Comunitario e Internazionale

Corte UE su Jobs Act per illegittimità del licenziamento collettivo

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea analizzata la questione, ha deciso che la disciplina prevista dal Jobs Act non risulta contrastante con il Diritto dell'Unione.

di Mario Fusani*

Con sentenza del 17.03.2021, l'organo giurisdizionale dell'Unione Europea ha sancito la conformità del Jobs Act al diritto dell'Ue, nella misura in cui esclude, in caso di licenziamento collettivo illegittimo, la reintegrazione del lavoratore, originariamente assunto con contratto di lavoro a tempo determinato e convertito a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015.

La vicenda
La questione riguarda il ricorso proposto da una lavoratrice assunta a partire dal 14 gennaio 2013 con un contratto di lavoro a termine, poi trasformato a tempo indeterminato il 31 marzo 2015, successivamente all'entrata in vigore del Jobs Act.

II 19 gennaio 2017 l'azienda datrice di lavoro ha avviato una procedura di mobilità che ha portato al licenziamento 350 lavoratori, i quali, tuttavia hanno presentato un ricorso dinanzi al Giudice del lavoro di Milano, sostenendo l'illegittimità del licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta dei lavoratori.

II Giudice milanese, constatata l'illegittimità del licenziamento collettivo, ha ordinato il risarcimento dei danni e disposto la reintegrazione nell'impresa di tutti i lavoratori interessati, ad eccezione della sola lavoratrice, che ha proposto ricorso avverso tale decisione.

Le ragione di tale esclusione risiederebbe nel fatto che la ricorrente era l'unica lavoratrice rientrante nel sistema di tutela previsto dal Jobs Act, che esclude la reintegra in caso di illegittimità del licenziamento collettivo, a favore del c.d. sistema di risarcimento "a tutele crescenti".

Trovatosi di fronte a tale situazione il Giudice adito ha deciso di sospendere la vertenza promossa dalla lavoratrice ed investire della questione anche la Corte di Giustizia Europea, sostenendo che la normativa interna del 2015 fosse contraria a quella comunitaria per due ragioni:

1. La prima ragione risiede nel fatto che la tutela apprestata dal Jobs Act, corrispondente ad una indennità variabile fino ad un massimo di 36 mensilità, non costituirebbe una compensazione adeguata rispetto al licenziamento subito.

2. La seconda ragione, invece, sarebbe legata alla differenza di trattamento tra la lavoratrice assunta a tempo determinato prima del 7 marzo 2015, convertito in contratto a tempo indeterminato solo dopo tale data, e tutti gli altri lavoratori illegittimamente licenziati, i quali erano stati assunti con contratti di lavoro a tempo indeterminato stipulati prima del 7 marzo 2015.

La decisione

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea analizzata la questione, ha deciso che la disciplina prevista dal Jobs Act non risulta contrastante con il Diritto dell'Unione.

Riguardo al primo motivo, infatti, la Corte ha statuito che la normativa nazionale italiana, che prevede l'applicazione concorrente di due diversi regimi di tutela dei lavoratori a tempo indeterminato nell'ambito di una stessa e unica procedura di mobilità, non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 Luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri e, pertanto, non è contraria alla normativa dell'Unione.

La direttiva invocata dal giudice a quo, infatti, rileva nella misura in cui garantisce a tutti i lavoratori il diritto ad una preventiva consultazione sindacale volta ad evitare il licenziamento, o a limitarne gli effetti. Nulla osta, invece, alla presenza di regimi differenziati di tutela nell'ambito della medesima procedura.

In relazione al secondo motivo, inoltre, la Corte ha evidenziato che il divieto di discriminazione tra lavoro a tempo determinato e tempo indeterminato, previsto dalla clausola 4 accordo quadro del 18 marzo 1999, deve essere interpretato nel senso che, in caso di illegittimità del licenziamento, non devono esserci discriminazioni tra lavoratori a tempo determinato o indeterminato, assunti prima di una tale data. Allo stesso modo non dovranno esserci discriminazioni tra lavoratori a termine e a tempo indeterminato, assunti dopo una certa data.

Il principio di non discriminazione, in sintesi, è concretamente applicabile soltanto riguardo alle differenze di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in situazioni comparabili. Eventuali differenze di trattamento tra determinate categorie di lavoratori assunti con la medesima tipologia contrattuale, non rientrano nell'ambito di tale principio di non discriminazione.

Sulla base di tali ragionamenti, la Corte UE ha rimandato la decisione del caso concreto al giudice a quo.

a cura dell' avvocato Giuslavorista Mario Fusani, GF LEGAL

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