Amministrativo

Il mutamento della disciplina IMU non comporta la revoca delle gare in corso e fa i conti con i principi di economicità ed efficienza della PA

La sentenza del Consiglio di Stato 1.3.2021 n. 1700, ponendo fine ad un contenzioso sorto in relazione ad una fattispecie, piuttosto peculiare, di affidamento da parte dei Comuni di servizi di supporto all'accertamento e alla riscossione dei tributi locali, fornisce alcuni importanti chiarimenti in materia di revoca degli appalti

di Tommaso Ventre*, Pierluigi Antonini**


Sintesi
In assenza di una specifica disciplina transitoria, l'oggetto diretto" del "contratto" di appalto è la gestione delle attività di supporto all'accertamento e alla riscossione delle imposte comunali e delle altre entrate. La singola imposta (IMU) che ha cambiato quadro normativo di riferimento rappresenta invece "l'oggetto mediato" della "prestazione" e quindi la sopravvenienza normativa ha comportato solo una diversa formulazione del contratto e, sulla base di un approccio sostanzialistico - in applicazione dei principi di economicità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa- non giustifica la revoca dell'affidamento.

La sentenza del Consiglio di Stato 1.3.2021 n. 1700, ponendo fine ad un contenzioso sorto in relazione ad una fattispecie, piuttosto peculiare, di affidamento da parte dei Comuni di servizi di supporto all'accertamento e alla riscossione dei tributi locali, fornisce alcuni importanti chiarimenti in materia di revoca degli appalti.

La vicenda prende le mosse da un bando di gara pubblicato a marzo 2019 da un Comune per l'affidamento del servizio di supporto alla riscossione ordinaria dell'IMU, della TARI e della TASI, di ricerca dell'evasione erariale, di verifica e riscossione coattiva IMU, TIA, TARES, TARI, TASI e del servizio di accertamento e riscossione volontaria delle entrate minori (affissioni, pubblicità, Tosap). Poco prima della fine dell'anno – e precisamente il 23 dicembre 2019 – si concludevano le operazioni di gara e veniva proposta l‘aggiudicazione della gara ad una RTI. Il provvedimento di aggiudicazione interveniva il 3 gennaio 2020.

Nei pochi giorni intercorrenti tra la conclusione delle operazioni di gara e l'aggiudicazione definitiva, però, il comparto dei tributi locali (e proprio di quelli oggetto di gara) veniva interessato da una rilevante "novità": infatti, con la legge 27 dicembre 2019 n. 160 (Legge di bilancio 2020), in vigore dal 1°gennaio 2020, veniva abolita l'imposta unica comunale (IUC) nelle sue componenti relative all'Imposta municipale propria (IMU) ed al Tributo sui servizi indivisibili (TASI), dando nel contempo il via alla "nuova IMU" che si sarebbe affiancata alla Tassa sui rifiuti (TARI).

Al fine di assicurare continuità agli affidamenti "a cavallo" tra il 2019 ed il 2020, aventi evidentemente ad oggetto la vecchia IMU e la TASI, il legislatore ha previsto (articolo 1, comma 781, Legge di bilancio 2020) che i Comuni, in deroga all'articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, potessero continuare ad affidare, fino alla scadenza del relativo contratto, la gestione dell'imposta municipale sugli immobili ai soggetti ai quali, alla data del 31 dicembre 2019, risultava affidato il servizio di gestione dell'IMU e della TASI", offrendo un lasso temprale (fino al 31 dicembre 2020) per l'adeguamento dei contratti.

Il legislatore, tuttavia, non ha considerato i casi, come quello in esame, in cui le stazioni appaltanti avevano già avviato un confronto competitivo sulla base dell'allora vigente quadro normativo di riferimento. È sorto quindi il problema della compatibilità delle previsioni di gara aventi ad oggetto tributi "diversi" rispetto a quelli oggetto delle previsioni di gara con l'affidamento di un servizio che abbia mutato, per lege, il suo contento.
I giudici amministrativi di vertice provano a colmare questa lacuna, e lo fanno in maniera salomonica, seguendo un approccio sostanzialistico di sicuro pregio.

Due le tesi a confronto: secondo la prima, che potremmo definire "formalistica", l'abolizione di alcune delle imposte oggetto del servizio in affidamento avrebbe comportato il divieto della stipulazione di contratti d'appalto aventi ad oggetto le imposte IMU e TASI ormai abrogate. Come conseguenza, la gara avrebbe dovuto essere revocata e gli atti dichiarati nulli per impossibilità dell'oggetto, avendo l'ente affidato all'aggiudicataria l'esecuzione di una prestazione non più possibile, vale a dire la riscossione di tributi che non erano più esistenti in seguito alle richiamate modifiche normative. Né, in tesi, avrebbe potuto sostenersi una asserita "riconducibilità" dei nuovi tributi a quelli abrogati.

Riconducibilità che, di contro, si pone al centro della tesi contraria, "sostanzialistica", la quale sosteneva che non fosse stato comunque affidato all'aggiudicatario un servizio diverso rispetto a quello messo a gara, come tale richiedente nuovi o ulteriori requisiti soggettivi (o da imporre la predisposizione di altri criteri di valutazione delle offerte), considerato che la legge di bilancio per il 2020 s'era limitata a sostituire la IUC, in precedenza contente le tre imposte IMU, TASI e TARI con una nuova imposta unificante l'IMU e la TASI.

Il Consiglio di Stato, confermando l'operato del Tribunale amministrativo regionale, accoglie in pieno la seconda soluzione, ribadendo alcuni principi fondamentali in materia di procedimento amministrativo e facendone applicazione nel caso di specie.

Ad avviso dei giudici, preliminare ad ogni altra è la considerazione che il provvedimento di revoca è sempre esito di una scelta ampiamente discrezionale dell'amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. II, 14 marzo 2020, n. 1837; III, 29 novembre 2016, n. 5026), anche nel caso di ius superveniens che comporti una modifica del quadro normativo esistente al momento di adozione del provvedimento amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2015, n. 3237). Tala sopravvenienza normativa, tuttavia, può essere considerata giusta ragione di revoca del provvedimento solo a condizione che, in conseguenza del nuovo assetto normativo, non sia più possibile conservare gli effetti del provvedimento ovvero anche perché non sia più conveniente o opportuna la decisione assunta, e, dunque, per una rivalutazione dell'interesse pubblico originario.

Alla luce dei predetti parametri, nel caso posto a base della sentenza, la scelta del Comune di non revocare la gara è stata legittima. In primo luogo, infatti, la revoca non era imposta dalle disposizioni contenute nella citata legge di bilancio, che prendono infatti in considerazione situazioni diverse da quella in discussione: come detto, infatti, il comma 781 dell'art. 1 della Legge di bilancio disciplina il diverso caso di contratto già in essere al 1° gennaio 2020. Con tale disposizione, l'intento del legislatore è stato quello di introdurre un'eccezionale ipotesi di affidamento diretto all'operatore economico aggiudicatario di "servizi analoghi" a quelli già affidati, giustificata dai principi di economicità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa.

Il supremo consesso ritiene quindi che la revoca dell'intera procedura sarebbe stata ragionevole e logica solo se si fosse ritenuto che le modifiche normative intervenute avessero reso non più possibile l'attuazione del programma negoziale come emergente dagli atti di gara con il solo adeguamento delle clausole contrattuali (e senza lo stravolgimento delle originarie prescrizioni del bando).

E qui forse la parte più interessante della sentenza che offre spunti di riflessione che in un quadro normativo interessato da repentini mutamenti possono interessare anche affidamenti oggetto di contesa relativi ad altri prelievi, come i tributi minori confluiti nel nuovo canone unico patrimoniale.

Sostiene infatti il Consiglio di Stato che ciò a cui bisogna guardare è "l'oggetto diretto" del "contratto" di appalto ovvero la gestione delle attività di supporto all'accertamento e alla riscossione delle imposte comunali e delle altre entrate. A tale prestazione si impegnava l'aggiudicatario e, la modalità gestoria ( circostanza sotto alcuni versi opinabile ma non oggetto di contestazioni e quindi di giudizio) non può dirsi in qualche modo modificata dalla sopravvenuta modifica della disciplina in materia. Le singole imposte erano, invece, "l'oggetto mediato" della "prestazione" e la sopravvenienza normativa poteva al più imporre solamente una loro diversa enunciazione nelle clausole del contratto che deve disciplinare nel dettaglio l'affidamento.

Insomma, la revoca dei precedenti affidamenti è sì una possibilità per l'ente locale, ma essa deve essere sempre adottata cum grano salis e solo in presenza di specifiche circostanze. Neanche le norme sopravvenute, soprattutto se non prevedono una specifica disciplina transitoria, giustificano un uso disinvolto della revoca, dovendo invece prevalere, in un approccio sostanzialistico, la salvezza dei precedenti affidamenti in applicazione dei principi di economicità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa.

*Tommaso Ventre, Avvocato, Professore aggregato di Governance dei tributi locali presso l'Università della Campania Luigi Vanvitelli, **Pierluigi Antonini, Avvocato, Dottore di ricerca in diritto tributario

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©