ambiente, lavoro, privacy etc.) i comportamenti astrattamente idonei ad integrare i reati presupposto ex D.Lgs. 231/2001 e tutte le condotte rilevanti sul piano del diritto sportivo, pur nella consapevolezza che i due modelli perseguono finalità diverse tra di loro (i Modelli di prevenzione sono volti a prevenire il compimento da parte delle società di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità previsti dall'ordinamento sportivo, mentre i Modelli 231 sono volti a prevenire il compimento di quei reati contemplati dal Codice Penale che costituiscono presupposto della responsabilità delle società ai sensi del D.Lgs. 231/2001).

Tale esigenza è stata recepita anche dalla F.I.G.C. che, lo scorso 3 ottobre 2019, ha pubblicato le linee guida per l'adozione di modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire atti contrari a principi di lealtà, correttezza e probità.

In tale occasione, aderendo esplicitamente a una prospettiva integrativa del modello ex art. 7, comma 5 Statuto F.I.G.C. e del modello 231, la F.I.G.C. ha esplicitamente sancito che - nonostante "i Modelli di prevenzione, adottati in base alle presenti Linee guida, adottati su base volontaria ai fini dell'applicazione dell'art. 7 del Codice di Giustizia Sportiva, perseguono finalità diverse rispetto ai modelli organizzativi predisposti ai sensi del D.Lgs. 231/2001 (di seguito "Modelli 231") - "sarà opportuno un coordinamento di tale modello 231 con il Modello di Prevenzione", sancendo così l'opportunità di adottare un modello organizzativo che - oltre a incrementare l'etica aziendale (si legge altresì che "nell'ottica di assicurare il migliore coordinamento dei Modelli di prevenzione con il Modello 231, le società potranno decidere di nominare come Organismo di Garanzia lo stesso Organismo di Vigilanza previsto dal proprio Modello 231", p. 15, Linee Guida F.I.G.C., 3 ottobre 2019) - definisca procedure interne trasparenti a tutela della sicurezza dell'ente in un'ottica di lungo periodo: del resto, un ente - una società sportiva - sicuro è un ente competitivo e, di riflesso, rende competitivi i campionati nazionali.

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[1] sul punto, ampiamente, PERUSIA-SANTORIELLO, La valutazione dell'idoneità del modello organizzativo alla luce delle innovazioni in tema di crisi di impresa, in www.rivista231.it.

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