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Verso la risarcibilità del danno da inadempimento degli accordi di scelta del foro nel diritto internazionale privato

Una recente sentenza tedesca ammette per la prima volta in Europa la risarcibilità del danno da inadempimento degli accordi di scelta del foro quale autonoma voce di danno, direzionando così il dibattito verso una soluzione innovativa per i sistemi di Civil law, in un'ottica di ampliamento della tutela dell'altra parte contraente

di Federica Sartori*

La dottrina e la giurisprudenza si sono a lungo interrogate in merito alla delicata questione del rimedio azionabile in caso di violazione di un accordo di giurisdizione, proponendo soluzioni diverse a seconda della natura del sistema giuridico di riferimento, ossia che si tratti di sistemi di Common law ovvero di Civil law.

Mentre nei sistemi primi vigono pacificamente due tipologie di strumenti, l'uno di carattere processuale e l'altro di carattere sostanziale, nei sistemi di Civil law è previsto uno strumento di tutela processual-preventiva ed è attualmente oggetto di discussione quello di tutela successiva, ossia il rimedio risarcitorio.

Entrando nel merito della disamina, nei sistemi di Common law è previsto un duplice rimedio. Il primo, di carattere processuale-inibitorio, consiste nella cd. anti-suit injunction, vale a dire l'ingiunzione con cui il giudice inglese può vietare al convenuto nella causa innanzi a sé instaurata di iniziare o proseguire un giudizio avanti a un giudice di uno Stato diverso. L'altro rimedio, pianamente ammesso dal relativo sistema, ha natura risarcitoria e si fonda sulla concezione sostanziale degli accordi di giurisdizione, intesi come veri e propri contratti stipulati tra le parti.

Come noto, l'intrinseca diversità tra i due sistemi non ha consentito la pedissequa trasposizione dei suddetti rimedi negli ordinamenti di Civil law, atteso che il primo è stato precluso dalla nota sentenza Turner della Corte di Giustizia, mentre il secondo è per l'appunto oggetto di dibattito.

Nel caso Turner ( Corte di Giustizia, 27 aprile 2004, causa C-159/02 , Gregory Paul Turner c. Felix Fareed Ismail Grovit, Harada Ltd e Changepoint SA) la Corte di Giustizia sottolinea come le anti-suit injunctions mal si concilino con il principio di fiducia reciproca tra le giurisdizioni degli Stati membri, nonché con il principio di non sindacabilità della competenza del giudice di un altro Stato membro.

Pertanto, la Convenzione di Bruxelles e i successivi Regolamenti eurounitari devono essere interpretati "nel senso che essa osta all'emanazione di un ordine mediante il quale un organo giurisdizionale di un altro Stato contraente vieta a una parte del procedimento dinanzi ad esso pendente di proporre o di proseguire un'azione giudiziaria dinanzi a un organo giurisdizionale di un altro Stato contraente, anche quando tale parte agisce in mala fede allo scopo di ostacolare il procedimento già esistente".

Infatti, il suddetto meccanismo non consente il pieno esplicarsi del principio di effettività della tutela e dell'effetto utile della normativa prevista dal sistema Bruxelles in materia e, pertanto, non può trovare applicazione nell'ambito eurounitario.

Tuttavia, la normativa europea ha previsto, quale effetto equivalente, la sospensione del procedimento sino alla declinazione di competenza da parte del giudice designato ai sensi dell'art. 31 par. 2 Regolamento UE 1215/2012.

L'altro strumento di tutela di carattere risarcitorio è, invece, oggetto di un vivace dibattito. Infatti, l'ammissibilità di una simile tutela successiva è strettamente legata alla questione della qualificazione degli accordi di scelta del foro.

Come già in tal sede evidenziato (si veda sul punto NT+Diritto " Natura giuridica e qualificazione degli accordi di giurisdizione: implicazioni pratiche "), gli accordi di giurisdizione sono stati collocati nelle diverse categorie della natura sostanziale ovvero di quella processuale, sino alla tesi mediana prevalente che li qualifica come accordi sostanziali con effetti processuali.

L'orientamento che sostiene una mera natura sostanziale ritiene pacificamente e coerentemente ammissibile una tutela risarcitoria in quanto la condotta violativa di tali accordi integrerebbe una responsabilità da inadempimento contrattuale con conseguente responsabilità risarcitoria in capo al soggetto che ha adito un giudice diverso da quello designato.

La tesi che, invece, qualifica gli accordi de quibus come di natura processuale ritiene che non siano ammissibili rimedi di natura sostanziale, come il risarcimento del danno, bensì solo rimedi di natura processuale, anche se, per prevenire questioni sul punto, le parti ben avrebbero l'opportunità di inserire all'interno della clausola di proroga un'ulteriore previsione, di natura sostanziale, che disciplini le conseguenze risarcitorie in caso di violazione della stessa.

Atteso che, come noto, ha prevalso la tesi mediana che sostiene la natura sostanziale con effetti processuali di siffatti accordi, con riguardo al profilo delle conseguenze in caso di violazione degli stessi è stata proposta una tesi anch'essa mediana che riconosce a tali accordi una duplicità di effetti. Infatti, è stato sostenuto che oltre all'effetto processuale della designazione del foro avente giurisdizione esclusiva, ben possa riconoscersi al contempo, altresì, un effetto di natura sostanziale, consistente nell'obbligazione di non facere in capo alle parti, ossia di non adire giudici diversi da quello o da quelli designati, in ossequio ai principi di buona fede e pacta sunt servanda.

Da tale ricostruzione, chiaramente ispirata ai principi di Common law, risulta che la violazione di siffatti obblighi contrattuali, derivante dall'instaurazione del giudizio avanti un giudice non designato, comporta il sorgere del diritto al risarcimento del danno.

Tale orientamento è stato avallato per la prima volta da una recente pronuncia del giudice tedesco (Bundesgerichtshof, sez. III, 17 ottobre 2019, n. 42.) che, dopo aver ammesso nei termini ut supra la risarcibilità del danno da violazione degli accordi di giurisdizione, ha affrontato l'ulteriore e consequenziale questione della quantificazione del danno.

Sotto tale profilo, la pronuncia ha tratto spunto dai tipici principi vigenti nei sistemi di Civil law, ossia il principio della soccombenza e quello dell'integralità del risarcimento del danno, giungendo così ad individuare in via astratta il quantum del danno come costituito da una duplicità di voci, ossia da un lato l'importo pari alle spese sostenute dalla parte convenuta per resistere avanti il giudice non designato, e dall'altro lato il risarcimento del danno per violazione del principio pacta sunt servanda riconosciuto in via autonoma.

Secondo autorevole dottrina è auspicabile che le due poste risarcitorie vengano esaminate e quantificate separatamente dal giudice adito in modo che nei sistemi in cui non è ammessa l'una possa aprirsi alla possibilità che sia ammessa l'altra, per quanto la questione della quantificazione del danno per violazione del principio pacta sunt servanda non possa dirsi ancora affatto risolta.

Ad ogni modo, anche alla luce delle problematiche affrontate e rimaste tuttora aperte, la pronuncia del giudice tedesco potrebbe costituire un interessante precedente per la giurisprudenza dell'intero sistema eurounitario in materia.
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*A cura di Federica Sartori, Avvocato

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