Amministrativo

Impianto fotovoltaico, riqualificazione del contratto ed imposta di registro

A fronte della realizzazione di un crescente numero di impianti fotovoltaici su terreni con destinazione agricola, sono emerse problematicità relative allo schema contrattuale utilizzabile dalle parti e sulle ricadute di natura fiscale di tale scelta.

di Alessandro Buroni*

Non può ritenersi legittima la rideterminazione dell'imposta di registro ex art. 20, T.U.R., operata dall'Agenzia delle Entrate a seguito della riqualificazione di un contratto di locazione di terreno agricolo, finalizzato all'installazione di un impianto fotovoltaico, in contratto costitutivo di diritto reale di superficie (ex plurimis Cass. Civ., 27/04/2022, n. 13131).

A fronte della realizzazione di un crescente numero di impianti fotovoltaici su terreni con destinazione agricola, sono emerse problematicità relative allo schema contrattuale utilizzabile dalle parti e sulle ricadute di natura fiscale di tale scelta.

In particolare l'Agenzia delle Entrate ha sistematicamente rideterminato le imposte di registro, ipotecarie e catastali, riqualificando ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come contratto di costituzione di diritto di superficie, un negozio titolato dalle parti stesse come contratto di affitto di un terreno agricolo, finalizzato alla costruzione ed all'esercizio di un impianto fotovoltaico.

Tale riqualificazione operata dall'Ufficio comporta un sensibile aumento delle imposte indirette dovute dal contribuente.

L'Agenzia delle Entrate con la risposta ad interpello n. 299 del 27 aprile 2021, la quale ha ripreso le indicazioni fornite nella precedente Circolare n. 36/E/2013, ha precisato come i contratti di locazione dei terreni agricoli destinati alla costruzione di impianti fotovoltaici, scontino l'imposta di registro nell'ordine dello 0,50%.

Ben più onerosa in quanto pari al 9% è l'imposta di registro, dovuta sull'atto di costituzione del diritto di superficie di un terreno a destinazione agricola, come previsto dall'articolo 1, comma 1, della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986 (ex plurimis Cass. Civ., 11/02/2021, n. 3461).

La Suprema Corte è di recente stata chiamata a pronunciarsi circa la correttezza della scelta contrattuale operata dal contribuente e della conseguente illegittimità della ripresa delle imposte indirette operata dall'Ufficio (ex plurimis Cass. Civ., 27/04/2022, n. 13131).

Il ragionamento operato dall'Amministrazione Finanziaria prende le mosse dall'analisi testuale delle clausole contenute nel negozio stipulato tra le parti, rilevando anomalie rispetto alla causa tipica del contratto di locazione ordinariamente inteso.

Pertanto l'Ufficio conclude per l'avvenuta conclusione tra le parti di una convenzione ad effetti reali, con conseguente rideterminazione delle imposte indirette dovute dal contribuente.

In particolare l'Agenzia ha ritenuto rilevante a supporto delle proprie conclusioni, il programma contrattuale afferente la pattuita corresponsione di un corrispettivo periodico, le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto fotovoltaico poste a carico dell'affittuario, il quale peraltro mantiene la proprietà del manufatto per tutta la durata del rapporto (normalmente da venti a trent'anni, specularmente alla durata dei contributi ricevuti), l'acquisizione degli impianti nel patrimonio dell'affittuario nel caso di recesso anticipato nonché l'acquisto della proprietà degli impianti fotovoltaici e degli altri manufatti a titolo gratuito da parte del proprietario del terreno al termine del rapporto contrattuale.

Secondo l'Amministrazione Finanziaria deve ritenersi decisiva ai fini della qualificazione del contratto ad effetti reali, la clausola che consente all'asserito affittuario la trasformazione del bene finalizzato alla realizzazione di un impianto fotovoltaico. Tale effetto infatti, deve ritenersi esclusivo della concessione dello jus aedificandi, tipico del diritto reale di superficie ed è caratterizzato dalla traslazione alla scadenza, della proprietà dei manufatti realizzati sul suolo altrui, con accessione della proprietà della costruzione al terreno ex art. 953 c.c..

Nel contratto di locazione disciplinato dagli artt. 1571 e ss. c.c. viceversa, non deve ritenersi consentita la trasformazione radicale del bene locato ad opera del conduttore, il quale deve utilizzarlo secondo la destinazione economica conferitale dal proprietario-concedente, inoltre sussiste l'obbligo da parte dello stesso di rimuovere le addizioni eseguite, salva la possibilità per il proprietario-locatore di trattenerle, accordando all'affittuario un indennizzo.

Il criterio adottato dalla giurisprudenza di legittimità per stabilire se un determinato atto abbia ad oggetto la costituzione di un diritto di superficie ovvero una locazione o comunque altro atto a contenuto meramente obbligatorio anche con causa atipica, si articola in due fasi, la prima delle quali presuppone la verifica dell'effettivo oggetto della volontà comune delle parti. Tale operazione circoscritta al giudizio di merito, consiste in un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità. La seconda fase prevede l'inquadramento giuridico del negozio secondo i criteri ermeneutici dettati dall'art. 1362 c.c.. Tale ultimo aspetto si risolve nella verifica della corretta applicazione delle norme giuridiche e può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità.

Occorre tenere conto che qualora di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata quella della controparte (ex plurimis Cass. Civ., 28/11/2017, n. 28319).

Secondo la Suprema Corte sotto il profilo strettamente civilistico, le parti hanno la facoltà di scegliere, nell'esercizio dell'autonomia privata riconosciuta dall'art. 1322 c.c., di perseguire risultati economici analoghi, anche se non identici, mediante contratti ad effetti reali o mediante contratti ad effetti obbligatori anche facendo ricorso a figure contrattuali atipiche, con il limite che gli interessi tutelati debbano essere meritevoli di tutela (Cass. Civ. sez. un., 30/04/2020, n. 8434).

La differenza dal punto di vista sostanziale, tra il diritto di superficie e il diritto personale di godimento, è fondamentalmente rinvenibile nella tipicità del diritto reale, rispetto alla possibilità concessa alle parti di regolare secondo le proprie esigenze il rapporto obbligatorio e comunque nei limiti circoscritti dall'art. 1322 c.c. (ex plurimis Cass. Civ., 26/02/2008, n. 5034).

Nella fattispecie la concessione ad aedificandum e le ulteriori clausole tenute in considerazione dall'Amministrazione Finanziaria ai fini della riqualificazione del contratto, stante la citata autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., non possono essere indicative sempre ed esclusivamente della costituzione di un diritto di superficie come disciplinato dall'art. 952 c.c.

Deve pertanto ritenersi legittimo un accordo tra le parti con i caratteri e i contenuti di un diritto personale, seppur peculiare, con effetti meramente obbligatori non soggetto a rigori di forma e di pubblicità tipici dei diritti reali.

Sempre secondo l'arresto della Suprema Corte (ex plurimis Cass. Civ., 27/04/2022, n. 13131, cit.), nella fattispecie neppure ai fini meramente tributari è possibile ritenere sussistente tra le parti un contratto avente ad oggetto la concessione del diritto di superficie.

Sul punto deve ritenersi consolidato l'orientamento secondo il quale in tema di imposte di registro, ipotecaria e catastale, in applicazione della norma di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, l'Amministrazione Finanziaria pur non essendo tenuta a conformarsi alla qualificazione giuridica attribuita dalle parti al contratto, non può spingersi sino a travalicare lo schema negoziale tipico in cui l'atto risulta inquadrabile, salvo fornire le prova del disegno elusivo e delle concrete modalità di manipolazione ed alterazione dello schema negoziale stesso (Cass. Civ., 15/01/2019, n. 722).

L'interpretazione corretta dell'art. 20 citato, impone, ai fini della determinazione dell'imposta di registro, di qualificare l'atto, o il collegamento di più atti, in ragione degli effetti oggettivamente raggiunti dal negozio (ex plurimis Cass. Civ., 22/04/2021, n. 10688).

Sul punto deve ritenersi dirimente la sentenza della Corte Costituzionale n. 158 del 2020, secondo la quale deve escludersi che la ratio dell'art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 sia rinvenibile nel recupero delle imposte eluse. A tale scopo deve ritenersi predisposto l'istituto dell'abuso del diritto ex art. 10 bis, L. n. 212 del 2000, il quale presuppone che l'operazione posta in essere dalle parti sia priva di una reale causa economica.

Al contrario tale funzione antielusiva non può ritenersi propria della norma di cui all'art. 20 in esame, vista la sua natura di imposta d'atto non possono assumere rilievo elementi extratestuali e neppure gli atti collegati, privi di qualsiasi nesso letterale rispetto all'atto per cui è richiesta la registrazione.

La pronuncia della Consulta ha altresì negato un'interpretazione dell'art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, in funzione antielusiva basata sul concetto di causa reale, infatti tale finalità postula la garanzia del contraddittorio nonché la verifica circa la sussistenza di indebiti vantaggi fiscali. Contravvenendo a tali principi si impedirebbe al contribuente una legittima pianificazione fiscale, viceversa prevista dalla normativa tributaria nazionale e dell'Unione Europea.

Alla luce di tali considerazioni il Giudice delle leggi ha concluso ritenendo che l'interpretazione dell'atto prevista dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non possa ricavarsi dall'individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e comunque dagli elementi desumibili dall'atto presentato alla registrazione. Pertanto devono ritenersi illegittime la condotte dell'Amministrazione Finanziaria volte a fraintendere gli effetti giuridici, rilevanti ai fini dell'imposizione di registro, con quelli economici dell'operazione negoziale, essendo la finalità antielusiva, un profilo da ritenersi pacificamente estraneo all'art. 20 in esame.

Per concludere, alla luce dello scrupoloso esame delle clausole contrattuali la Suprema Corte ha ritenuto coerente la qualificazione contrattuale operata dalle parti, ritenendo sussistente tra le stesse un contratto di locazione di un terreno agricolo atipica ex artt. 1571 e ss. e 1322 c.c., finalizzato alla costruzione e gestione di un impianto fotovoltaico.

Il rigetto della richiesta formulata dell'Agenzia delle Entrate di riqualificazione del contratto in costituzione di diritto di superficie e la conseguente liquidazione delle maggiori imposte indirette, conferma il principio secondo il quale è garantita al contribuente la possibilità di scegliere, nel rispetto delle norme, la soluzione fiscalmente più vantaggiosa.

*A cura di Alessandro Buroni, Avvocato, Dottore Commercialista e Revisore Legale School University Foundation

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