Penale

Utilizzare animali vivi come richiamo di caccia può costare il carcere

La Suprema Corte ha puntualizzato che è una sevizia la detenzione di uccelli in gabbie talmente piccole da cagionare il danneggiamento e l'avulsione del piumaggi

di Pietro Alessio Palumbo

Nella vicenda trattata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.15453/2023 il ricorrente aveva esposto cinque uccelli custoditi in gabbiette nei pressi del capanno da caccia. Gli animaletti in questione non erano in condizione di volare, ed erano destinati ad essere utilizzati come richiami vivi. Secondo la difesa di parte benché la detenzione in gabbia della particolare specie di uccelli a fini di richiamo fosse pratica vietata, ciò, tuttavia, non costituiva una forma di custodia insopportabile per le caratteristiche etologiche dei volatili, tale da integrare il delitto di maltrattamento di animali. La Suprema Corte ha puntualizzato che la detenzione di uccelli in gabbie talmente piccole da cagionare il danneggiamento e l'avulsione del piumaggio, ed il loro impiego nell'attività venatoria quali richiami vivi, fuori dai casi e dai modi consentiti dalla pratica di cattura temporanea e inanellamento ed altri limitati casi consentiti dalla normativa per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio, costituiscono sevizie insopportabili per le caratteristiche etologiche dell'avifauna; tali da integrare non già la contravvenzione cui soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, ma il vero e proprio e più grave delitto di maltrattamento di animali.

Il reato di maltrattamento di animali
La Corte di Cassazione ha ricordato che il reato di maltrattamento degli animali, introdotto dalla disciplina del 2004, prevede la condotta di chi per crudeltà o senza necessità cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti ovvero a fatiche o a lavori insopportabili per la sua natura. A ben vedere perché possa dirsi integrata tale fattispecie è necessaria la volontarietà della condotta lesiva in danno dell'animale, ovvero la volontarietà di una condotta che sottoponga lo stesso animale a torture o comportamenti o opere o sforzi insostenibili. La fattispecie penalistica in parola si caratterizza quale reato a forma libera di guisa che è sufficiente che l'azione sia causale rispetto all'evento tipico. Accanto a una condotta generatrice di lesioni, si colloca altra condotta, ugualmente rilevante sul piano penale, che attenti al benessere dell'animale ed alle sue particolari caratteristiche etologiche, per mezzo di comportamenti incompatibili con le esigenze naturali dell'animale, che vanno imprescindibilmente salvaguardate. Peraltro, la nozione di comportamenti "insopportabili" per le caratteristiche etologiche non assume un significato assoluto - come raggiungimento di un limite oltre il quale l'animale sarebbe soppresso - bensì un significato relativo, inteso quale contrasto con il comportamento proprio della specie di riferimento come riconosciuta dalla scienza naturale prevalente. E, in questo senso, la collocazione degli animali in ambienti inadeguati alla loro naturale esistenza e sussistenza; inadeguati dal punto di vista delle dimensioni, della salubrità, delle condizioni tecniche, vale certamente ad integrare la fattispecie nei termini oggi richiesti dal legislatore.

La condotta punibile
Il maltrattamento di animali e la detenzione incompatibile con le loro caratteristiche sono condotte punibili ma con differenze. Già in passato la Suprema Corte ha evidenziato - nel rilevare la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità del reato di maltrattamento degli animali prospettata in riferimento non solo alla disciplina costituzionale ma anche alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea nella parte in cui esso punisce più gravemente chi sottopone un animale a comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche rispetto a quanto previsto dal reato di abbandono di animali, per chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di grave sofferenza - le differenze tra la fattispecie prevista da tale disciplina e quella sull'abbandono, evidenziando come esse si riferiscono ad ipotesi diverse e dotate di diversa gravità. Infatti la fattispecie delittuosa che punisce chi cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti ovvero a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, è caratterizzata dal solo elemento soggettivo del dolo e non anche da quello della colpa; nonché dall'ulteriore presupposto della crudeltà o della mancanza di necessità. La fattispecie contravvenzionale, invece, punisce, anche a titolo di colpa, la meno grave condotta di chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze. Ciò senza richiedere la crudeltà o la mancanza di necessità, né la causazione di lesioni, o la sottoposizione a violenze, modi di agire, impegni, compiti intollerabili. Secondo la Corte di Cassazione è pertanto escluso che vi sia alcuna possibile identità fra le due fattispecie. E ciò a ben ragionare giustifica anche sul piano costituzionale la previsione di due distinte ipotesi di reato, nonché di sanzioni proporzionate alla loro effettiva diversa gravità.

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