Civile

Per il pagamento dell'imposta di registro non dovuta il legale non può rivalersi sulle altre parti

Per la Cassazione, sentenza n. 19228 depositata oggi, mancando il presupposto dell'imposta mancava anche la solidarietà

di Francesco Machina Grifeo

L'avvocato che paga per intero l'imposta di registro non dovuta perché il valor della causa è inferiore a 1.033 euro, non può poi pretendere la restituzione pro quota da parte di pretesi obbligati solidali. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 19228 depositata oggi e segnalata per il "Massimario", affermando che mancando il presupposto dell'imposta mancava anche la solidarietà.

Nel 2011 il ricorrente chiese ed ottenne, dal Giudice di pace di Serra San Bruno, vari decreti ingiuntivi nei confronti di Enel Distribuzione s.p.a. (poi "E-Distribuzione) per aver patrocinato una pluralità di persone, in vari procedimenti (anche nei confronti di una terza società). I giudizi si conclusero poi sfavorevolmente in grado di appello, tuttavia siccome il legale aveva sempre chiesto la distrazione delle spese di lite in suo favore, ritenne per errore di essere obbligato in proprio al pagamento delle spese di registrazione delle sentenze e vi "provvide di tasca propria". Avvedutosi dell'errore, chiese all'Enel la rifusione di un terzo, sul presupposto che le spese di registrazione, gravanti in solido su tutte le parti del giudizio, dovessero ripartirsi in parti uguali tra le (tre) parti di ogni giudizio.

L'Enel si oppose, e il Giudice di pace di Serra San Bruno, nel 2012, gli diede ragione "ritenendo che le sentenze pronunciate all'esito di giudizi di valore non eccedente euro 1.033 non fossero soggette a spese di registrazione", dunque l'avvocato nulla aveva a pretendere. La sentenza fu appellata dal soccombente e il Tribunale di Vibo Valentia nel 2019 dichiarò il ricorso inammissibile.

Proposto nuovamente ricorso, la Cassazione l'ha definitivamente bocciato. La controversia, spiega la VI Sezione civile, "scaturisce dal pagamento, eseguito da parte dell'odierno ricorrente, di quanto richiesto dall'erario a titolo di imposta di registro" sul presupposto del deposito di numerose sentenze pronunciate in grado di appello. "Tale presupposto d'imposta tuttavia era insussistente: questa Corte, infatti, ha stabilito che le sentenze di valore inferiore ad euro 1.033 non sono soggette ad imposta di registro, a nulla rilevando che esse siano state pronunciate in primo grado o in appello".

Avendo pagato un indebito, l'avvocato ricorrente "non poteva pretenderne la restituzione pro quota da parte di pretesi coobbligati solidali: infatti, mancando il presupposto dell'imposta, mancava per ciò solo la solidarietà e, con essa, il diritto di regresso ex art. 1299 c.c.". Correttamente, dunque, prosegue la Cassazione, il Tribunale ha ritenuto che il legale non "avesse titolo" per pretendere dall'Enel il pagamento richiesto col ricorso per decreto ingiuntivo.

Né, conclude la decisione, a diverse conclusioni sarebbe potuto pervenire il Tribunale, se avesse esaminato le censure rimaste assorbite. Infatti: 1) "il difetto di titolarità attiva dell'obbligazione è rilevabile d'ufficio, sicché in nessun vizio di ultrapetizione incorse il Giudice di pace, allorché ritenne non dovuta l'imposta di registro sulle sentenze conclusive di giudizi di valore inferiore a 1.033 euro"; 2) nessuna domanda di "ingiustificato arricchimento" era ammissibile nei confronti dell'Enel in sede di opposizione a decreto ingiuntivo: sia perché, non essendo dovuta nessuna imposta, nessun "arricchimento" l'Enel poteva aver conseguito per effetto del pagamento indebito; sia perché nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l'opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio (salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall'opponente, egli si venga a trovare, a sua volta nella posizione processuale di convenuto).

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