Amministrativo

L'influencer che inneggia al jihad sui social network va espulso dal nostro Paese

In linea con i nuovi orientamenti comunitari e internazionali può quindi affermarsi che l'attività di frequente condivisione sui social network di contenuti volti a esaltare le azioni dei combattenti islamici costituisce elemento idoneo dal quale dedursi la "pericolosità" di un divulgatore straniero per la sicurezza e l'ordine del nostro Paese

di Pietro Alessio Palumbo

Dalle cronache nazionali e internazionali può apprendersi che sempre più di frequente i terroristi ricorrono a Internet a fini di comunicazione, propaganda, formazione, reclutamento, nonché di finanziamento dei loro atti terroristici. Spesso utilizzando social network non dedicati specificamente alla comunicazione o allo scambio di idee come Facebook o Instagram, ma piattaforme web meno prevedibili, come quelle dei giochi online utilizzate dai nostri ragazzi. Il tutto con metodologie subdole e malcelate ma al tempo stesso costanti e persuasive, specie per menti più giovani e inesperte.
In linea con i nuovi orientamenti comunitari e internazionali può quindi affermarsi che l'attività di frequente condivisione sui social network di contenuti volti a esaltare le azioni dei combattenti islamici costituisce elemento idoneo dal quale dedursi la "pericolosità" di un divulgatore straniero per la sicurezza e l'ordine del nostro Paese.
Dal che secondo il Consiglio di Stato (sent.5408/2022) e diversamente da quanto nella vicenda sostenuto dall'appellante, la regolare diffusione "virtuale" dei predetti contenuti non denota una mera personale (e pacifica) adesione ai valori della fede islamica in quanto tale confinata alla intangibile sfera spirituale dell'individuo. Al contrario. In tali casi la permanenza dello straniero in Italia può determinare rischi "reali" per la sicurezza nazionale e l'incolumità di cittadini e istituzioni. Per cui, senza se e senza ma, questo "influenzer" straniero va espulso dal nostro Paese.

Nella vicenda, con decreto di allontanamento dal territorio nazionale, il ministero dell'Interno aveva espulso dal nostro Paese uno straniero con l'avvertenza specifica di non potervi fare ritorno prima di dieci anni dall'esecuzione del provvedimento. Risultava che questa persona aveva stretto rapporti relazionali con individui noti per posizioni religiose radicali in favore del "jihad". In particolare l'individuo coinvolto era un assiduo frequentatore del web e dei social network, ove condivideva regolarmente contenuti che evidenziavano in maniera inequivocabile la sua adesione alle posizioni più radicali; anche attraverso l'esaltazione del valore e del coraggio. In primo grado il Tar respingeva il ricorso dell'espulso che quindi si rivolgeva in seconde cure al Consiglio di Stato.

La vigente disciplina prevede l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, e comunque nelle ipotesi in cui la sua permanenza in Italia possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. L'espulsione ha quindi carattere cautelativo e non richiede quindi che sia comprovata una responsabilità penale. Infatti, il presupposto per l'espulsione è costituito solo da fondati motivi per ritenere che la presenza dello straniero possa agevolare in vario modo organizzazioni o attività terroristiche e, comunque, mettere in pericolo, con azioni anche proselitistiche, la sicurezza dello Stato. È dunque solo questo il parametro da adottare per valutare la legittimità del provvedimento di espulsione: se esso sia in grado di prevenire la possibilità di comportamenti atti a mettere in pericolo il nostro Paese e i suoi cittadini.

Il Consiglio di Stato ha evidenziato che non è affatto irragionevole l'inserimento nel tessuto normativo, di una disciplina che limiti la permanenza sul territorio nazionale degli stranieri in relazione alla tutela del preminente interesse alla sicurezza dello Stato; fermo restando, naturalmente, il rispetto del canone della ragionevolezza. A tale riguardo relativamente a quanto previsto dalla Cedu circa il diritto al rispetto della vita privata, è salvo in ogni caso il potere dell'Amministrazione quando adotti una misura che, in una società democratica, sia necessaria per la sicurezza nazionale, la pubblica sicurezza, il benessere del Paese, la difesa dell'ordine, la prevenzione dei reati. In altre parole l'ingerenza della Amministrazione nella vita dello straniero può ritenersi proporzionata quando sia adeguata allo scopo perseguito.

Discende che, nel bilanciamento degli interessi sul tavolo e dei diritti in gioco, la "sopravvivenza dello Stato" e l'incolumità delle persone devono prevalere sulle volontà dell'individuo sospettato di attentarvi. Ciò in quanto i primi costituiscono interessi e diritti fondamentali che attengono all'esistenza stessa e alla conservazione delle istituzioni nonché al diritto dei comuni cittadini alla vita e all'integrità fisica.

Per il giudice amministrativo di Palazzo Spada va infine evidenziato che trattandosi di atto rimesso al ministero dell'Interno che investe la responsabilità del Capo del Governo, il provvedimento di espulsione dello straniero costituisce, senza dubbio, espressione di esercizio di "alta discrezionalità amministrativa" che come tale è sindacabile dal giudice amministrativo nel solo caso di macroscopiche sviste interpretative di fatti, atti o norme di riferimento.

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