Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 5 e il 9 settembre 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello si pronunciano in tema di assicurazione sulla vita (e pretesa creditoria degli eredi), di collegamento negoziale, di contratto di ormeggio, di personalizzazione del danno non patrimoniale e, infine, di recesso ad nutum nei contratti.
I Tribunali, da parte loro, si soffermano in materia di usucapione nella comunione, di investimento di un pedone, di danni subiti nel corso di una lezione di sci, di tabelle millesimali nel condominio e, infine, di diritto al compenso del professionista.


ASSICURAZIONE
Contratto di assicurazione sulla vita – Eredi beneficiari - Quota
(Cc, articolo 1920)
Il principio di diritto di cui fa applicazione la Corte d'Appello di Catania nella sentenza in esame è quello secondo cui la designazione generica degli «eredi» come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, in una delle forme previste dal secondo comma dell'articolo 1920 c.c., comporta l'acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione da parte di coloro che, al momento della morte del contraente, rivestano tale qualità in forza del titolo dell'astratta delazione indicata all'assicuratore per individuare i creditori della prestazione.
La designazione generica degli eredi come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, in difetto di una inequivoca volontà del contraente in senso inverso, non comporta la ripartizione dell'indennizzo tra gli aventi diritto secondo le proporzioni della successione ereditaria, spettando a ciascuno dei creditori, in forza della eadem causa obligandi, una quota uguale dell'indennizzo assicurativo.
E precisamente poiché il terzo appartenente alla generica categoria degli eredi individuati ai sensi dell'articolo 1920 c.c. acquista il diritto all'indennità assicurativa iure proprio e non iure successionis la natura inter vivos del credito attribuito per contratto agli eredi designati quali beneficiari dei vantaggi dell'assicurazione esclude l'operatività riguardo ad esso delle regole sulla comunione ereditaria, valevoli per i crediti del de cuius, come anche l'automatica ripartizione dell'indennizzo tra i coeredi in ragione delle rispettive quote di spettanza dei beni caduti in successione.
In considerazione della fonte di siffatto acquisto – costituita dal contratto assicurativo e non dalla delazione ereditaria– il diritto entra a far parte del patrimonio del terzo beneficiario e non di quello del de cuius: pertanto il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione.
Gli eredi devono così qualificarsi come creditori della prestazione assicurativa gravante in capo all'assicuratore, in forza del contratto. Infatti, nella polizza di assicurazione sulla vita a favore di terzo la legge non riscontra un trasferimento immediato dal contraente al beneficiario, in quanto la prestazione promana dal patrimonio dell'assicuratore e non dall'asse ereditario dell'assicurato.
Corte di Appello di Catania, sezione II, sentenza 6 settembre 2022 n. 1711

CONTRATTI
Collegamento negoziale – Natura giuridica – Finalità
(Cc, articolo 1460)
Il collegamento negoziale – secondo quanto afferma la Corte d'Appello di Napoli nel suo intervento qui in esame - non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, trattandosi di un meccanismo, attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, realizzato non per mezzo di un singolo negozio, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma, ancorchè ciascuno sia finalizzato ad un'unica regolamentazione dei reciproci interessi, sicchè il vincolo di reciproca dipendenza, non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa, e conservi una distinta individualità giuridica.
Non solo. Dal collegamento funzionale deriva che le vicende di un contratto si ripercuotono sugli altri, condizionandone la validità e l'efficacia.
Sempre nel caso di negozi collegati, il collegamento deve ritenersi meramente occasionale quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, siano solo casualmente riunite, mantenendo l'individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro unione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano; il collegamento è, invece, funzionale quando i diversi e distinti negozi, cui le parti diano vita nell'esercizio della loro autonomia negoziale, pur conservando l'individualità propria di ciascun tipo, vengono tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, per cui le vicende dell'uno debbano ripercuotersi sull'altro, condizionandone la validità e l'efficacia.
Ai fini della qualificazione giuridica della situazione negoziale, per accertare l'esistenza, l'entità, la natura le modalità e le conseguenze di un collegamento funzionale tra negozi realizzato dalle parti occorre un accertamento del Giudice di merito che passi attraverso l'interpretazione della volontà contrattuale e che, se condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità.
Inoltre il principio di autotutela sancito dall'articolo 1460 c.c. (in forza del quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascun contraente può rifiutare la propria prestazione in costanza di inadempimento della controparte) deve ritenersi legittimamente applicabile anche nell'ipotesi di inadempimento di un diverso negozio, purché collegato con il primo da un nesso di interdipendenza - fatto palese dalla comune volontà delle parti - che renda sostanzialmente unico il rapporto obbligatorio.
Corte di Appello di Napoli, sezione IX, sentenza 7 settembre 2022, n. 3703

CONTRATTI
Contratto di ormeggio – Contenuto – Obblighi per le parti

Secondo la Corte d'Appello di Ancona il contratto atipico di ormeggio è caratterizzato da una struttura minima essenziale, consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo.
Il contenuto del contratto può, peraltro, del tutto legittimamente estendersi anche ad altre prestazioni (sinallagmaticamente collegate al corrispettivo), quali la custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute, restando a carico di chi fonda un determinato diritto (o la responsabilità dell'altro contraente sulla struttura del contratto) fornire la prova dell'oggetto e del contenuto, il cui accertamento si esaurisce in un giudizio di merito che, adeguatamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità.
Consegue da ciò che, in assenza di prova, il dato puro e semplice di aver attraccato la propria imbarcazione in un porto turistico non determina automaticamente l'insorgenza, in capo al gestore della struttura, degli obblighi previsti dal contratto di deposito.
Sottolinea così la Corte come le parti intenzionate a concludere un contratto di ormeggio non ricorrono quasi mai alla sua redazione in forma scritta e, pertanto, l'eventuale esistenza di un obbligo di custodia deve essere desunta da alcune circostanze concrete, quali in modo esemplificativo ma non esaustivo l'esistenza di un servizio fisso di guardiania e/o di videosorveglianza all'interno del porto turistico, così come la presenza in loco di personale della struttura a cui viene affidata l'imbarcazione all'atto dell'ormeggio.
L'estensione degli obblighi dell'ormeggiatore può essere, altresì, utilmente parametrata al particolare grado di complessità ed organizzazione dell'approdo, sicché l'insussistenza di un'obbligazione di custodia può essere desunta dall'elementare organizzazione delle strutture portuali, in quanto adibite soltanto al ricovero di poche e piccole imbarcazioni.
In ogni caso, anche qualora il contratto di ormeggio abbia il contenuto minimale di un contratto per l'utilizzazione del posto barca con esclusione di ogni obbligo di custodia, la responsabilità del gestore sussiste egualmente quando il danneggiamento dell'imbarcazione sia dipeso dalla inidoneità delle strutture portuali a svolgere la funzione di riparo da venti e burrasche, ovvero quando, a causa di un vizio di realizzazione o di manutenzione dell'opera portuale, quest'ultima abbia ceduto sotto la forza del mare o del vento.
Corte di Appello di Ancona, sezione I, sentenza 8 settembre 2022 n. 1122

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Danno non patrimoniale - Liquidazione – Personalizzazione
(Cc, articolo 2059)
La Corte d'Appello di Campobasso, nella sentenza in esame, adita in tema di sinistri stradali, si sofferma, tra l'altro, sulla personalizzazione del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.). Osserva così che, nella liquidazione del danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento quantificabile in base al criterio equitativo uniforme (del sistema del cd. punto variabile recepito nelle tabelle del Tribunale di Milano) copre tutte le conseguenze dannose normali e indefettibili secondo l'id quod plurumque accidit, vale a dire quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire, ivi compreso il cosiddetto danno da sofferenza soggettiva interiore o danno morale temporaneo. Tali conseguenze ordinarie costituiscono una conseguenza normale del danno e non giustificano, quindi, alcun aumento del risarcimento di base previsto per il danno non patrimoniale, non rilevando in senso contrario la circostanza che le conseguenze della menomazione incidano sulla vita quotidiana e sugli aspetti dinamico-relazionali della persona, in quanto tali conseguenze sono generali e inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione.
Esclusivamente le conseguenze della menomazione che non sono generali e inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico, con la precisazione che ciò che rileva, ai fini della personalizzazione del risarcimento, non è quale aspetto della vita della vittima sia stato compromesso, ma il fatto che quella conseguenza sia straordinaria e non ordinaria perché solo in tal caso essa non sarà ricompresa nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità permanente, consentendo al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione.
Corte d'Appello di Campobasso, sentenza 8 settembre 2022 n. 222

CONTRATTI
Contratto - Scioglimento – Recesso - Limiti
(Cost., articolo 2; Cc, articoli 1372, 1373, 1375)
Sottolinea in sentenza la Corte d'Appello di Firenze come l'articolo 1373 c.c., lungi dallo stabilire che nei contratti ad esecuzione continua o periodica il recesso sia una facoltà spettante ex lege al contraente, a ben vedere, in base al suo primo comma ed al richiamo alle forme di scioglimento previste dall'articolo 1372 c.c., si riferisce alle ipotesi di recesso convenzionalmente previsto.
Pertanto, in mancanza di una pattuizione che attribuisca ad una delle parti la facoltà di recedere dal contratto, quest'ultimo, ai sensi dell'articolo 1372, I, c.c., non potrà che essere sciolto "per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge".
Difatti, la recedibilità ad nutum è prevista solo nel caso di rapporti di durata a tempo indeterminato, in quanto espressione di un principio generale del nostro ordinamento, consistente nell'esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio e di conformare l'esecuzione del contratto alla clausola di buona fede (articolo 1375 c.c.), che costituisce specificazione del dovere costituzionale di solidarietà ex articolo 2 Cost..
Quindi, al di fuori dei rapporti a tempo indeterminato, deve ritenersi insussistente il diritto, per le parti, di recedere ad nutum dal contratto.
Nel caso all'esame della Corte adita, essendosi in presenza di un contratto ad esecuzione continuata ed a tempo determinato, si è così ritenuta esclusa la possibilità di un recesso ad nutum in quanto non contrattualmente prevista.
Con la precisazione che l'indagine sulla sussistenza e sulla portata della clausola che attribuisca ad uno dei contraenti un diritto di recesso unilaterale è soggetta agli ordinari criteri di ermeneutica negoziale, e pertanto ai limiti che le parti contraenti, nell'ambito della autonomia contrattuale, hanno posto, senza che possano invocarsi i diversi principi attinenti al recesso riconosciuto della legge, quale quello dell'eccezionalità della relativa previsione e della sua conseguente non estensibilità ad ipotesi non espressamente contemplate; ciò in quanto l'articolo 1373 c.c. – come detto - non stabilisce affatto che nei contratti ad esecuzione continuata o periodica il recesso sia una facoltà spettante "ex lege" al contraente.
Corte di Appello di Firenze, sezione III, sentenza 8 settembre 2022 n. 1944

COMUNIONE
Comunione - Comproprietario – Usucapione
(Cc, articolo 1144)
Fa suo il Tribunale di Palermo il principio di diritto secondo cui, in tema di comunione, il possesso utile ai fini dell'usucapione deve estrinsecarsi con modalità particolarmente qualificate, tali cioè da escludere la possibilità di godimento del bene da parte degli altri comproprietari, così rendendo manifesta e inequivoca la volontà di possedere «uti dominus» e non più «uti condominus».
Più precisamente, il comproprietario che sia nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso e, se già possiede «animo proprio» ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, a tal fine occorrendo che goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa comune.
Al fine di stabilire, poi, se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice detenzione dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come tale inidonea, ai sensi dell'articolo 1144 c.c., a fondare la domanda di usucapione, la circostanza che l'attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, cui normalmente può attribuirsi il valore di elemento presuntivo per escludere che vi sia stata tolleranza, è destinata a perdere tale efficacia nel caso in cui i rapporti tra le parti siano caratterizzati da vincoli particolari, quali quelli di parentela o di società, in forza di un apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito.
Il giudizio sulla pienezza ed esclusività del potere esercitato in misura tale da rendere il possesso univoco ed idoneo al compimento della prescrizione acquisitiva è rimesso al Giudice di merito, il cui accertamento è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.
L'animus possidendi può eventualmente essere desunto in via presuntiva qualora lo svolgimento di attività corrispondente all'esercizio del diritto dominicale sia già di per sé indicativa dell'intento, in colui che la compie, di avere la cosa come propria.
In tal caso, sarà il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale
Tribunale di Palermo, sezione II, sentenza 5 settembre 2022 n. 3474

CIRCOLAZIONE STRADALE
Circolazione stradale - Pedone - Investimento – Responsabilità
(Cc, articolo 2054)
Secondo il Tribunale di Firenze, in ipotesi d'investimento di un pedone, la prova liberatoria del conducente del veicolo investitore consiste nella dimostrazione di aver posto in essere un comportamento idoneo ad escludere il nesso di causalità con il fatto lesivo a causa dell'imprevedibilità ed inevitabilità dell'investimento.
L'improvviso attraversamento – da parte del pedone – al di fuori delle strisce pedonali è condotta insufficiente ad escludere la responsabilità del conducente del veicolo investitore perché questi a seguito dell'avvistamento del pedone, sarebbe stato tenuto ad adeguare la propria condotta di guida alla concreta situazione di pericolo.
Ne consegue che in caso di ipotesi d'investimento del pedone, affinché possa essere completamente elisa la responsabilità del conducente del veicolo investitore (in quanto l'articolo 2054 c.c. pone a carico del conducente del veicolo che investe un pedone una presunzione iuris tantum di responsabilità) è necessario che lo stesso si sia trovato – per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza – nell'oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso.
Altro postulato affermato in sentenza è l'ulteriore dovere – gravante in capo al conducente medesimo – di sorvegliare la strada nonché di quello di moderare la velocità ed eventualmente fermarsi non solo quando i pedoni tardino a scansarsi ma anche allorché facciano fondatamente prevedere di essere in procinto di effettuare un attraversamento della strada inconsulto e pericoloso.
Il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale esperienza) nel principio generale che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello di ispezionare la strada ove si procede e che si sta per impegnare; quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello infine di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada.
Tribunale di Firenze, sezione II, sentenza 7 settembre 2022 n. 2430

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Scuola di sci - Lezioni individuali – Danni subiti dall'allievo – Responsabilità
(Dlgs 28 febbraio 2021, n. 40, articolo 5)
Adito in materia di danni conseguenti ad un sinistro occorso durante una lezione di sci individuale (sul percorso di una pista "blu", facile e dunque idonea per principianti) sottolinea il Tribunale di Milano come sia di comune esperienza, ed agevolmente rilevabile secondo logica anche per chi non pratica l'attività sciistica, che il maestro (come correttamente aveva fatto nel caso concreto) deve posizionarsi sempre a valle dell'allievo affinché quest'ultimo possa osservarne la tecnica ed apprenderla, seguendolo ed imitandolo. È altresì ovvio che, per quanta cautela sia profusa dal maestro di sci, è pur sempre possibile che l'allievo cada, per l'intrinseca natura dell'attività che la scuola è richiesta di svolgere e perché costituisce dato di comune esperienza che non è dato imparare a sciare senza incappare mai in cadute.
Sulla base di tali dati – osserva l'adito Tribunale - è erroneo sia assumere che, per il solo fatto della caduta, la scuola di sci sia responsabile delle lesioni riportate dall'allievo, sia che, comunque, poiché una caduta è altamente probabile sicché può essere considerata come un rischio accettato, delle lesioni subite dall'allievo la scuola non debba mai rispondere.
È dunque onere della scuola dimostrare in concreto, anche per presunzioni, che le lesioni sono state conseguenza di una sequenza causale ad essa non imputabile.
Si consideri, infine, che a norma dell'articolo 5 Dlgs n. 40/2021 le piste di discesa vengono segnalate dal gestore degli impianti, secondo il grado difficoltà, con il colore blu (per le piste facili), con il colore rosso (per le piste di media difficoltà), con il colore nero (per le piste difficili). Tutte le piste non battute sono considerate piste difficili e devono essere segnalate in nero al loro imbocco. Le piste di fondo sono suddivise in: a) pista facile, segnata in blu; b) pista di media difficoltà segnata in rosso; c) pista difficile, segnata in nero.
Tribunale di Milano, sezione VII, sentenza 7 settembre 2022 n. 7027

CONDOMINIO
Condominio – Tabelle millesimali – Funzione – Revisione
(Cc, articoli 1118, 1123, 1136)
Chiarisce il Tribunale di Roma come le tabelle millesimali costituiscano documenti di natura tecnico-valutativa, elaborati sulla base di calcoli aritmetici, che rappresentano il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare espresso in millesimi rispetto a quello dell'intero edificio condominiale. Il diritto di ogni condomino in relazione alle parti comuni dello stabile è, infatti, proporzionato al valore del piano o porzione di piano (cioè all'unità immobiliare) che gli appartiene (articolo 1118, I, c.c.).
Le tabelle assolvono alla duplice funzione di determinare la quota di partecipazione di ogni singolo condomino nelle spese condominiali, poiché il dovere di contribuzione è rapportato al valore della proprietà di ciascuno (articolo 1123, primo comma, c.c.), nonché l'entità della partecipazione e del voto di ciascun condomino nelle assemblee che è espresso in millesimi.
La deliberazione che approva le tabelle milliesimali non si pone come fonte diretta dell'obbligo contributivo del condomino, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione dell'obbligo, determinato in base ad un valutazione tecnica.
Per l'atto di approvazione delle tabelle millesimali e per quello di revisione delle stesse, è sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'articolo 1136, II, c.c., ogni qual volta l'approvazione o la revisione avvengano con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge; viceversa, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella "diversa convenzione", di cui all'articolo 1123, I, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell'approvazione unanime dei condomini.
Quanto poi alla formazione delle tabelle, il primo elemento da considerare è la superficie di ogni singola unità abitativa essendo di tutta evidenza che un appartamento grande valga più di uno piccolo. Talvolta, non si ricorre alla superficie (calcolata in metri quadrati), ma alla cubatura (in metri cubi), in quanto può risultare un criterio più fedele alla realtà, soprattutto in spazi in cui si verifica una forte discrepanza tra superficie e volume, a parità di spazio (si pensi ad un locale mansardato molto basso). Nel calcolo della superficie, si tiene conto anche dei balconi, considerati come un "allungamento" dell'appartamento; tuttavia, la superficie viene calcolata con una riduzione, in proporzione all'uso e all'affaccio. Lo stesso dicasi per terrazze a livello e lastrici solari di uso esclusivo, in cui la superficie è calcolata con un coefficiente di riduzione.
E dunque, ai fini della redazione delle tabelle millesimali di un condominio, occorre prendere in considerazione sia gli elementi intrinseci dei singoli immobili oggetto di proprietà esclusiva (quali l'estensione), che quelli estrinseci (quali l'esposizione), nonché le eventuali pertinenze di tali proprietà esclusive (si pensi ai giardini).
Tribunale di Roma, sezione V, sentenza 7 settembre 2022 n. 13019

PROFESSIONISTA
Professionista - Prestazione d'opera professionale – Diritto al compenso
(Cc, articoli 1176, 1460, 2236)
Secondo quanto affermato in sentenza dal Tribunale di Napoli, in tema di diritto al compenso del professionista, opera il principio di diritto secondo cui il rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l'avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso.
È così necessario che vi sia stato uno scambio di consensi, costituito dalla proposta contrattuale (in genere, rappresentata dal conferimento dell'incarico), nonché dell'accettazione (in genere espressa per facta concludentia) dal professionista, che esegue la prestazione richiesta.
Quanto innanzi tenendo ben presente che ove si verifichi un inadempimento del professionista rispetto alle obbligazioni assunte ciò comporta, tra l'altro, la perdita per lo stesso del diritto al compenso. Invero, il professionista, nella prestazione dell'attività professionale, sia questa configurabile come adempimento di un'obbligazione di risultato o di mezzi, è obbligato, a norma dell'articolo 1176 c.c., ad usare la diligenza del buon padre di famiglia. Di conseguenze non vi è dubbio che la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale, del quale il medesimo è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve (salvo che nel caso in cui, a norma dell'articolo 2236 c.c. la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà), e quindi, in applicazione del principio di cui all'articolo 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso, oltre al risarcimento del danno.
Tribunale di Napoli, sezione 11, sentenza 8 settembre 2022, n. 7887

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