Penale

Patteggiamento, la pena sospesa senza riparare va alle Sezioni unite

di Patrizia Maciocchi

Saranno le Sezioni unite della Cassazione a stabilire se, nella sentenza di patteggiamento, sia illegale concedere la sospensione condizionale della pena concordata tra le parti, senza subordinare il beneficio agli obblighi riparativi previsti per i reati di violenza di genere e domestica. E dunque se sia ammissibile sul punto il ricorso del pubblico ministero in Cassazione. La Suprema corte (ordinanza 7239) chiama in causa le Sezioni unite perché si esprimano sulla illegalità di una pena attribuita senza tenere conto della giustizia riparativa.

Nel caso esaminato, il procuratore generale aveva fatto ricorso contro la sentenza con la quale il Gip aveva concesso la sospensione condizionale della pena in un reato di violenza sessuale, senza imporre all’imputato i percorsi di recupero presso enti e associazioni qualificate. Una prescrizione riparativa, prevista dall’articolo 165, quinto comma del Codice penale, introdotta dalla legge 69/2019 (il cosiddetto Codice rosso).

L’articolo 165 impone, in generale, una serie di obblighi, dalla restituzione di somme, ai risarcimenti fino ai servizi prestati in favore della comunità. Azioni riparative previste per una gamma di condotte che vanno dai reati contro la Pubblica amministrazione, all’omicidio.

Le Sezioni unite dovranno chiarire la nozione di pena illegale, e dunque esprimersi sulla possibilità che per la pubblica accusa si apra la via del ricorso in Cassazione. Ma dovranno farlo bilanciando il principio costituzionale, secondo il quale contro le sentenze è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge, con le esigenze di celerità e deflazione connesse al patteggiamento.

Un punto sul quale la giurisprudenza è spaccata. Né sono risolutivi due precedenti delle Sezioni unite perché, pur avendo esaminato la nozione di pena illegale riferito alla concessione della sospensione condizionale della pena, lo hanno fatto per sentenze diverse dal patteggiamento.

La Suprema corte guarda allora agli obblighi internazionali. A quelli che derivano dalla ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e domestica. Una norma sovranazionale che prevede per le parti un obbligo di adottare misure legislative che contengano programmi ad hoc per gli autori della violenza.

Per i giudici la corrispondenza della disciplina dettata dall’articolo 165 con le previsioni di un accordo internazionale sono un elemento importante per considerare le prescrizioni indicate «un momento primario dell’assetto normativo». E dunque far valere la loro violazione con il ricorso in Cassazione. Ma l’ultima parola spetta alle Sezioni unite.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©