Amministrativo

Accesso con limiti stretti ai documenti di Report

Il Consiglio di Stato nega l’ostensione degli atti ma solo per carenza di motivi

di Alessandro Galimberti

Gli atti preparatori delle inchieste della redazione della tv pubblica possono essere oggetto di accesso da parte degli interessati, a condizione che ci sia un nesso di «necessaria strumentalità» tra l’accesso stesso e la cura o la difesa in giudizio dei propri diritti.

Il Consiglio di Stato (sentenza 6876/21, Sesta Sezione, presidente Volpe, estensore Tarantino) risolve definitivamente il contenzioso sorto attorno al servizio di Report sulla sanità lombarda ai tempi del primo Covid - «Vassalli, valvassori e valvassini» - con una sentenza che solo apparentemente “blinda” l’istruttoria dei giornalisti Rai, avendo respinto la richiesta di accesso dei legali sentitisi diffamati dall’inchiesta per mera carenza di motivazione

Rai che, come aveva argomentato il Tar Lazio nel primo giudizio, da un lato è da considerare immune dall’accesso civico per il fatto di essere una società quotata, ma non può essere esclusa anche dal (diritto di) accesso documentale in base a una modulazione/manipolazione del concetto di servizio pubblico che escluda surrettiziamente dal perimetro l’attività dei suoi dipendenti giornalisti.

Per il Consiglio di Stato, quindi, che si ricollega alla sentenza 4/2021 dell'Adunanza Plenaria, l’accesso difensivo agli atti presuppone la sussistenza del nesso di «necessaria strumentalità tra l’accesso e la cura o la difesa in giudizio dei propri interessi giuridici», oltre alla verifica della sussistenza di un interesse legittimante, dotato delle «caratteristiche della immediatezza, della concretezza e dell’attualità».

Semplicemente, nel caso di specie, le parti che si ritengono offese dall’inchiesta di Report hanno rappresentato tardivamente (cioè solo ora davanti al Cds) le ragioni che ne avrebbero legittimato l’accesso.

In merito alla segmentazione del concetto di servizio pubblico portata dalla difesa Rai - tale da escluderne proceduralmente l’attività giornalistica, in modo da sottrarla alla legge 241 /90 - il Cds scrive che «davvero non si comprende come i contenuti dei servizi giornalistici realizzati e mandati in onda nell’ambito delle singole trasmissioni sarebbero del tutto estranei al servizio di offrire un'informazione completa, obiettiva, imparziale ed equilibrata».

Quanto invece alla esclusione della Rai dal novero dei soggetti destinatari della disciplina sull’accesso civico trattandosi di una società quotata, il Consiglio di Stato ha pienamente avallato la decisione di primo grado del Tar Lazio. L’equiparazione alle società in partecipazione pubblica, operata dalla difesa dei legali sedicenti diffamati, ma anche delle associazioni, delle fondazioni e degli enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro e che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, è erronea secondo la Sesta sezione. La legge «traccia l’ambito soggettivo di applicazione del diritto di accesso civico, dettando regimi differenziati in ragione delle particolari caratteristiche strutturali che connotano le diverse persone giuridiche». Evidente la scelta del legislatore «di voler sottrarre all'accesso civico le società in controllo pubblico quotate, come l'odierna appellante principale», cioè la Rai.

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