Famiglia

L'accertamento della violazione del diritto alla bigenitorialità, non può passare per l'esecuzione coattiva

La sentenza della Suprema corte del 24 marzo 2022 n. 6961 pare mettere definitivamente una pietra tombale sulla PAS

di Valeria Cianciolo

La decisione della Suprema Corte del 24 marzo 2022 n. 6961 è di portata storica perché approfondisce le argomentazioni relative alla effettiva capacità genitoriale del genitore non affidatario (in questa fattispecie la madre) mettendo da parte una volta per tutte, la controversa "PAS" (Parent Alienation Syndrome), discussa anche all'interno della comunità scientifica: è una sindrome e dunque, da considerarsi come un disturbo d'ansia o è una condizione del minore riconducibile al genitore alienante? La cosa ha i suoi risvolti pratici perché la qualificazione o meno come "sindrome" incide sull'invocabilità di questa, nei tribunali ai fini dell'affidamento del minore (e, dunque, anche dell'allontanamento del minore da uno dei genitori). Il tema non è peregrino al punto che è intervenuto il Ministro della salute Roberto Speranza, con una nota del 29 maggio 2020, in risposta all'interrogazione parlamentare n. 4-02405 della Sen. V. Valente, poi del Ministro della Giustizia Marta Cartabia, in risposta all'interrogazione n. 3-02581 dell'On. Rossella Muroni, rilevando entrambi che detta "sindrome" non è riconosciuta dalla grande maggioranza della comunità scientifica per la mancanza di sufficienti dati a sostegno.

Il caso
Il tribunale per i Minorenni di Roma pronunciava la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale di una madre sul figlio nonché la sospensione di ogni rapporto fra questa e il minore stesso. La decisione si fondava sulla necessità di consentire al padre di poter frequentare il figlio.

La Corte d'appello confermava le misure adottate.
La donna ricorreva in cassazione e fra i diversi motivi di impugnazione, deduceva la nullità della sentenza in quanto, a suo dire, la corte d'appello non aveva fatto riferimento a elementi di giudizio a lei favorevoli, pronunciandosi in acritica e integrale adesione alle conclusioni del c.t.u. circa l'affidamento esclusivo del minore al padre, omettendo di pronunciarsi sulle sue difese in ordine all'erronea diagnosi della PAS e alla relativa infondatezza scientifica: errata, infatti, l'applicazione degli articoli 330 e 333 cod. civ. avendo il tribunale per i minorenni posto a sostegno della decisione reclamata concetti quali "patto di lealtà" o "il condizionamento che tale condotta assume sul minore coinvolto da anni in una triangolazione conflittuale tra i genitori" (senza alcuna prova che la ricorrente avesse violato il decreto che prevedeva invece l'attivazione degli incontri padre/ figlio da parte del tutore e dei servizi sociali). Violati poi diversi articoli del codice civile in materia di affidamento dei figli nonché gli articoli 2, 16, 31, 32 e 111 della Costituzione con riferimento alle reali ragioni del rifiuto del minore circa l'affidamento al padre, ingiustamente attribuite a una presunta e ascientifica alienazione parentale.
In particolare, la Corte territoriale, secondo la ricorrente avrebbe deciso il collocamento del minore presso la casa famiglia sulla base del contenuto delle tre c.t.u. che avevano di fatto recepito le argomentazioni relative alla PAS, confermando il decreto del tribunale per i minorenni che aveva statuito l'allontanamento del minore dall'ambiente familiare per collocarlo, attraverso un prelievo forzoso, in una struttura senza averne disposto l'ascolto.

Le questioni
Nelle motivazioni a sostegno di questa ordinanza, gli Ermellini ricostruiscono, facendo leva sulla giurisprudenza nazionale e comunitaria, la fallacia della summenzionata PAS e sul come l'affidamento esclusivo debba essere motivato nel merito con riferimenti specifici alle condotte genitoriali poste in essere dalle parti.
La Suprema Corte richiama alcuni concetti già espressi precedentemente in tema di affidamento dei figli minori, ribadendo che "qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro, affidatario con locatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti utilizzando i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia incluse le presunzioni e a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena".
E' stato più volte precisato che nei giudizi in cui sia stata esperita c.t.u. medico-psichiatrica, il giudice di merito, nell'aderire alle conclusioni dell'accertamento peritale, non può limitarsi al richiamo delle conclusioni del consulente, ma è tenuto - sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici - a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che non abbia l'avallo dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi scartare l'eventualità, in ambito giudiziario, di accogliere spiegazioni ascientifiche e potenzialmente foriere di danni ancor più gravi di quelli che si vogliono evitare.
Innumerevoli le sentenze della Corte EDU citate dall' ordinanza in esame che richiamano le autorità nazionali ad adottare tutte le misure atte ad assicurare il mantenimento dei legami tra il genitore e i figli: l'individuazione delle concrete modalità di esercizio e attuazione del predetto diritto deve avvenire avendo sempre come "parametro principale di riferimento l'interesse superiore del minore". E' un principio ormai assodato che il diritto alla bigenitorialità è teso a realizzare il miglior interesse del minore come confermano gli articoli 337- ter codice civile ("il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa") e 8 CEDU nonchè la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. Il che significa valorizzare il miglior interesse del minore con prevalenza su altri diritti.
Si aggiunga anche che la stessa coercizione nell'imposizione dei rapporti familiari non appare quasi mai la via migliore per garantire il minore come peraltro sancito anche dalla Corte EDU. Pertanto, l'accertamento della violazione del diritto del padre alla bigenitorialità nonché la conseguente necessità di garantire l'attuazione del diritto di per sé non possono comportare automaticamente la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale, come ha fatto la Corte d'Appello capitolina che, nel disattendere questa indicazione, non ha considerato le conseguenze sulla vita del minore privato del riferimento materno.
E' evidente che l'equilibrio tra i suddetti principi cardine del nostro ordinamento deve, necessariamente, essere guidata dal superiore interesse del minore verso il quale l'intera procedura deve sempre e comunque tendere, mediante lo sforzo continuo e congiunto di tutti i soggetti implicati, primo fra tutti il giudice che "è chiamato al non facile compito di modulare le regole dell'affidamento tenendo presente la peculiarità del caso concreto, dipendendo dal suo intervento l'effettività della tutela dell'interesse del minore" (così Pinelli, I provvedimenti concernenti i figli in caso di crisi del matrimonio o dell'unione di fatto, in La riforma della filiazione a cura di C.M. Bianca, Torino, 2015, 752).
Il provvedimento impugnato non ha tenuto conto dell'interesse del minore poiché non ha affrontato la questione della sottrazione improvvisa del figlio dalla madre dall'ambiente familiare. Al riguardo la motivazione della corte d'appello si limita a un rinvio al contenuto delle c.t.u. espletate. Afferma la cassazione in un passaggio a pagina 26: "… Se è vero che il giudice deve verificare se la condotta di un genitore sia impeditiva del diritto dell'altro genitore alla bigenitorialità cioè a prescindere dal fatto che tale condotta ostruzionistica presenti o meno le caratteristiche della ipotetica cosiddetta sindrome da alienazione parentale, è altresì vero che non è però irrilevante la verifica del corretto percorso clinico terapeutico intrapreso sul minore al fine di realizzare il richiamato bilanciamento tra il suo interesse e il diritto del padre alla bigenitorialita'. Le valutazioni psicologiche espresse dei c.t.u. cui la corte d'appello rinvia in modo generico è acritico, presentano perplessità interpretative poiché pur muovendo dei fatti inerenti all'ostruzionismo della ricorrente verso l'ex compagno fanno comunque riferimento al postulato patto di lealtà tra madre e figlio o al condizionamento psicologico, termini suggestivi che lasciano aleggiare la teoria della pas di cui parla espressamente il c.t.u. quale forma specifica di abuso psicologico che la accomuna ex articolo 333 codice civile alle altre forme di violenza".

Il cuore dell'ordinanza
Il cuore dell'ordinanza è la seguente: "il richiamo alla sindrome di alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza della responsabilità genitoriale della madre. Occorre sul punto evidenziare che il collegio non intende né potrebbe sindacare valutazioni proprie della disciplina della psicologia o delle scienze mediche, ma può certo verificarne la correttezza applicativa sulla base di criteri universalmente riconosciuti approvati… Il concetto di abuso psicologico di cui discorrono il c.t.u. appare indeterminato e vago ed incerta pregnanza scientifica, e suscettibile di essere descritto secondo i parametri diagnostici della scienza medica e di ardua definizione anche secondo le categorie della disciplina psicologica… Tale condotta materialmente alienante che la ricorrente avrebbe esercitato sul figlio, sebbene scientificamente inconsistente, ha prodotto il risultato di correlare il supposto abuso psicologico a grave pregiudizio per il figlio di cui all'articolo 330 codice civile, prospettando come conseguente la conclusione che il rifiuto del figlio di incontrare il padre sia quantomeno il frutto di una condotta di mera lealtà del minore verso la madre…"

Il giudizio della Suprema Corte pare mettere definitivamente una pietra tombale sulla PAS. [La Cass. Civ., Sez. I, sent. 20 marzo 2013, n. 7041, si era espressa sul concetto di PAS, negandone l'esistenza e statuendo che "il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche (Cass. Civ., 14759 del 2007; Cass., 18 novembre 1997, n. 11440), ovvero avvalendosi di idonei esperti, deve verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale (Cass. Civ., 3 febbraio 2012, n. 1652; Cass. Civ., 25 agosto 2005, n. 17324). Ciò, ad esempio, nel caso in cui il CTU sostenga la presenza di una c.d. PAS, ripudiata dalla letteratura scientifica internazionale di maggioranza."]. D'altro canto, il comma 23, lett. b), contenuto nella Legge 26 novembre 2021, n. 206 ("Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata") prevede che qualora il giudice ritenga di avvalersi di un consulente, lo nomini con provvedimento motivato, indicando gli accertamenti da svolgere; in tal caso il consulente si dovrà attenere «ai protocolli e alle metodologie riconosciuti dalla comunità scientifica, senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili di personalità estranee agli stessi». Un principio questo che ha lo scopo di impedire l'utilizzo nei tribunali di teorie che non hanno un riscontro scientifico, impedendo così al giudice l'appiattimento sulle valutazioni di una psicologia e/o psichiatria acritiche rispetto a comportamenti che configurano lesioni della salute verificatisi all'interno della famiglia e che non ancorano le loro ipotesi a fatti concreti, storici e documentali.
Tali argomentazioni introducono l'altro profilo dell'ordinanza afferente al mancato ascolto del minore che non è stato sentito né dal tribunale per i minorenni né dalla corte d'appello: anche qui si ribadisce il principio più volte espresso, ossia, che in tema di affidamento dei figli minori nell'ambito del procedimento di divorzio, l'ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità perché destinato a raccogliere le sue opinioni e a valutare i suoi bisogni. I minori infatti non sono parti formali del giudizio, ma sono parti sostanziali in quanto portatori di interessi diversi e talvolta contrapposti a quelli dei loro genitori. Giocoforza la tutela in questi giudizi può realizzarsi soltanto attraverso il loro ascolto il cui difetto comporta la violazione del principio del contraddittorio salvo, ovviamente che il mancato ascolto non sia sorretto da un'adeguata motivazione da giustificarne l'omissione.

Quanto all'esecuzione coattiva del prelievo del minore, altro aspetto affrontato dagli Ermellini, occorre ricordare che nel nostro ordinamento giuridico non esiste una normativa che specifichi l'organo deputato per l'esecuzione dei provvedimenti giudiziari relativi all'affido dei minori. Tale vuoto unita alla frammentarietà delle competenze giudiziarie in materia, rende difficile l'identificazione del giudice competente per l'esecuzione dei provvedimenti, il che comporta una serie di enigmi da sciogliere, posto che l'obbligo di consegna non ha come oggetto un "bene", ma una persona minorenne. Si legge nell'ordinanza: "Il fatto che il minore abbia sempre convissuto con la madre non equivale a politicamente a sostenere che la sua volontà di non incontrare il padre o di non incontrarlo con le frequenze prescritte sia ineluttabilmente guardata dalla madre attraverso schematismi, in mancanza di riscontri verificabili sul supposto rapporto di così grave soggezione implicante la negazione di ogni autonomo processo decisionale anche istintivo di un minore ormai dodicenne. Ciò naturalmente non incide sul pieno diritto del padre di incontrare il figlio di sviluppare significative relazioni con lo stesso, ma sulle modalità di realizzazione di tale diritto che il provvedimento impugnato confina nell'esecuzione coattiva del prelievo del minore dalla residenza della madre, con la precisione di ogni relazione con quest'ultima, che pure ne rappresenta la figura di ferimento nella tua vita."
In siffatta ottica non appare applicabile la normativa che disciplina l'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare (art. 612 c.p.c.).

L'ordinanza suggerisce l'applicazione dell'art. 709 ter c.p.c. strumento questo, applicato dalla giurisprudenza, per contrastare gli inadempimenti agli obblighi di natura personale nelle ipotesi previste dalla norma. Si precisa a completamento di quanto detto che con l'entrata in vigore nel 2009 dell'art. 614- bis cod. proc. civ., la giurisprudenza di merito nelle proprie decisioni ha ritenuto di utilizzare unitamente all'art. 709- ter cod. proc. civ. anche la misura coercitiva indiretta dell'art. 614- bis cod. proc. civ. nell'ottica di rafforzare la tutela delle obbligazioni familiari di fare fungibili o infungibili e di non fare (si pensi per esempio proprio ai conflitti in relazione ai tempi di permanenza del figlio presso un genitore, agli ostacoli alla frequentazione posti in essere da un genitore verso l'altro, od ancora alle difficoltà attuative connesse all'obbligo di consegna del minore). [Trib. Lecce, 1.7.2019, in www.osservatoriofamiglia.it; Trib. Genova, 8 novembre 2018, in www.osservatoriofamiglia.it; Trib. Roma, 10 maggio 2013, in Giur. mer., 2013, 2100 ss.; Trib. Firenze, ord 10 novembre 2011, in Danno e resp., 2012, 781 ss.].

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