Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 19 e il 22 aprile 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d’Appello trattano i temi del contratto di appalto (con una s entenza in ordine alla responsabilità dell’appaltatore e con un’altra pronuncia sulla validità o meno di detto contratto quando abbia ad oggetto la costruzione di un immobile abusivo), dell’assegno divorzile, dei danni conseguenti ad un trattamento trasfusionale. Da parte loro i Tribunali si pronunciano quanto al contratto di fideiussione (avuto riguardo alla distinzione con il contratto autonomo di garanzia), al danno non patrimoniale, all’azione negatoria, al contratto di mutuo (quanto alla possibilità che l’ammortamento alla francese generi anatocismo) e, infine , all’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno.

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APPALTI

Contratto di appalto - Rovina e difetto di cosa immobile - Denuncia dei vizi. (Cc, articoli 1669 e 2043)
La Corte d’Appello di Milano tratta il tema dell’operatività della norma di cui all’art. 1669 c.c. sottolineando così, in punto di diritto, come in materia di appalto, poiché la denuncia dei gravi difetti o del pericolo di rovina dell'opera costituisce, ai sensi della richiamata norma codicistica, una condizione dell'azione di responsabilità esercitabile nei confronti dell'appaltatore o del costruttore-venditore, quando il convenuto eccepisca la decadenza dall'azione per intempestività della denuncia, costituisca preciso onere dell'attore fornire la prova di avere operato la denuncia entro l'anno dalla scoperta. In tale contesto, se – da un lato - la consulenza tecnica, quale mezzo di acquisizione di elementi di cognizione utili ai fini del decidere, può essere disposta dal Giudice anche di ufficio, senza incontrare limite alcuno al regime delle preclusioni, e se pure si ammette la c.d. “consulenza percipiente” (per apprendere fatti la cui conoscenza può essere acquisita solo da chi possiede una determinata preparazione tecnica), non può tuttavia – dall’altro lato - prescindersi da specifiche allegazioni e principi di prova forniti dalla parte interessata. Il tutto fermo restando che, quando i lamentati difetti dell’opera appaltata siano tali (per evidenza e gravità) da essere immediatamente percepibili nella loro portata, non si rendono di conseguenza necessari accertamenti tecnici particolari. Ed ancora, osserva la Corte che, a differenza di quanto vale per il regime di responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c., norma speciale rispetto a quella generale sulla responsabilità per fatto illecito, nell'ipotesi di esperimento dell'azione ex art. 2043 c.c. non opera il regime probatorio speciale di presunzione della responsabilità del costruttore, in quanto in tale caso, spetta a colui che agisce provare tutti gli elementi richiesti dalla norma generale, e, in particolare, anche la colpa del costruttore.
Corte di Appello di Milano, sezione IV, 19 aprile 2022, n. 1294

APPALTI

Contratto di appalto - Immobili abusivi - Nullità. (Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articoli 7, 12; Cc, articoli 1346, 1418, 1423)
La Corte d’Appello di Cagliari è chiamata pronunciarsi su un tema di particolare rilievo ovvero quello della validità, o meno, di contratto di appalto concluso per la costruzione di un immobile privo di titolo edilizio. Si afferma la nullità di tale contratto  (artt. 1346 e 1418 c.c.) in quanto avente oggetto illecito per violazione di norme imperative (in materia urbanistica) con la conseguenza che tale nullità, una volta verificatasi, impedisce sin dall'origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell'art. 1423 c.c.. Con la precisazione secondo cui, se il contratto di appalto ha ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti in difformità rispetto al titolo edilizio, occorre distinguere a seconda che tale difformità sia totale o parziale: nel primo caso (art. 7 L. n. 47/1985) - che si verifica quando è stato realizzato un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie - l'opera è da equiparare a quella costruita in assenza di titolo, con la conseguenza che il relativo contratto di appalto è nullo per illiceità dell'oggetto e violazione delle norme imperative in materia urbanistica; detta nullità, invece, non sussiste nel secondo caso (art. 12 L. n. 47/1985), che si verifica quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto. Precisamente, il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera; mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali quando i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione
C orte di Appello di Cagliari, 20 aprile 2022, n. 189

SEPARAZIONE E DIVORZIO 

Assegno divorzile - Determinazione - Corresponsione. (Legge 1° dicembre 1970, n. 898, articolo 5)
La questione affrontata in sentenza dall’adita Corte d’Appello di Catanzaro si incentra sulla determinazione dell’assegno divorzile  (art. 5, VI, L. n. 898/1970). Quest’ultimo ha funzione assistenziale, compensativa e perequativa, dovendo così essere determinato alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto. Ciò discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare. Si evidenzia ancora in sentenza che il parametro dell’adeguatezza dei mezzi o della possibilità di procurarseli per ragioni oggettive deve essere riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente, sia all’esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate, per aver dato, su accordo delle parti, un decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge. Occorre, inoltre, considerare l’evolversi ed il concreto atteggiarsi della situazione economica delle parti, ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, anche nelle more del giudizio. Il Giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve dunque accertare l'impossibilità dell'ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi. L’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali - che il coniuge richiedente l' assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio - al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale, profilo assistenziale.
Corte di Appello di Catanzaro, sezione I, 20 aprile 2022, n. 425

RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO

Trattamento trasfusionale - Danni - Indennizzo - Riconoscimento. (Dlgs 19 agosto 2005, n. 191; legge 25 febbraio 1992, n. 210, articolo 1; Direttiva Ue 27 gennaio 2003, 2002/98)

La Corte d’Appello di Bari, nell’affrontare il tema dei danni cagionati da un trattamento trasfusionale, osserva, in punto di diritto,  come il rischio per il quale l’art. 1, III, L. n. 210/1992, prevede l'indennizzo comprenda anche l'ipotesi in cui il contagio sia derivato dalla contaminazione del sangue proprio del contagiato durante un'operazione di emodialisi, a causa di una insufficiente pulizia della macchina per emodialisi dalle sostanze ematiche lasciate da altro paziente, con la conseguenza che al contagiato compete l'indennizzo di cui alla prefata norma. L'impianto generale della normativa  del 1992 dev'essere quindi letto alla luce dei principi costituzionali in modo da assegnare alle fattispecie astratte il massimo significato possibile. Non  solo. Precisa ancora l’adita Corte come, sulla materia degli obblighi di stretta sorveglianza dello Stato derivanti dall'esercizio dell'attività di trasfusione e somministrazione di emoderivati incide anche il diritto sovranazionale e, in particolare, la direttiva 2002/98 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 gennaio 2003, che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti. Tale direttiva è stata recepita nell'ordinamento italiano per effetto del D.Lgs. n. 191/2005 (s.m.i.) ed anche in virtù di tale esplicita previsione, argomenta ancora il collegio giudicante, la fattispecie oggetto del suo esame non può che ritenersi compresa nell'ambito di protezione tracciato dalla L. n. 210/1992. L'intento di tale legge, d’altronde,  è quello di apprestare una tutela indennitaria, a prescindere dall'accertamento della colpa, per i danni alla salute insorti a seguito di trattamenti di vaccinazione obbligatoria o di trasfusioni. L’adita Corte giunge così ad affermare, quanto alla fattispecie oggetto del suo giudizio, caratterizzata come detto dal fatto che l'attività sanitaria di trasfusione sanguigna era autologa e non eterologa, che la stessa  non è esclusa dalla lettera della legge ma solo da una interpretazione restrittiva del testo che, seppure possibile, non può essere seguita, in quanto vistosamente non conforme al fondamento costituzionale della L. n. 210/1992, che appresta la risposta della Carta Costituzionale alla lesione del diritto alla salute subita dai soggetti affidati comunque al servizio sanitario preposto al trattamento del sangue, in adempimento degli obblighi di solidarietà sociale; inoltre, si sottolinea ancora in sentenza, l'interpretazione restrittiva risulta contraddetta dalle fonti euro unitarie che concorrono a costruire il quadro normativo di riferimento.
Corte di Appello di Bari, sezione lavoro, 21 aprile 2022, n. 807

FIDEIUSSIONE

Contratto di fideiussione - Contratto autonomo di garanzia - Differenze.   (Cc, articoli 1341 e 1957)
L’adito Tribunale di Genova osserva come l'inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni" sia idonea, generalmente, a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un'evidente discrasia rispetto all'intero contenuto della convenzione negoziale, sicchè, ai fini dell'interpretazione della volontà delle parti, pur in presenza della clausola predetta, il Giudice è sempre tenuto a valutarla alla luce della lettura dell'intero contratto. Il contratto autonomo di garanzia (in base al quale una parte si obbliga, a titolo di garanzia, ad eseguire a prima richiesta la prestazione del debitore indipendentemente dall'esistenza, dalla validità ed efficacia del rapporto di base, e senza sollevare eccezioni salvo l'exceptio doli), per la sua indipendenza dall'obbligazione principale, si distingue dalla fideiussione, giacché mentre il fideiussore è debitore allo stesso modo del debitore principale e si obbliga direttamente ad adempiere, il garante si obbliga piuttosto a tenere indenne il beneficiario dal nocumento per la mancata prestazione del debitore, spesso con una prestazione solo equivalente e non necessariamente corrispondente a quella dovuta. Infine, la decadenza del creditore dall'obbligazione fideiussoria ai sensi dell'art. 1957 c.c., per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, può formare oggetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore, trattandosi di pattuizione affidata alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l'assunzione, da parte del fideiussore, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore. La clausola relativa a detta rinuncia non rientra, inoltre, tra quelle particolarmente onerose per le quali l'art. 1341, II, esige, nel caso che siano predisposte da uno dei contraenti, la specifica approvazione per iscritto dell'altro contraente.
Tribunale di Genova, sezione VI, 19 aprile 2022, n. 974

RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO

Danno non patrimoniale - Servizi di fornitura idrica - Danno esistenziale -Risarcimento - Casi previsti dalla legge. (Costituzione, articolo 2; Cc, articolo 2059)
Il Tribunale di Potenza è chiamato a pronunciarsi in tema di responsabilità per i danni causati agli utenti dalla prolungata interruzione della fornitura idrica. Precisa così come non esistano sottocategorie del danno non patrimoniale (danno esistenziale, danno alla vita di relazione, danno da vacanza rovinata, danno parentale) ma vi sia un unico danno ex art. 2059 c.c. risarcibile ove ricorrano determinate condizioni: la previsione di legge o la natura di diritto inviolabile della persona della posizione giuridica lesa. Non può essere quindi risarcito in sé il cd. danno esistenziale perché occorre rifuggire da sottocategorie di danni il cui rischio evidente è quello di determinare la proliferazione delle fattispecie risarcitorie e l’ingiustificata locupletazione in conseguenza di fatti non generatori di pregiudizi ma solo di tollerabili fastidi. Osserva sul punto il Tribunale come la nuova, e attuale, ricostruzione dogmatica giunge ad affermare che ai sensi dell’art. 2059 c.c. i “casi previsti dalla legge” comprendono anche le lesioni dei valori della persona costituzionalmente garantiti, dovendosi far riferimento, ai fini della individuazione dei danni risarcibili, all’art. 2 Cost. che individua gli interessi di rango inviolabile che debbono intendersi tutelati e dalla cui lesione conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica. Il danno non patrimoniale include in sé, quindi, tanto il danno biologico quanto il danno morale, quanto, ancora, il danno esistenziale. La natura risarcitorio/riparatoria del danno esistenziale postula che, dello stesso, venga fornita la prova dall'istante, con riferimento, non soltanto al fatto costituivo dell'illecito, ma anche alle relative conseguenze relativamente cioè al modo in cui la vicenda abbia inciso negativamente nella sfera di vita del soggetto; in mancanza di siffatta allegazione e prova, non può configurarsi un danno esistenziale autonomamente risarcibile. Il danno non patrimoniale, anche nell’ipotesi di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa, ma deve essere debitamente allegato, e provato, da chi lo invoca, anche ricorrendo a presunzioni semplici. Ne consegue che il danneggiato che chieda il risarcimento di tale forma di danno è tenuto a provare di avere subito un effettivo pregiudizio in termini di disagi sofferti in dipendenza dell’altrui inadempimento/fatto illecito, potendosi sì avvalere, a tal fine, di presunzioni gravi, precise e concordanti, ma sulla base di elementi indiziari diversi dal fatto illecito in sé considerato.
Tribunale di Potenza, 19 aprile 2022, n. 486

AZIONE NEGATORIA

Requisiti - Finalità.   (Cc, articolo 949)
Nella sentenza qui in esame il Tribunale di Brescia si sofferma in tema di azione negatoria che è disciplinata dall'art. 949 c.c. per consentire al proprietario di agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando abbia motivo di temerne pregiudizio e, se sussistono anche turbative o molestie, di chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre alla condanna al risarcimento del danno. Osserva l’adito Giudice come, poiché la titolarità del bene si pone quale requisito di legittimazione attiva, e non come oggetto della controversia, la parte che agisce in giudizio non ha l’onere di fornire la prova rigorosa della proprietà, come accade nell’azione di rivendica, essendo sufficiente la dimostrazione con ogni mezzo, anche in via presuntiva, del possesso del bene (nella specie, un fondo) in forza di un titolo valido, mentre incombe sul convenuto l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere l’attività lamentata come lesiva dall’attore. L'actio negatoria, posta a difesa della proprietà, mira dunque a far accertare l'inesistenza di diritti reali affermati da terzi sulla cosa e a far cessare eventuali molestie o turbative che manifestino l'esercizio di tali diritti. Il proprietario che agisca ai sensi dell'art. 949, II, c.c., deve provare, pertanto, oltre al diritto di proprietà sul fondo insidiato dalle altrui ingerenze, anche l'esistenza delle molestie in cui l'esercizio del diritto da parte del terzo si esplica. Quanto, in particolare, alle molestie, esse possono essere di fatto ma anche semplicemente di diritto. Si consideri infine che, chi si limiti a dedurre un'incertezza, anche soggettiva, del confine apparente e chieda di determinare il confine effettivo, con gli eventuali provvedimenti consequenziali, esercita un'actio finium regundorum; chi invece deduce la certezza del confine, si propone quale proprietario del fondo e chiede di riconoscerne la libertà contro le pretese di terzi, libertà pregiudicata dallo sconfinamento di un'opera dall'esecuzione di una costruzione sul fondo limitrofo a distanza inferiore a quella prescritta, computata dal confine affermato in domanda, esercita un'actio negatoria servitutis.
Tribunale di Brescia, sezione III, 20 aprile 2022, n. 1017

MUTUI

Contratto di mutuo - Ammortamento alla francese - Anatocismo - Insussistenza. (Cc, articoli 1193, 1283)
Il Tribunale di Firenze in questa sentenza si pronuncia (tra l’altro) sulla (presunta ed eccepita) indeterminatezza delle condizioni di un contratto di mutuo ed ha così modo di osservare come non risulti concettualmente configurabile il fenomeno anatocistico con riferimento al sistema di ammortamento c.d. alla francese. Ciò in quanto difetta – in sede genetica del negozio – il presupposto stesso dell’anatocismo, vale a dire la presenza di un interesse giuridicamente definibile come “scaduto” sul quale operare il calcolo dell’interesse composto ex art. 1283 c.c.. In materia di mutui, invero, il metodo di ammortamento alla francese comporta che gli interessi vengano calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata. E cioè a dire, nel sistema progressivo ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento di tutti (e unicamente de)gli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce. Tale importo viene quindi integralmente pagato con la rata, laddove la residua quota di essa va già ad estinguere il capitale. Ciò non comporta capitalizzazione degli interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti, e unicamente per il periodo successivo al pagamento della rata immediatamente precedente. Il mutuatario, con il pagamento di ogni singola rata, azzera gli interessi maturati a suo carico fino a quel momento, coerentemente con il dettato dell’art. 1193 c.c., quindi inizia ad abbattere il capitale dovuto in misura pari alla differenza tra interessi maturati e importo della rata da lui stesso pattuito nel contratto.
Tribunale di Firenze, 20 aprile 2022, n. 1149

INDEBITO OGGETTIVO

Indebito oggettivo - Ripetizione - Onere della prova. (Cc, articoli 1147, 2721)

Il Tribunale di Palermo osserva come, nella ripetizione di indebito, operi il normale principio dell'onere della prova a carico dell'attore il quale, di conseguenza, è tenuto a dimostrare sia l'avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi; ciò solo con riferimento ai rapporti specifici tra essi intercorsi e dedotti in giudizio, costituendo una prova diabolica esigere dall'attore la dimostrazione dell'inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra solvens e accipiens. In materia di indebito oggettivo, poi, la buona fede dell'accipiens, rilevante ai fini della decorrenza degli interessi dal giorno della domanda, deve essere intesa in senso soggettivo, quale ignoranza dell'effettiva situazione giuridica, derivante da un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, non trovando applicazione l’art. 1147, II, c.c., relativo alla buona fede nel possesso, sicché, essendo essa presunta per principio generale, grava sul solvens, che intenda conseguire gli interessi dal giorno del pagamento, l'onere di dimostrare la malafede dell'accipiens all'atto della ricezione della somma non dovuta, quale consapevolezza della insussistenza di un suo diritto a conseguirla. Infine, si consideri che colui che agisce per la ripetizione di un indebito allega la dazione senza causa della somma di denaro non come adempimento di un negozio giuridico ma come spostamento patrimoniale privo di causa e può, conseguentemente, assolvere l'onere della prova di questo fatto al di fuori dei limiti probatori previsti per i contratti, atteso che detti limiti sono applicabili solo al pagamento dedotto come manifestazione di volontà contrattuale e non a quello prospettato come fatto materiale estraneo alla esecuzione di uno specifico rapporto giuridico; ne consegue che la prova dell'indebito può essere fornita anche per testimoni, indipendentemente dai limiti di cui all'art. 2721 c.c..
Tribunale di  Palermo, sezione II, 21 aprile 2022, n. 1712

STATUS CAPACITÀ

Capacità della persona fisica - Amministrazione di sostegno - Ambito di applicazione. (Legge 9 gennaio 2004, n. 6, articolo 1; Cc, articolo 414)
Il Tribunale di Torino sottolinea come l'ambito di applicazione degli istituti dell'interdizione e dell’amministrazione di sostegno deve essere individuato avendo riguardo non già al diverso grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, in ipotesi più intenso per l'interdizione, ma alla maggiore idoneità dell'amministrazione di sostegno ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Invero, la L. n. 6/2004, con il dichiarato scopo di «tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana» (art. 1), non solo ha introdotto nel nostro ordinamento il nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno, ma ha anche significativamente rimodulato i presupposti per far luogo all’interdizione e all’inabilitazione degli infermi di mente. Si è così attuata la modifica dei tradizionali istituti della interdizione e della inabilitazione, in un’ottica meno custodialistica e maggiormente orientata al rispetto della dignità umana ed alla cura complessiva della persona e della sua personalità, e non già del solo suo patrimonio. A seguito della riformulazione dell’art. 414 c.c., come operata dal Legislatore del 2004, in presenza degli stessi presupposti l’interdizione va dichiarata solo quando «ciò è necessario per assicurare» all’infermo «adeguata protezione». La funzione del nuovo istituto dell'amministrazione di sostegno e le innovazioni apportate dalla L. n. 6/2004, agli istituti codicistici in materia di incapacità personale, pongono al centro dell'attenzione non più esclusivamente la cura del patrimonio, ma piuttosto la persona e le sue esigenze, apprestando uno strumento di estrema semplicità procedurale ed elasticità di contenuti, modellato secondo la necessità e le circostanze, e tale da non incidere radicalmente e permanentemente sulla capacità di agire del beneficiario. Nel nuovo sistema, l’orizzonte valutativo da tenere presente si allarga per inquadrare l’effettivo bisogno di protezione del soggetto interessato, la cui natura ed entità finiscono con l’assumere rilievo decisivo ai fini della valutazione che il giudice deve operare nella scelta e nella graduazione dello strumento protettivo da adottare a tutela dell’incapace.
Tribunale di Torino, sezione VII, 21 aprile 2022, n. 1760

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