Professione e Mercato

Proprietà intellettuale: il ruolo dei consulenti IP nella corsa dell'innovazione delle imprese italiane

Il campione esaminato rappresenta in realtà la fascia altissima della nostra economia (meno del 5% del totale delle imprese) ancora caratterizzata dalla predominanza assoluta della microimpresa ( con meno di 10 dipendenti e sotto i due milioni di fatturato) che rappresenta il 95% delle imprese italiane

di Gabriele Cuonzo

La ricerca sullo stato della proprietà intellettuale (IP) in Italia, condotta dal Centro Studi TopLegal Consulting in collaborazione con Trevisan & Cuonzo, mostra una forte consapevolezza dell'importanza dell'IP nella fascia alta dell'industria italiana. 40 tra le più importanti aziende italiane hanno accettato di rispondere ad un dettagliato questionario sulle modalità in cui la proprietà intellettuale è gestita al loro interno e sulla qualità dei servizi professionali utilizzati nelle varie fasi - dalla ricerca e sviluppo (R&D) al deposito di marchi e brevetti e design fino all'eventuale contenzioso.

Le aziende rispondenti - rappresentanti delle maggiori realtà italiane dei settori luxury & fashion, life sciences, food & beverages, automotive, consumer goods e TMT - hanno dichiarato di aver investito nell'ultimo anno in registrazioni di marchi di impresa (80% del campione), ricerca e sviluppo di know how non brevettato (il 43%) e brevetti di invenzione (il 40%).

I brevetti depositati negli ultimi 10 anni sono in media 58 per ciascuna azienda, 112 i modelli di design e ben 282 i marchi registrati. In calo invece i contenziosi, più presenti comunque in materia di marchi (ciascuna azienda affronta in media 15 contenziosi incentrati sul marchio ogni decade e le più coinvolte sono le aziende del luxury & fashion e del settore automotive) rispetto a quelli brevettuali (addirittura il 45% delle aziende dichiara di non esserne stata coinvolta negli ultimi 10 anni, mentre le aziende coinvolte principalmente sono quelle appartenenti al settore life sciences).

Dall'indagine si evince, inoltre, che il budget stanziato per le attività di acquisizione e gestione di titoli di proprietà intellettuale nell'ultimo anno (escluso il contenzioso) è di oltre i 150.000 euro per un'azienda su due, con una percentuale del 59% dello stesso budget dedicata all'assistenza legale esterna. È però da considerare che più della metà delle aziende rispondenti ha un fatturato che supera i 500 milioni di euro, mentre il 30% fattura dai 100 ai 500 milioni e infine il 18% meno di 100 milioni.

È interessante notare come per il 45% del campione, la boutique specializzata che fornisce anche attività di consulenza, deposito e prosecuzione brevetti e marchi risulta il modello che risponde meglio alle esigenze in materia di proprietà intellettuale. Segue il dipartimento IP di un full service che fornisce anche attività di consulenza (23%), poi la boutique specializzata (18%) e quindi il dipartimento IP di uno studio legale full service (15%). Tra i servizi futuri richiesti emergono: supporto strategico, elaborazione piani per aumentare e proteggere caratteristiche distintive anche in nuovi ambienti digitali e sviluppo dell'intelligenza artificiale in un'ottica di protezione degli asset IP.

Tra i fattori che possono determinare un cambiamento nella selezione del consulente invece spiccano la competenza specifica, le tariffe competitive e la migliore qualità.

Il 95% dei rispondenti dichiara infatti di avere un atteggiamento proattivo di valorizzazione e di tutela preventiva degli asset intangibili della propria azienda, quali patrimonio della società, e di rivolgersi al consulente brevettuale o al legale esterno già per una consulenza strategica (raramente solo in fase patologica, ovvero in caso di contenzioso).Cosa si può comprendere da questi dati statistici? Anzitutto occorre inserirli nel contesto economico italiano. Il campione esaminato rappresenta in realtà la fascia altissima della nostra economia (meno del 5% del totale delle imprese) ancora caratterizzata dalla predominanza assoluta della microimpresa ( con meno di 10 dipendenti e sotto i due milioni di fatturato) che rappresenta il 95% delle imprese italiane.

Dunque il campione della ricerca ci dice che questo 5 % per cento fondamentale e trainante della nostra economia comprende bene l'importanza dell'IP e ciò spiega anche il buon posizionamento di questa elite nella corsa globale all'innovazione. Vi è infatti un rapporto diretto fra livello di investimenti in IP e investimenti in innovazione.

La ricerca ci dice anche, indirettamente, che occorre ridurre il gap gigantesco fra questa elite di imprese che sono in grado di proteggere e valorizzare il loro IP e le microimprese che non hanno capacità e risorse per poterlo fare. Il mito del "piccolo è bello", molto diffuso da noi, in realtà presenta il lato negativo di una sostanziale esclusione della microimpresa dai processi globali di innovazione anche a causa dei costi connessi alla costruzione di portafogli IP.

Quale sia il potenziale delle imprese italiane lo rivela il campione della ricerca. Anzitutto vi è una grande attenzione alla protezione e valorizzazione dei brand attraverso un uso consapevole delle registrazioni dei marchi di impresa e del design. Nei settori ad alta intensità tecnologica (come tipicamente il life sciences) vi è ovviamente una prevalenza degli investimenti in tutela brevettuale e know how.

Il campione di imprese offre una importante chiave interpretativa per quanto riguarda la qualità dei servizi consulenziali nel settore IP che complessivamente percepita come buona e – sul piano delle prestazioni intellettuali - in linea con le aspettative delle aziende. Questo stato di relativa soddisfazione riguarda sia il settore legale che i consulenti in brevetti e marchi. Emerge però, al contempo, una esigenza solo parzialmente soddisfatta.

E' quella di un approccio "business" alla gestione dei portafogli IP. Le aziende esprimono la necessità di avere dai loro consulenti, non solo competenze specialistiche, ma anche e forse soprattutto, un aiuto a costruire dei portafogli IP che siano in linea con le necessità strategiche delle imprese sui mercati rilevanti e con un giusto equilibro tra costi e benefici effettivamente ottenibili. Ad avvocati e consulenti viene gentilmente richiesto di scendere dal piedistallo delle professioni per cercare di sintonizzarsi con i veri bisogni delle aziende. In primo piano una gestione razionale degli assets sul piano dei costi in relazione alle specifiche strategie di innovazione.

Queste considerazioni valgono anche per il contenzioso che deve essere concepito non come evento patologico da subire, ma come parte del processo di innovazione con la necessità di controllare i costi delle cause e di sfruttare le opportunità – quando vi siano - di valorizzazione degli asset in gioco attraverso strategie di litigation che tengano in debito conto gli obiettivi di mercato e le implicazioni finanziarie.

a cura dell'Avv. Gabriele Cuonzo – Managing Partner, Trevisan & Cuonzo

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