Penale

Conversione della pena detentiva rideterminabile anche se definitiva

Per il Tribunale di Ravenna è possibile applicare la misura di 75 euro, anziché 250 euro, come deciso dalla Corte costituzionale

di Marco Pauletti

Il giudice dell’esecuzione può applicare retroattivamente la rideterminazione della pena pecuniaria, in sostituzione di quella detentiva, nella misura più favorevole al condannato stabilita dalla Corte costituzionale, anche se la pena è già divenuta definitiva. A fornire questa interessante interpretazione è il Tribunale di Ravenna, ufficio del giudice per le indagini preliminari, con l’ordinanza del 13 dicembre 2022 (giudice Galanti), intervenuto quale giudice dell’esecuzione, dopo la recente pronuncia di incostituzionalità del parametro di conversione della pena.

Il caso

A una persona veniva applicata la pena, a seguito di patteggiamento (articolo 444 Codice di procedura penale) per reati tributari, di sei mesi di reclusione, convertita in base all’articolo 53 della legge 689/1981 in 45mila euro di multa (pari a 250 euro per ogni giorno di detenzione). Tale decisione diveniva definitiva il 7 luglio 2021.

Successivamente la Corte Costituzionale, con la sentenza 28 del 2022, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 53, comma 2, della legge 689/1981 nella parte in cui in sede di conversione della pena detentiva in pecuniaria prevedeva che il valore giornaliero per ogni giorno di pena detentiva non potesse essere inferiore alla somma indicata nell’articolo 135 del Codice penale, ovvero 250 euro, anziché 75 euro al giorno, come previsto in materia di decreto penale di condanna (articolo 459, comma 1-bis, Codice procedura penale).

In conseguenza di questa pronuncia, l’interessato, con incidente di esecuzione, richiedeva al Gip la rideterminazione della pena pecuniaria, atteso che nel suo caso la conversione era avvenuta calcolando l'importo di 250 euro al giorno. Applicando ai sei mesi inflitti la conversione a 75 euro giornalieri si giungeva infatti a euro 13.500 di multa, ben inferiori ai 45mila euro.

In estrema sintesi, era richiesta l’applicazione retroattiva della sentenza della Consulta nonostante la pena fosse divenuta definitiva.

La decisione

Il giudice ha accolto la richiesta richiamando, tra l’altro, una serie di interessanti pronunce della Cassazione.

Innanzitutto la pronuncia a Sezioni Unite 42858/2022, secondo cui, successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell’esecuzione.

E ancora la sentenza 32193/2015, con la quale la Suprema corte ha ritenuto che in forza del principio di favor rei il giudice è tenuto a rideterminare la pena in favore del condannato, nonché a rimuovere tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla norma dichiarata incostituzionale.

L’applicazione retroattiva del principio sopra richiamato si scontra tuttavia contro la “intangibilità del giudicato”, ossia quel principio che garantisce la certezza del diritto rispetto ai rapporti esauriti e definiti, vale a dire tutti quei rapporti non più produttivi di effetti, irreversibili.

Circa la legittimazione della richiesta di rideterminazione, anche a condanna definitiva, è stato evidenziato che essa sussiste non solo se la pena non sia stata ancora interamente espiata, ma anche quando una quota della pena espiata in eccesso rispetto alla sopravvenuta cornice edittale più favorevole possa essere imputata alla condanna per altro reato (Cassazione 27403/2016). Da ciò consegue che, affinché la pena applicata sia conforme a Costituzione, la legittimazione a chiedere la rideterminazione della pena – e la sua conformità alla legge – deve perdurare per tutta la fase esecutiva della condanna, ritenendosi questa “costantemente sub judice” (Sezioni Unite 18821/2013). Attraverso questo richiamo, la richiesta risulta lecita e opportuna.

Il giudice, sulla scorta dei principi richiamati e in particolare del favor rei – anche nella fase esecutiva – e del doveroso controllo di legalità della pena, ha così applicato retroattivamente la sentenza della Corte costituzionale 28/2022, dando valore all’accordo formatosi fra le parti ma convertendo la pena detentiva finale – pari a sei mesi di reclusione – in quella pecuniaria finale come indicata dai difensori in 13.500 euro.

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