Famiglia

Famiglia e successioni: il punto sulla giurisprudenza dei giudici di merito

La selezione delle pronunce di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni 2022

di Valeria Cianciolo

Si segnalano in questa sede i depositi della giurisprudenza di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni 2022. Le pronunce in particolare, si sono soffermate sulle seguenti tematiche o questioni:
1.Provenienza da donazione dell'immobile e obblighi del mediatore
2.Conferimento in denaro effettuato da un coniuge e donazione indiretta
3.Curatore dell'eredità giacente e pagamento dell'imposta di successione
4.Debito tributari del de cuius e accettazione dell'eredità
5.Rinuncia all'eredità e regolarizzazione del contraddittorio
6.Amministrazione di sostegno e reato di abbandono di persone incapaci
7.Maltrattamenti
8.Delibazione di sentenza ecclesiastica
9.Divorzio, assegnazione della casa familiare e revoca del mantenimento al figlio maggiorenne


1. DONAZIONE – Provenienza da donazione dell'immobile e obblighi del mediatore.
(Cc, articoli 561, 563 e 1759)

Per effetto del sistema di tutela dei legittimari, l'acquisto del donatario e quello dei suoi aventi causa sono posti in condizione di instabilità in quanto esposti all'azione di riduzione e agli effetti restitutori che possono derivare dal suo vittorioso esercizio.
In caso di mediazione immobiliare, il mediatore, sia nell'ipotesi tipica in cui abbia agito in via autonoma, sia nell'ipotesi in cui si sia attivato su incarico delle parti, è tenuto, ai sensi dell'art. 1759 c.c., a riferire ai contraenti la circostanza, conosciuta o conoscibile con l'uso della diligenza da lui esigibile, relativa alla provenienza da donazione del titolo di acquisto del promittente alienante, in quanto afferente alla valutazione e alla sicurezza dell'affare.
La provenienza da donazione dell'immobile oggetto della proposta di acquisto costituisce circostanza relativa alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, rientrante nel novero delle circostanze influenti sulla conclusione di esso, che il mediatore deve riferire ex art. 1759 c.c.
Nel caso in esame, il promissario acquirente è arrivato a stipulare il terzo contratto preliminare, in forza del quale poi ha concluso i contratti definitivi, pienamente a conoscenza di tutte le informazioni relative all'immobile, anche di quelle afferenti l'avvenuta donazione.
Tribunale Torino, sezione III, sentenza 15 giugno 2022 n. 2638 – Giudice Bosco

2. DONAZIONE - Conferimento in denaro effettuato da un coniuge e donazione indiretta.
(Cc, articolo 781)

La donazione indiretta trova la sua causa, così come la donazione diretta, nella liberalità e, cioè, nella consapevole determinazione dell'arricchimento del beneficiario attraverso attribuzioni od erogazioni patrimoniali compiute "nullo iure cogent". Pertanto, in pendenza di matrimonio, i conferimenti trovano una loro causa nella liberalità (elemento, che, invece non può automaticamente attribuirsi ai pagamenti effettuati o alle spese sostenute per l'immobile in comproprietà dopo la separazione, momento a partire dal quale i conferimenti e le spese dovranno essere considerati esclusivamente spese sostenute da uno dei comproprietari in favore del bene in comunione).Ne consegue che il conferimento in denaro effettuato da un coniuge, attraverso il quale l'altro coniuge acquisti un immobile, è riconducibile nell'ambito della donazione indiretta, come tale perseguente un fine di liberalità soggetta ai soli obblighi di forma previsti per il negozio attraverso il quale si realizza l'atto di liberalità, e revocabile solo per ingratitudine. Nell'ipotesi di donazione indiretta, valida anche tra coniugi, essendo venuto meno il divieto di cui all'art. 781 c.c., vanno seguiti, ai fini dell'individuazione della causa e della rilevazione dei suoi vizi, gli stessi principi e criteri che valgono per la donazione diretta.
Tribunale Benevento, sezione II, sentenza, 13 gennaio 2022 n. 48 – Giudice Giuliano

3. SUCCESSIONI – Il curatore dell'eredità giacente non paga l'imposta di successione.
(Articoli 28 e 36 del Dlgs 31 ottobre 1990 n. 346)

A norma dell'art. 28 del TUS, il curatore della eredità giacente è soggetto obbligato alla presentazione della dichiarazione di successione, ma non rientra, giusto quanto disposto dall'art. 36 del TUS nel novero dei soggetti tenuti al pagamento dell'imposta, atteso che detta norma li identifica negli eredi, nel coerede che abbia accettato con beneficio di inventario e nei chiamati all'eredità in possesso dei beni ereditati.
Ai sensi dell'art. 28, 2 comma del D. Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346: Sono obbligati a presentare la dichiarazione: i chiamati all'eredità e i legatari, anche nel caso di apertura della successione per dichiarazione di morte presunta, ovvero i loro rappresentanti legali; gli immessi nel possesso temporaneo dei beni dell'assente; gli amministratori dell'eredità e i curatori delle eredità giacenti; gli esecutori testamentari.
Alla luce della normativa indicata, è stato accolto il ricorso, presentato dall'avvocato nominato curatore dell'eredità giacente, avente ad oggetto l'annullamento dell'avviso di liquidazione dell'imposta di successione ed irrogazione delle sanzioni.
Comm. Trib. Prov. Lombardia Milano, sezione XVI, sentenza 2 marzo 2022 n. 604 – Pres. e rel. Beretta

4. SUCCESSIONI – Il chiamato all'eredità risponde dei debiti tributari del de cuius solo con l'accettazione.
(Cc, articolo 521; articolo 28 del Dlgs 31 ottobre 1990 n. 346)

L'assunzione della qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, né dalla denuncia di successione trattandosi di un atto di natura meramente fiscale che non ha rilievo ai fini dell'assunzione della qualità di erede che consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costituito del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio quale successore del de cuius. Ne deriva pertanto che, vertendosi di debito tributario del de cuius, solo con l'accettazione dell'eredità il chiamato può essere tenuto a risponderne. Poiché l'accettazione dell'eredità è il presupposto perché si possa rispondere dei debiti ereditari, una eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributali il rinunciatario, salvo l'adozione di comportamenti da cui derivarsi un'accettatone tacita dell'eredità, di cui la prova grava sull'amministrazione finanziaria.
Comm. Trib. Regionale Emilia-Romagna Bologna, sezione XIV, 13 aprile 2022 n. 499

5. SUCCESSIONE - Rimessione al primo giudice di primo grado se il chiamato all'eredità rinuncia.
(Cc, articolo 521; Cpc, articolo 354)

Qualora l'atto di riassunzione del giudizio interrotto per morte della parte sia stato notificato nei confronti del solo chiamato all'eredità, che, lamentando il proprio difetto di "legitimatio ad causam", abbia successivamente rinunziato all'eredità, la sentenza di primo grado è nulla attesa l'efficacia retroattiva della rinunzia all'eredità con la conseguenza che il giudice d'appello deve rimettere il giudizio al primo grado, ai sensi dell'art. 354 cod. proc. civ., per consentire la regolarizzazione del contraddittorio, eventualmente previa nomina di un curatore dell'eredità giacente.
Posto che ai sensi dell'art. 521 c. c., comma 1, chi rinunzia all'eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato, nel caso di specie, deceduta la parte convenuta, la riassunzione del giudizio di primo grado è stata effettuata nei confronti di soggetto solo chiamato all'eredità, il quale ha contestato di essere legittimato a stare in giudizio avendo rinunciato all'eredità.
Corte d'Appello Lecce, sezione I, sentenza 16 febbraio 2022 n. 213 – Pres. Mele, Cons. Rel. Zuppetta

6. AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO - Non imputabile l'AdS per il reato di abbandono di persone incapaci se emerge solo la negligenza.
(Cp, articolo 591)

L'art. 591 cod. pen. (abbandono di persone incapaci) è un reato proprio che si configura solamente quando sia commesso da un soggetto che rivesta un particolare ruolo (una posizione di garanzia nei confronti del minore o dell'incapace) e che volontariamente si sottragga (quindi con dolo), anche solo temporaneamente, ai propri obblighi di custodia e di cura del soggetto sottoposto al proprio controllo. La norma ritiene presuntiva la valutazione della incapacità per quel che concerne gli infraquattordicenni ed i minori di anni diciotto. In tutti gli altri casi la valutazione dell'incapacità deve avvenire in concreto ed avendo riguardo al momento dell'abbandono. Le risultanze dell'indagine giudiziale svolta caso per caso possono predicare di uno stato di perfetta capacità del soggetto o di differenti gradazioni d'incapacità. Ad esempio, l'incapacità può essere temporanea o definitiva e totale o parziale soltanto. Le cause dell'incapacità da parte del soggetto passivo della condotta di abbandono di difendere sè stesso dai pericoli del mondo esterno sono le malattie di mente e fisiche, siano esse croniche od acute, indipendentemente dalla gravità, nonché la vecchiaia.
Nel caso in esame, si è ritenuto che non vi fossero state da parte dell'imputato carenze e omissioni inquadrabili nell'art. 591 cod. pen.. Il beneficiario era un uomo anziano, con problemi di salute, sradicato dalla propria abitazione, dai propri affetti e dai propri ricordi, così sviluppando uno stile di vita fuori dagli schemi e dalle reti sociali, senza accettare l'aiuto di nessuno. Nemmeno la sinergia tra servizi sociali, sanitari e amministrativi era stata in grado di trovare soluzioni adatte ed efficaci per un miglioramento delle condizioni di vita dell'anziano.
La condotta ascrivibile all'imputato, al più, integrava una negligenza da giustificare la rimozione dall'ufficio di A.d.S. Ma l'art. 591 cod. pen. è punito a titolo di dolo generico.
Tribunale Gorizia, sentenza 17 maggio 2022 n. 141 – Giudice De Mitri

7. MALTRATTAMENTI - Chi commette il delitto di maltrattamenti ha una struttura caratteriale che induce a ripeterli.
(Cp, articoli 572 e 612-bis)

La misura di prevenzione della sorveglianza speciale per i soggetti indiziati di maltrattamenti in famiglia, prevista dall'art. 4, comma 1, lett. i-ter) del D. Lgs. n. 159/11, non richiede il positivo accertamento dell'abitudine alle condotte delittuose, essendo basata sul presupposto della predisposizione caratteriale a reiterare il reato, ove non smentita da elementi di fatto di segno opposto. Infatti, chi commette i delitti di cui agli artt. 572 e 612-bis c.p. è portatore di una struttura caratteriale che induce tendenzialmente a ripeterli.
Corte d'Appello Bari, sezione IV, sentenza 17 marzo 2022 n. 19 – Pres. e rel. Gaeta

8. DELIBAZIONE DI SENTENZA ECCLESIASTICA – Ai fini della delibazione i coniugi devono manifestare la volontà di non convivere, ma coabitare.
(Articolo 10 della Legge 1 dicembre 1970 n. 898; articoli 2,3,29 della Costituzione; articolo 30 Cedu; articoli 9 e 7 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea)

In ordine alla dichiarazione di efficacia civile di una sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, la mancanza dell'affectio coniugalis, unilaterale o bilaterale, intanto può venire in considerazione ai fini dell'esclusione della configurabilità della convivenza, in quanto entrambi i coniugi la riconoscano al momento della proposizione della domanda di delibazione oppure abbiano inequivocabilmente manifestato all'esterno la volontà di non considerare la convivenza come un elemento fondamentale integrativo della relazione coniugale, bensì come semplice coabitazione, nella piena consapevolezza delle conseguenze giuridiche di tale esteriorizzazione, non assumendo alcun rilievo, in assenza di tale presupposto, l'accertamento del carattere più o meno felice della stessa o del difetto di adesione affettiva di uno o di entrambi i coniugi.
Nella specie nulla era stato allegato in tal senso nell'atto introduttivo, emergendo solo dalla sentenza ecclesiastica che le infedeltà del coniuge rappresentavano una consuetudine accettata dalla moglie che perdonava il marito pensando che fosse "malato".
Corte d'Appello Cagliari, sezione I, sentenza 26 marzo 2022 n. 150 – Pres. Anu, Cons. Rel. Cugusi

9. DIVORZIO - Assegnazione della casa familiare e revoca del mantenimento al figlio maggiorenne.
(Cc, articolo 337 sexies; articolo 9 della legge 1 dicembre 1970; legge 8 febbraio 2006 n. 54)

In tema di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte del genitore separato non convivente, lo svolgimento di un'attività retribuita, ancorché prestata in esecuzione di contratto di lavoro a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un'adeguata fonte di reddito, e quindi della raggiunta autosufficienza economica, che esclude la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento da parte del genitore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro fermo restando che non ogni attività lavorativa a tempo determinato è idonea a dimostrare il raggiungimento della menzionata autosufficienza economica, che può essere esclusa dalla breve durata del rapporto o dalla ridotta misura della retribuzione
Nei giudizi separativi, l'assegnazione al genitore collocatario del figlio minorenne della casa familiare è dettata dall'esclusivo interesse della prole e risponde all'esigenza di conservare l'"habitat" domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime la vita familiare.
L'instaurazione di un rapporto more uxorio da parte del coniuge affidatario dei figli minorenni non giustifica la revoca dell'assegnazione della casa familiare, trattandosi di una circostanza - di per sé sola considerata - ininfluente sull'interesse della prole.
Tribunale Patti, ordinanza 28 marzo 2022 n. 2744 – Pres. Samperi, Giud. Rel. La Porta

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