Società

Vendita di partecipazioni sociali e obbligo a carico dell'acquirente di eseguire un finanziamento in favore della società compravenduta

L'accordo conteneva peraltro una clausola in base alla quale gli introiti di tale finanziamento soci sarebbero stati utilizzati per estinguere parte dell'esposizione debitoria della società nei confronti dei venditori quali soci finanziatori della stessa, in misura proporzionale al debito verso ciascuno di essi

di Antonio Martini , Ilaria Canepa e Arianna Trentino*

Con ordinanza n. 7530 del 15 marzo 2023 la Corte di Cassazione ha statuito che nel caso di vendita delle partecipazioni sociali, ove al pagamento di una parte del corrispettivo si affianchi, al fine del pagamento del prezzo residuo, l'assunzione a carico dell'acquirente dell'obbligo di eseguire un finanziamento in favore della società compravenduta, con l'accordo che il socio entrante si attivi affinché quest'ultima paghi la relativa somma ai soci alienanti, al fine di tenerli indenni degli esborsi in precedenza eseguiti in favore della società a titolo di versamenti in conto aumento capitale sociale, tale accertata natura (di versamenti in conto aumento del capitale e non di finanziamenti) degli originari versamenti dei soci alienanti alla società non rende di per sé nulla, per violazione dell'art. 2423 c.c. o per preteso rimborso del capitale di rischio, la clausola che l'assunzione di quell'obbligo preveda.

La vicenda origina dall'appello proposto avverso la sentenza resa dal Tribunale di Roma il 4 aprile 2015, la quale aveva disatteso le domande proposte dagli attori.

Questi, invero, in primo grado, avevano dedotto la conclusione di un complesso negozio con la convenuta mediante il quale gli stessi si erano impegnati a cedere le proprie partecipazioni a fronte del prezzo, pari al valore nominale dei titoli, nonché dell'assunzione di una serie di obbligazioni a carico dell'acquirente, tra cui quella di effettuare un finanziamento soci in favore della società compravenduta.

L'accordo conteneva peraltro una clausola in base alla quale gli introiti di tale finanziamento soci sarebbero stati utilizzati per estinguere parte dell'esposizione debitoria della società nei confronti dei venditori quali soci finanziatori della stessa, in misura proporzionale al debito verso ciascuno di essi.

La Corte d'appello, nel merito, aveva ritenuto che i soci alienanti avessero, in precedenza, eseguito non dei finanziamenti dei soci, bensì dei versamenti in conto futuro aumento di capitale, appostati a riserva della società ed utilizzati dall'assemblea dei soci a diminuzione delle perdite di esercizio. In ragione di ciò, ad avviso del Giudice di secondo grado, la clausola del negozio non sarebbe stata rispondente alla realtà dei fatti, non essendovi "finanziamenti soci" da restituire alle parti venditrici.

La suddetta clausola doveva, invece, qualificarsi come promessa del fatto del terzo, ai sensi dell'art. 1381 c.c., stante l'inesistenza di un debito restitutorio in capo alla società compravenduta.

La clausola in questione, tuttavia, veniva ritenuta affetta da illiceità. Secondo la Corte, infatti, l'acquirente non avrebbe avuto il potere giuridico di far deliberare alla società il pagamento della somma in favore degli attori appellanti. Posto che le operazioni economiche delle società di capitali devono essere funzionali al perseguimento dell'oggetto sociale, a nessun titolo sarebbe stato lecito un pagamento della somma dalla società ai venditori, neppure in mancanza di un pregiudizio per il patrimonio, determinandosi altrimenti una violazione dei criteri di redazione del bilancio, di cui agli artt. 2423 ss. c.c., e del divieto di rimborso del capitale di rischio manente societate.

La Corte di Cassazione sul punto ha ricordato come, per un verso, il giudice deve procedere all'analisi degli interessi concretamente perseguiti dalle parti, o ragione pratica dell'affare, valutando l'utilità del contratto e la sua idoneità ad espletare una funzione commisurata sugli interessi come tali; per altro verso che la clausola prevista dall'art. 1322 c.c. subordina i contratti non appartenenti ad una disciplina particolare alla verifica che essi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico, poiché il contratto discende dall'esercizio dell'autonomia privata, tale esercizio è libero ed il confine di questa libertà risiede nella meritevolezza degli interessi perseguiti.

Ne deriva che i concetti di illiceità per contrasto con norme imperative, ordine pubblico e buon costume, come quello di meritevolezza, devono essere riempiti di contenuto dagli interpreti i quali sono chiamati a individuare quelle condotte che, pur configurando esercizio dell'autonomia negoziale, integrino in concreto una violazione dei divieti e il non legittimo esercizio del diritto d'iniziativa economica privata.

Nel caso di specie, ad avviso della Corte, il nuovo finanziamento effettuato della socia entrante, che essa avrebbe dovuto compiere in adempimento degli accordi raggiunti, avrebbe potuto lecitamente dare luogo, in adempimento del contratto di compravendita delle partecipazioni sociali, alla restituzione della somma non alla stessa finanziatrice, ma ai soci uscenti, secondo un meccanismo sicuramente lecito, al fine di adempiere così, da parte dell'acquirente, al pagamento del prezzo residuo della compravendita.

In definitiva, la Corte di Cassazione, in parziale accoglimento del ricorso, ha ritenuto che la nullità della clausola fosse stata dichiarata senza che fosse stata accertata la violazione di specifici divieti positivi, con la conseguenza che la sentenza impugnata aveva finito per alterare il sinallagma contrattuale voluto dalle parti, elidendo l'obbligazione di pagamento di una rilevante parte del prezzo.

*a cura dell'Avv. Antonio Martini, partner , Ilaria Canepa associate e dott.ssa Arianna Trentino, trainee – Studio CBA

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