Comunitario e Internazionale

Natura giuridica e qualificazione degli accordi di giurisdizione nel diritto internazionale privato, implicazioni pratiche

La questione della qualificazione degli accordi di scelta del foro, lungi dal costituire una dissertazione meramente teorica, si pone in realtà alla base dell'individuazione della disciplina sostanziale applicabile agli stessi a livello nazionale e sovranazionale

di Federica Sartori*

La larga diffusione degli accordi di giurisdizione nel diritto internazionale privato ha sollevato in dottrina e giurisprudenza un vivace dibattito in merito alla qualificazione degli stessi e alla relativa collocazione all'interno delle categorie giuridiche esistenti tra le fonti delle obbligazioni.

Prima facie potrebbe obiettarsi l'inconsistenza pratica di tale questione poiché, come noto, le clausole di scelta del foro possono essere inserite all'interno di un contratto già in via di stipulazione ovvero possono costituire oggetto di un accordo a sé stante, il cd. compromesso o accordo di proroga.

Nel primo caso potrebbe ritenersi che, in quanto inglobate in un rapporto contrattuale, ne costituiscano parte integrante e, pertanto, partecipino pianamente della medesima natura contrattuale dello strumento che le contiene, e, allo stesso modo nel secondo caso, trattandosi pur sempre di accordi, sembrerebbe non sussistano motivi ostativi al riconoscimento di una natura contrattuale degli stessi.

In realtà, la premessa logica da cui occorre più correttamente principiare il ragionamento risiede nella necessità di dover tener conto, per espressa previsione normativa anche sovranazionale, del noto principio della separabilità delle clausole de quibus dal contratto che le contiene sancito all'art. 25 par. 5 Regolamento UE 1215/2012 nonché all'art. 3 lett. d) Convenzione dell'Aja sugli accordi di scelta del foro del 2005.

In particolare, ai sensi della suddetta normativa, la separabilità della clausola de qua si esplica su un duplice fronte: da un lato è sancita l'indipendenza della clausola di scelta del foro dalle altre clausole contrattuali , dall'altro lato è chiaramente previsto che l'invalidità eventualmente viziante il contratto non si trasmette alla clausola in questione che, invece, ben potrebbe ritenersi valida.

In tal modo l'accordo di giurisdizione, quale frequente "contenuto" all'interno di una fattispecie contrattuale, deve essere considerato come indipendente ed autonomo rispetto al "contenente" rappresentato dal contratto e, pertanto, passibile di una altrettanto autonoma qualificazione.

Sulla scorta di tali premesse teoriche, il dibattito si è, quindi, incentrato prevalentemente sull'individuazione degli elementi costitutivi delle clausole di scelta del foro e sulla collocazione delle stesse all'interno di una delle fonti delle obbligazioni di matrice romanistica, ossia fatto, atto e negozio giuridico, con conseguente applicazione della relativa disciplina di diritto anche sostanziale, di carattere nazionale e sovranazionale.

In merito all'individuazione dei tratti caratteristici dei suddetti accordi, con cui, come noto, le parti predeterminano un'autorità giurisdizionale statuale nel caso in cui dovesse insorgere tra loro una controversia, la dottrina è concorde nell'individuare due elementi costitutivi.

In primo luogo, la comune volontà delle parti nell'individuazione di un giudice competente e, in secondo luogo, l'idoneità di tale scelta all'esplicazione ed attuazione di una giurisdizione effettiva in relazione a una determinata controversia avanti a un'autorità giurisdizionale statuale, anche allorché quest'ultima non sarebbe risultata competente secondo la normativa vigente in mancanza di scelta.

Sulla scorta di tale struttura ontologica, sono state avanzate diverse tesi sulla natura giuridica delle clausole de quibus.

Tra gli opposti orientamenti che sostenevano la natura puramente processuale ovvero quella meramente sostanziale, ha prevalso la tesi mediana che ha riconosciuto una "natura ambivalente" agli accordi di giurisdizione, quali negozi sostanziali a effetti processuali.

Tuttavia, giova dare atto anche dell'autorevole dottrina che ha inquadrato tali accordi nella diversa categoria dell' "atto giuridico", anziché del "negozio giuridico", affermando che gli effetti di proroga e/o di deroga della giurisdizione sono solo apparentemente voluti dalle parti, poiché in realtà trattasi di conseguenze predeterminate dal legislatore con la normativa prevista dal relativo ordinamento. Tale orientamento ritiene, quindi, che l'autonomia e la volontà delle parti si esplichi nel mero compimento della scelta del foro, mentre all'effetto dell'attuazione della giurisdizione scelta non possa attribuirsi quella componente volontaristica tipica dell'autonomia privata.

A tale orientamento è stato, tuttavia, obiettato come la normativa sovranazionale e la giurisprudenza eurounitaria abbiano sempre incentrato l'attenzione sulla nozione di "accordo" e sulla volontà delle parti di addivenire al suddetto accordo, riconducendo così le clausole de quibus all'interno della categoria del negozio giuridico.

La questione inerente alla qualificazione delle clausole di scelta del foro rileva ai fini della corretta applicazione della disciplina sostanziale e dei relativi criteri ermeneutici da parte del giudice e, pertanto, ben può applicarsi la disciplina sostanziale di carattere nazionale e sovranazionale prevista per i negozi giuridici e, in particolare, per i contratti, in quanto compatibile ovvero non esclusa.

Tale ultima precisazione è necessaria in virtù della presenza in tali accordi di una forte componente processualistica che non ne consente una piena e piana equiparazione al contratto, poiché l'effetto degli stessi si riverbera direttamente nella sfera giurisdizionale statuale. Di qui l'espressa esclusione degli accordi di scelta del foro dall'ambito di applicazione del Regolamento CE 593/2008 (cd. Roma I), sicché la relativa disciplina, ai fini dell'accertamento della validità sostanziale degli stessi, andrà ricercata all'interno dello Stato membro del giudice prorogato, del quale si applicherà la normativa di diritto materiale e internazionalprivatistica (v. Considerando 20 e art. 25 Regolamento UE 1215/2012).

In tal modo, riconducendo l'intera dissertazione teorica su un piano più pragmatico, ai fini di una corretta stesura delle clausole di scelta del foro nel corpo del contratto, laddove sia stata scelta o risulti applicabile la legge italiana quale legge regolatrice del contratto, può pacificamente ritenersi applicabile la relativa normativa in tema, ad esempio, di clausole vessatorie anche con riferimento alla più specifica tutela del consumatore, allorché sia presente tale parte contrattualmente più debole. In tal caso, occorrerà pertanto redigere la relativa clausola seguendo le prescrizioni sancite dal legislatore, nonché le ulteriori elaborazioni giurisprudenziali in materia.

Infatti, come noto, nel nostro ordinamento laddove una clausola di scelta del foro sia unilateralmente inserita all'interno di un contratto anche standardizzato, questa deve essere specificamente approvata per iscritto ai sensi degli artt. 1341 co. 2 e 1342 co. 2 c.c., atteso che la stessa rientra tra le "deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria" di cui all'ultima voce dell'elencazione tassativa ivi sancita.

La suddetta specifica approvazione per iscritto consiste nel richiamo in calce al contratto, dopo la sottoscrizione dello stesso, dell'elencazione delle clausole vessatorie ivi presenti e nell'apposizione di un'ulteriore specifica sottoscrizione. Il richiamo deve essere specifico, preciso e circostanziato, tale da indurre il sottoscrittore a una maggiore consapevolezza sulle singole clausole che si accinge ad approvare specificamente, sicché si ritiene sia opportuno riportare altresì la rubrica degli articoli in questione, e non solo la mera indicazione numerica degli stessi.

Inoltre, nel caso in cui nel contratto in questione vi sia quale parte contraente un consumatore, vengono in rilievo due disposizioni speciali, ossia le lettere t) e u) di cui all'art. 33, co. 2, D. Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (c.d. "Codice del Consumo"). Ai sensi di tale normativa, "si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di (…) t) sancire a carico del consumatore (…) deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria (…); u) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore".

Come noto, tale disciplina di matrice europea, che include le clausole di scelta del foro nella cd. gray list (poiché è fatta salva la prova contraria di non vessatorietà), è volta a tutelare la parte ritenuta contrattualmente più debole in virtù della cd. asimmetria informativa e dello squilibrio tra diritti e obblighi sussistente naturaliter tra le posizioni contrattuali dei soggetti coinvolti, da un lato il professionista e dall'altro il consumatore.

Tuttavia, allorché tra le parti vi sia stata trattativa individuale, e il professionista riesca ad adempiere a tale onere probatorio, la clausola de qua non sarà più qualificabile come vessatoria e, pertanto, non potranno ritenersi applicabili gli speciali rimedi previsti a tutela del consumatore, in particolare la cd. nullità di protezione della clausola de qua.

In conclusione, la rilevanza pratica della questione della qualificazione degli accordi di scelta del foro emerge ancora una volta sul piano della concreta modalità di redazione delle clausole in esame, dalla quale dipendono una serie di conseguenze anche sotto il profilo della validità sostanziale degli accordi di giurisdizione.

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*A cura di Federica Sartori, Avvocato

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