Responsabilità

Giovane calciatore infortunato, risponde il presidente della società

Condannato perché la porta, non fissata al suolo, si è ribaltata sul bimbo

di Guido Camera

Il gioco del calcio implica rischi per l’incolumità fisica che non derivano solo dalla pratica sportiva, ma anche dalla struttura in cui l’attività si svolge. Il responsabile della società che ha la disponibilità degli impianti è perciò gravato da una posizione di garanzia rispetto all’integrità degli atleti, che gli impone di adottare tutte le cautele che possono impedire il superamento dei limiti di rischio connaturati alla normale pratica della disciplina. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 5124 depositata il 14 febbraio 2022, che ha confermato la condanna per lesioni colpose irrogata nei confronti del presidente di un’associazione sportiva in relazione all’infortunio subìto da un bimbo delle giovanili che, prima di iniziare l’allenamento, si era fratturato il naso giocando con una porta di metallo di un campo di calcetto, che si era ribaltata.

Il ricorrente si era difeso spiegando di non essere stato presente al momento del fatto, ma di avere nominato delle figure operative, tra i quali istruttori tecnici debitamente formati, quel giorno regolarmente in campo. Inoltre, aveva sottolineato l’esistenza di una procedura di accesso al campo, per cui i piccoli atleti non potevano entrare prima dell’inizio dell’allenamento; divieto segnalato anche da un cartello. I genitori, poi, dovevano consegnare personalmente i figli agli allenatori, sorgendo in capo a loro, fino a quel momento, i doveri di protezione e custodia. Da ultimo, il ricorrente aveva sostenuto di aver adottato dei dispositivi che consentivano l’ancoraggio a terra delle porte.

La Cassazione ha motivato il giudizio di colpevolezza proprio confutando quest’ultimo aspetto, cruciale per la soluzione della controversia. I giudici di legittimità, infatti, hanno rilevato che, diversamente da quanto affermato dalla difesa, nel corso della fase di merito non era emerso che le porte fossero effettivamente dotate di un dispositivo di fermo al suolo, come invece espressamente prescritto dalla normativa tecnica del settore calcistico. La sua mancata adozione è stata ritenuta la causa diretta dell’infortunio, visto che avrebbe impedito il ribaltamento della porta, e dunque evitato le lesioni al bambino, anche in presenza di altre concause, come la condotta del genitore, che in effetti era venuto meno al suo dovere di sorveglianza perché aveva consentito al piccolo l’ingresso nel campo, senza affidarlo all’allenatore e prima dell’inizio dell’allenamento, per dedicarsi a una telefonata.

La decisione della Cassazione mette l’accento sull’importanza dell’idoneità degli impianti dove si svolge attività sportiva, e delle connesse attrezzature, attribuendo al rappresentante della società sportiva uno stringente onere di adempimento alla normativa tecnica del settore; un onere da cui discendono responsabilità che non possono essere escluse dalla compresenza di altri fattori di pericolo, in virtù del rango primario che l’integrità fisica degli atleti ha nel nostro ordinamento.

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