Giustizia

«Csm, via il potere disciplinare e la nomina del vicepresidente»

Presentato ai capigruppo di maggioranza il pacchetto di misure della commissione Luciani

di Giovanni Negri

Ci sono anche due interventi di rango costituzionale nel pacchetto di misure sull’ordinamento giudiziario presentato ai capigruppo della maggioranza in commissione Giustizia della Camera dal presidente della commissione tecnica del ministero, il costituzionalista Massimo Luciani. Per quella che la ministra Marta Cartabia, introducendo i lavori, ha qualificato come una riforma «improcrastinabile», tanto più alla luce dei «fatti di cronaca che hanno riguardato la magistratura nei mesi più recenti», quello di ieri mattina è stato il primo passo. Nei prossimi giorni verranno formalizzate le 90 pagine di proposte di emendamenti messe a punto dalla commissione e proseguirà il confronto politico sui testi. Positiva intanto la reazione di Alfredo Bazoli (Pd) relatore del provvedimento, che mette in evidenza «la responsabilizzazione dei capi degli uffici e il freno al carrierismo con vincoli al passsaggio a nuovi incarichi direttivi».

Le due riforme di calibro costituzionale ridimensionano in realtà il ruolo del Consiglio, sottraendogli due elementi fondamentali della funzione di autogoverno, prevedendo, la prima, che il vicepresidente non sia più eletto dal plenum ma nominato dal Presidente della Repubblica; istituendo , la seconda, un Alta Corte cui affidare la funzione disciplinare.

Al netto di questi interventi, la cui praticabilità è naturalmente tutta da verificare in questo scorcio di legislatura, le proposte rivedono, per esempio, il sistema elettorale. Il numero dei consiglieri passa a 30 (20 togati + 10 laici) oltre ai tre di diritto. Ogni magistrato può candidarsi, dovrà solo raccogliere almeno dieci firme (per favorire la presenza di più candidati rispetto ai posti da assegnare). Se le candidature presentate in un collegio sono inferiori al doppio dei seggi assegnati, il Csm sollecita la presentazione di ulteriori candidature. Obiettivo, avere più candidature possibili, per evitare accordi e spartizioni. Decade quel sorteggio oggi previsto dal Ddl Bonafede nel caso le candidature fossero state meno di dieci per collegio.

I componenti togati sono eletti da collegi uninominali con il sistema del voto singolo trasferibile; devono essere espresse al massimo tante preferenze quanti sono i seggi disponibili; sono previste disposizioni per favorire una presenza equilibrata dei due generi senza però imporre quote di risultato. La formula elettorale è quella del voto singolo trasferibile: si determina un quoziente; sono nominati coloro che raggiungono il quoziente. Se non si coprono tutti i seggi, le preferenze in eccedenza dei candidati eletti vengano sommate e poi redistribuite. Per evitare una sovrarappresentazione dei pubblici ministeri rispetto ai giudici dovranno rimanere distinti, a differenza di quanto previsto nel Ddl Bonafede, i diversi elettorati e rappresentanti.

Per la copertura di posti direttivi, obbligo di audizione dei candidati su richiesta di almeno due componenti della commissione competente. Per l’attribuzione di funzioni direttive e semidirettive previsti indicatori generali e attitudinali, distinti per tipologia di ufficio. Per evitare eccessiva discrezionalità i criteri di valutazione saranno tassativi. Tra gli indicatori generali, i risultati in termini qualitativi e quantitativi nello svolgimento dell’attività giudiziaria e nell’esercizio delle funzioni direttive e semidirettive.

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