Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra l'11 e il 15 aprile 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimane le Corti d'Appello sono chiamate a pronunciarsi in tema di mobbing, contratto di appalto e responsabilità civile da circolazione stradale.
Da parte loro i Tribunali si soffermano in materia di mutuo fondiario, responsabilità professionale dell'avvocato, cessione del credito, conseguenze connesse alla cancellazione di un volo aereo, ricognizione di debito, rapporti di vicinato e, infine, occupazione illegittima di un immobile.


MOBBING
Mobbing – Nozione – Condotte rilevanti (c.c., articolo 2087)
La Corte d'Appello di Firenze sottolinea come integra la nozione di mobbing la condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e consistente nel compimento di una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, eventualmente anche leciti) diretti alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente, di cui viene lesa - in violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'articolo 2087 c. c. - la sfera professionale o personale, intesa nella pluralità delle sue espressioni (sessuale, morale, psicologica o fisica).
Ai fini della configurabilità del mobbing del datore di lavoro si appalesano quindi indispensabili i seguenti elementi: una molteplicità di comportamenti a carattere persecutorio-vessatorio (illeciti ma anche leciti se singolarmente considerati) posti in essere con sistematicità nel corso del tempo; un danno alla salute (e/o alla personalità) del dipendente; il nesso di causa tra condotta e danno; la prova del danno e dell'intento persecutorio.
Si deve così escludere la ricorrenza di un'ipotesi di mobbing, allorquando la valutazione complessiva dell'insieme delle circostanze addotte, pur se idonea a palesare singoli elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.
Inoltre, è proprio l'elemento soggettivo finalistico che consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore dal contesto organizzativo nel quale è inserito e che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing.
Corte d'Appello di Firenze, sezione lavoro, sentenza 12 aprile 2022 n. 116

CONTRATTO DI APPALTO
Contratto di appalto - Appaltatore - Progettista - Direttore dei lavori - Responsabilità solidale
(c.c., articoli 1667, 1669, 2055, 2226, 2230)
Secondo la Corte d'Appello di Torino, in tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l'appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all'articolo 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale. Con la precisazione secondo cui l'ipotesi di responsabilità regolata dall'articolo 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e conseguentemente nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l'appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell'opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell'evento dannoso, costituito dall'insorgenza dei vizi in questione.
Risulta quindi irrilevante, nei confronti del direttore dei lavori, la qualificazione dell'azione proposta verso l'appaltatore (se ex articolo 1667 o ex articolo 1669 c.c.) atteso che egli risponde, in solido con l'impresa, a titolo di inadempimento/inesatto adempimento degli obblighi assunti con l'incarico professionale conferito, per il quale non valgono i termini di decadenza e prescrizione previsti in tema di appalto o di contratto d'opera.
Inoltre, le disposizioni dell'articolo 2226 c.c., in tema di decadenza e prescrizione dell'azione di garanzia per vizi dell'opera, sono inapplicabili alla prestazione d'opera intellettuale, ed in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l'obbligazione della progettazione e della direzione dei lavori di un fabbricato, attesa l'eterogeneità della prestazione rispetto a quella manuale, cui si riferisce l'articolo 2226 c.c., norma che non è da considerare tra quelle richiamate dall'articolo 2230 dello stesso codice; pertanto, si deve escludere che il criterio risolutivo ai fini dell'applicabilità delle predette disposizioni alle prestazioni in questione possa essere costituito dalla distinzione - priva di incidenza sul regime di responsabilità del professionista - fra le cosiddette obbligazioni di mezzi e le cosiddette obbligazioni di risultato, e ciò tenuto conto anche della frequente commistione, rispetto alle prestazioni professionali in questione, delle diverse obbligazioni in capo al medesimo o a distinti soggetti in vista dello stesso scopo finale, a fronte della quale una diversità di disciplina normativa risulterebbe ingiustificata.
Corte d'Appello di Torino, sezione I, sentenza 12 aprile 2022, n. 403

CIRCOLAZIONE STRADALE
Circolazione stradale – Responsabilità civile – Prova liberatoria
(c.c., articolo 2054)
Osserva la Corte d'Appello di Milano, adita in materia di responsabilità civile da circolazione stradale, come la presunzione di pari responsabilità, sancita dall'articolo 2054, II, c.c., abbia carattere sussidiario operando nelle ipotesi in cui non sia possibile stabilire il grado di colpa dei due conducenti dei mezzi coinvolti nel sinistro, ovvero allorché non siano accertabili le cause e le modalità del sinistro.
La prova liberatoria per il superamento di tale presunzione non deve necessariamente essere fornita in modo diretto - e cioè dimostrando di non aver arrecato apporto causale alla produzione dell'incidente, ovvero dimostrando la conformità del proprio contegno alle regole della circolazione stradale o di comune prudenza - ma può anche risultare indirettamente tramite l'accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell'evento dannoso con il comportamento dell'altro conducente.
In particolare, nel tamponamento a catena di autoveicoli in movimento trova applicazione l'articolo 2054, II, c.c. con conseguente presunzione iuris tantum di colpa in eguale misura in entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull' inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Nel caso, invece, di scontri successivi tra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile delle conseguenze delle collisioni è il conducente che le abbia determinate tamponando da tergo l'ultimo dei veicoli della colonna.
L'articolo 2054 c.c. esprime, poi, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni e, quindi, anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale, oneroso o gratuito; con la conseguenza che il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto, può invocare i primi due commi della disposizione citata per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il comma 3, per far valere quella solidale del proprietario.
Non solo. La circolazione ex articolo 2054 c.c. include (anche) la posizione di arresto del veicolo, in relazione sia all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, nonchè rispetto a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale può circolare sulle strade.
Corte d'Appello di Milano, sezione IV, sentenza 13 aprile 2022, n. 1247

MUTUO FONDIARIO
Mutuo fondiario - Finanziamento - Ammontare massimo – Violazione – Conseguenze (Dlgs 1 settembre 1993, n. 385, articoli 38, 39, 41; c.c.,articoli 2839, 2855,; Delibera CICR del 22 aprile 1995, articolo 1)
Il Tribunale di Busto Arsizio è chiamato a fornire la corretta esegesi della norma dell'articolo 38 Dlgs n. 385/1990 (TUB) che, dopo avere definito (I comma) la nozione di credito fondiario, come il contratto che ha per oggetto la concessione da parte di un istituto di credito di un finanziamento, a medio e lungo termine, garantito da ipoteca di primo grado su bene immobile, demanda poi alla Banca d'Italia, in qualità di Istituto di Vigilanza ed in conformità delle deliberazioni del Cicr, di «determinare l'ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi», ammontare poi determinato nella misura dell'80% dall'articolo 1 della Delibera Cicr del 22 aprile 1995.
Secondo il Tribunale l'articolo 38, comma 2, Tub, non contempla alcuna espressa conseguenza per il caso di concessione di un finanziamento di importo superiore rispetto alla soglia dell'80% ragion per cui la questione si ritiene dover essere risolta sul piano della qualificazione giuridica del contratto.
Precisamente, al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti, il mutuo pur qualificato come fondiario, ove non in regola con le disposizioni dell'articolo 38 Tub per intervenuto superamento dei limiti di finanziabilità, altro non è che un ordinario mutuo ipotecario.
Con la conseguenza che il superamento del limite di finanziabilità non comporta, in quanto ad esso estrinseco, la nullità del sinallagma, né la verifica della possibilità di dar luogo alla conversione in altro tipo di contratto, ma semplicemente la disapplicazione della speciale disciplina del mutuo fondiario, con conservazione del contratto di mutuo ipotecario originario e della garanzia ipotecaria.
L'adesione a questa tesi comporta, pertanto, la sola perdita dei cosiddetti privilegi fondiari di cui agli articoli 39 e 41 Tub (la facoltà di eleggere domicilio, ai fini dell'iscrizione ipotecaria, presso la propria sede, invece che nella circoscrizione del Tribunale in cui ha sede la conservatoria dei registri immobiliari ex articolo 2839 c.c.; il c.d. consolidamento breve dell'ipoteca fondiaria, non soggetta a revocatoria fallimentare quando sia stata iscritta dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza di fallimento del debitore concedente o del terzo datore di ipoteca; l'estensione della garanzia ipotecaria anche in caso di clausole di indicizzazione, ove menzionate nella nota di iscrizione, in deroga all'articolo 2855 c.c.; l'esenzione dalla revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati dal debitore poi dichiarato fallito; l'esonero dall'obbligo di previa notificazione del titolo esecutivo; la facoltà di proporre o di proseguire il processo esecutivo anche in caso di fallimento del debitore; il versamento diretto all'Istituto di credito mutuante delle rendite e del prezzo di aggiudicazione della vendita forzata).
Tribunale di Busto Arsizio, sezione II, sentenza 11 aprile 2022 n. 576

AVVOCATO
Avvocato - Responsabilità civile – Risarcimento danni – Onere della prova
(c.c., articoli 1176, 2236)
Il Tribunale di Roma, intervenuto in materia di responsabilità civile dell'avvocato, muove il suo argomentare dalla norma ex articolo 1176, II, c.c. precisando come, in relazione alla individuazione del grado di diligenza richiesto al professionista, le obbligazioni inerenti all'esercizio di attività professionale siano, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato , in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato , ma non a conseguirlo.
Consegue che, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dalla citata disposizione codicistica che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione.
L'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 1176, II, e 2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole.
A tal fine incombe su di lui l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, dovendo ritenersi, al riguardo, insufficiente il rilascio da parte del cliente della procura necessaria all'esercizio dello ius postulandi, attesa la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sulla opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio.
La responsabilità dell'avvocato non può comunque affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone.
E così, in caso di omissione colpevole, il difensore risponde dei danni subiti dal proprio (ex) cliente, qualora, sulla base di una valutazione controfattuale, sia molto probabile che i danni sarebbero stati evitati in assenza della condotta omissiva.
Tribunale di Roma, sezione XIII, sentenza 11 aprile 2022 n. 5472

CESSIONE DEL CREDITO
Cessione del credito – Natura giuridica – Perfezionamento
(c.c., articoli 1264, 1265. 2914)
Secondo il Tribunale di Brindisi il contratto di cessione di credito ha natura consensuale, di modo che il suo perfezionamento consegue al solo scambio del consenso tra cedente e cessionario, il quale attribuisce a quest'ultimo la veste di creditore esclusivo, unico legittimato a pretendere la prestazione (anche in via esecutiva), pur se sia mancata notificazione prevista dall'articolo 1264 c.c.; questa, a sua volta, è necessaria al solo fine di escludere l'efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buona fede dal debitore ceduto al cedente anziché al cessionario, nonché, in caso di cessioni diacroniche del medesimo credito, per risolvere il conflitto tra più cessionari, trovando applicazione in tal caso, il principio della priorità temporale riconosciuta al primo notificante.
In tale contesto – sottolinea ancora l'adito Giudice - non è necessario che la notifica al debitore ceduto venga eseguita a mezzo ufficiale giudiziario, costituendo quest'ultima una semplice species (prevista esplicitamente dal codice di rito per i soli atti processuali) del più ampio genus costituito dalla notificazione intesa come attività diretta a produrre la conoscenza di un atto in capo al destinatario: con la conseguenza che, ai fini tanto dell'articolo 1264 c.c., che degli articoli 1265 e 2914, n. 2, c.c., la notificazione della cessione (così come il correlativo atto di accettazione), non identificandosi con quella effettuata ai sensi dell'ordinamento processuale, costituisce atto a forma libera, non soggetto a particolari discipline o formalità.
La mancata comunicazione della cessione del credito non rileva dunque quale fatto impeditivo della sua efficacia e della produzione dell'effetto traslativo del credito derivante dal negozio di cessione, ma opera sul diverso piano dell'opponibilità della stessa al debitore ceduto e della valutazione dell'effetto liberatorio dell'eventuale pagamento da questi eseguito nelle mani del cedente nell'incolpevole ignoranza dell'avvenuta cessione.
Il disposto dell'articolo 1264 c.c. secondo cui la cessione del credito ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l'ha accettata, o quando gli è stata notificata, è dettato con riguardo all'interesse del debitore stesso, al fine di ammettere od escludere la portata liberatoria del pagamento fatto al cedente, anziché al cessionario, nonché per determinare la prevalenza fra più cessioni, ma non toglie che la cessione medesima, perfezionatasi con l'accordo fra cedente e cessionario, operi il trasferimento della titolarità del diritto ceduto e, conseguentemente, attribuisca al solo cessionario la legittimazione ad agire contro il debitore, per conseguire la prestazione dovuta.
Tribunale di Brindisi, sentenza 12 aprile 2022 n. 576

VOLO AEREO
Volo aereo - Cancellazione – Vettore aereo - Responsabilità
(Regolamento CE n. 261/2004, articoli 5, 7; considerando 14)
Interviene il Tribunale di Bologna in ordine alle conseguenze della cancellazione di un volo precisando come, a norma dell'articolo 7 del Regolamento CE n. 261/2004, sia riconosciuto, in tale ipotesi, in favore dei passeggeri il diritto alla compensazione pecuniaria pari a Euro 400,00 "per tutte le tratte aeree intracomunitarie superiori a 1.500 chilometri e per tutte le altre tratte comprese tra 1.500 e 3.500 chilometri".
La disciplina comunitaria fissa dunque, secondo il Giudice, una presunzione di responsabilità a carico del vettore aereo.
Tuttavia, l'articolo 5, III, di tale Regolamento riconosce alla compagnia aerea la possibilità di offrire la prova liberatoria, mediante la dimostrazione della sussistenza di circostanze eccezionali, cui la cancellazione o il ritardo del volo sia eziologicamente ricollegabile.
L'eccezionalità dell'evento ricorre nei casi in cui il vettore aereo non ha alcun potere di controllo in ordine al verificarsi dell'evento stesso; tra di essi rientra lo sciopero dei controllori di volo che rappresenta certamente un evento eccezionale ed imprevedibile, idoneo ad escludere la responsabilità del vettore e conseguentemente la fondatezza di ogni richiesta di compensazione pecuniaria.
Peraltro, il Regolamento CE n. 261/2004, al considerando n. 14, qualifica "gli scioperi che si ripercuotono sull'attività di un vettore aereo operativo" come circostanza eccezionale idonea ad escludere la responsabilità del vettore.
Tribunale di Bologna, sezione II, sentenza 13 aprile 2022 n. 976

RICOGNIZIONE DI DEBITO
Ricognizione di debito - Effetti – Eredi del debitore
(c.c., articolo 1988)
Osserva in sentenza il Tribunale di Forlì come la ricognizione di debito (articolo 1988 c.c.), consistendo in una dichiarazione unilaterale recettizia, non integri una fonte autonoma di obbligazione ma abbia effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, comportando soltanto l'inversione dell'onere della prova dell'esistenza di quest'ultimo.
Resta inteso, peraltro, che in tema di (promessa di pagamento e) ricognizione di debito, una volta che il debitore abbia fornito la prova dell'inesistenza o dell'estinzione del debito relativo al rapporto fondamentale indicato dal creditore (ovvero dallo stesso debitore, essendone il creditore esentato e non essendo la promessa titolata), spetta a chi si afferma comunque creditore l'indicazione di un diverso rapporto sottostante che giustifichi il credito, in quanto il principio dell'astrazione processuale della causa, posto dall'articolo 1988 c.c., che esonera colui a favore del quale la promessa o la ricognizione è fatta dall'onere di provare il rapporto fondamentale, non può intendersi nel senso che al debitore compete l'impossibile prova dell'assenza di qualsiasi altra ipotetica ragione di debito, ulteriore rispetto a quella di cui abbia dimostrato l'insussistenza.
Tali principi – sottolinea il Giudice - devono ritenersi applicabili anche nei confronti degli eredi del debitore, atteso che l'erede che abbia, espressamente o tacitamente, accettato l'eredità non può legittimamente qualificarsi terzo rispetto al "de cuius", non potendosi considerar tale colui che subentri al defunto in tutti i pregressi rapporti giuridici, poiché l'oggetto della delazione ereditaria si sostanzia proprio nel complesso dei rapporti giuridici trasmissibili, dei quali viene mantenuta la continuità con il mezzo tecnico del subingresso del chiamato nella posizione del precedente titolare, senza alcun mutamento (a parte la modificazione soggettiva) né dell'oggetto, né del titolo del singolo rapporto.
Tribunale di Forlì, sentenza 13 aprile 2022 n. 356

RAPPORTI DI VICINATO
Rapporti di vicinato - Scarico delle acque – Disciplina
(c.c., articoli 908, 913)
Il Tribunale di Milano è chiamato a fornire la corretta esegesi della disposizione di cui all'articolo 908, I, c.c. secondo cui il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno non potendo di conseguenza farle cadere nel fondo del vicino.
Tale norma si inquadra nel regime dei rapporti di vicinato e costituisce una semplice applicazione del divieto delle immissioni e del regime delle acque ex articolo 913 c.c., quasi da risultare – secondo il Tribunale - sostanzialmente superflua.
La sua ratio è quella di evitare lo scarico delle acque sul fondo vicino, e quando tale scopo sia raggiunto con opportuni accorgimenti tecnici (gronde, canali, ecc.), atti a condurre le acque sul proprio terreno od in colatoi pubblici, non ha alcun rilievo il senso della pendenza dei tetti e delle altre forme di copertura (lastrici solari, terrazze, cornicioni, ecc.).
Ne segue che imponendo ai proprietari degli edifici l'obbligo di costruire i tetti in maniera tale che le acque pluviali scolino nei loro terreni e non nei fondi finitimi, esclude la configurabilità di un limite legale della proprietà analogo a quello previsto dal successivo articolo 913 c.c., che disciplina il deflusso delle acque che scolano naturalmente.
Pertanto la deroga alla disciplina contenuta nell'articolo 908 c.c., realizzata a mezzo dello scolo di acqua piovana nel fondo del vicino conseguente alla costruzione di un tetto, può trovare il suo fondamento soltanto nella costituzione di una servitù di stillicidio, la quale, facendo venire meno il limite legale della proprietà imposto dall'articolo 908 c.c. consenta tale scolo.
Da qui, all'opposto, il fondamento della domanda che può svolgere il titolare del fondo reso "di fatto" servente al fine di far accertare l'illegittimità petitoria di una simile condizione evitando così l'acquisto a titolo originario di una servitù di scolo a favore della controparte.
Tribunale di Milano, sezione IV, sentenza 13 aprile 2022, n. 3305

OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA DI UN IMMOBILE
Occupazione illegittima di un immobile – Ipotesi – Responsabilità civile – Onere della prova

Il Tribunale di Torino afferma in sentenza il principio di diritto a tenore del quale, nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario, essendo collegato all'indisponibilità di un bene normalmente fruttifero, è oggetto di una presunzione relativa, che onera l'occupante della prova contraria dell'anomala infruttuosità di quello specifico immobile.
L'ipotesi dell'occupazione di un immobile senza titolo ricorre allorquando si venga privati della possibilità di fruire di un immobile ad opera di un terzo che lo occupa in maniera illegittima, ovvero senza che vi sia un contratto efficace a giustificare il suo possesso.
Sono sostanzialmente tre i casi in cui vi è occupazione senza titolo:
- il terzo occupa e dispone dell'immobile senza che si sia mai stipulato un contratto (di locazione o di compravendita) tra proprietario e occupante (ad es., occupazioni abusive di unità immobiliari o edifici aziendali non produttivi);
- il terzo e il proprietario dell'immobile hanno stipulato un contratto che legittima la disponibilità da parte del terzo, ma il proprietario ne contesta l'originaria validità (ad es., mancanza di un requisito essenziale come la capacità della parte o il difetto di causa o di forma) o l'inefficacia (ad es., mancata verificazione di una condizione sospensiva cui era sottoposto);
- il terzo e il proprietario dell'immobile hanno stipulato un contratto inizialmente valido ed efficace, ma che successivamente ha perso di efficacia (nell'ipotesi, ad esempio, di mancata restituzione dell'immobile da parte dell'inquilino a seguito della scadenza del contratto di locazione/comodato).
È evidente che l'occupazione illegittima ricorre in tutte e tre le ipotesi, però, mentre la prima si caratterizza per la totale assenza di un titolo legittimante l'occupazione, nelle altre detto titolo è riscontrabile, seppur nullo, inefficace o scaduto.
Tribunale di Torino, sezione VIII, sentenza 13 aprile 2022 n. 1650

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