Lavoro

Smart working: non solo work life balance ma anche (e soprattutto) organizzazione

Introdotto nel nostro ordinamento dalla L. n. 81 del 22 maggio 2017 con lo scopo «di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro», il lavoro agile è infatti definito dal legislatore quale «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa» (art. 18, l. 81/2017).

di Serena Botta*

La società ed il mercato del lavoro sono stati negli ultimi anni soggetti a profondi cambiamenti sociodemografici che hanno determinato una vera e propria rivoluzione degli obiettivi e dei ruoli di uomini e donne, rendendo cruciale per individui ed organizzazioni la questione del work life balance, ovvero della conciliazione tra le esigenze di lavoro e quelle di vita, in quanto un lavoratore stressato, insoddisfatto è in genere, di riflesso, inefficiente.

Assume quindi un ruolo centrale il well-being aziendale, inteso come una strategia di responsabilità sociale d'impresa con l'obiettivo di migliorare le condizioni e l'ambiente di lavoro dei dipendenti e aumentarne la produttività investendo sul loro benessere fisico, mentale e sociale.

In quest'ottica è doveroso richiamare lo strumento che più di tutti rappresenta in maniera evidente il cambiamento in atto, ossia lo smart working, che, come è noto, non è una nuova forma di lavoro subordinato, ma una particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato.

Introdotto nel nostro ordinamento dalla L. n. 81 del 22 maggio 2017 con lo scopo «di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro», il lavoro agile è infatti definito dal legislatore quale «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa» (art. 18, l. 81/2017).

Lo stesso legislatore individua dunque, quale prima finalità dello smart working, l'incremento della competitività, e concepisce la nuova modalità di esecuzione della prestazione lavorativa innanzitutto come uno strumento volto a migliorare l'organizzazione aziendale.

Il lavoro agile, quindi, non deve essere considerato semplicemente o solamente un benefit per i dipendenti.

Al contempo però, sempre con riferimento al dato legislativo, lo smart working è uno strumento idoneo ad agevolare il work life balance, e ciò per una serie di ragioni.

L'accento è evidentemente posto sulla flessibilità, ovvero sulla possibilità per il lavoratore di scegliere luogo e tempo di lavoro anche grazie all'utilizzo di strumenti tecnologici che consentono l'attività da remoto. Tali caratteristiche hanno determinato durante la pandemia l'ampio ricorso allo smart working "semplificato" di cui all'art. 90, commi 3 e 4, del DL n. 34/2020 (c.d. DL Rilancio convertito), prorogato da ultimo sino al 30 giugno 2022.

Lo smart working, inteso quale strumento organizzativo, deve però essere realizzato in maniera sana ed adeguata, poiché, è bene non dimenticarlo, presenta comunque non pochi rischi se solo pensiamo all'importanza dei rapporti umani in azienda che, con tale diversa modalità di lavoro, vengono sensibilmente ridotti, con riflessi, anch'essi negativi, sul benessere del dipendente e sulla efficienza dell'azienda.

Deve dirsi, per il vero, che, proprio durante l'emergenza epidemiologica, imprese e lavoratori hanno potuto prendere consapevolezza degli innegabili vantaggi connessi a questa modalità di lavoro.

Quando lo smart working viene realizzato nel rispetto degli elementi di flessibilità, di autonomia e soprattutto di reciproca fiducia, è certamente utile ad incidere positivamente anche sul work life balance e, più in generale, sul benessere del lavoratore.

L'aumento della flessibilità della erogazione della prestazione lavorativa consente, infatti, ai dipendenti un miglioramento proprio in termini di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, con un notevole risparmio di tempi, energie e costi correlati allo spostamento per raggiungere la sede di lavoro. Del pari le aziende si giovano della diminuzione di taluni costi fissi, quali quelli connessi alla gestione degli ambienti di lavoro, con riferimento a utenze, pulizia e attrezzature.

Tuttavia, proprio l'esperienza maturata negli ultimi due anni, ha fatto emergere anche altre problematiche di non scarso rilievo connesse allo smart working, con riflessi importanti sul complessivo well-being aziendale. Ci riferiamo in primo luogo al rischio, da più parti sollevato, della rottura delle barriere tra vita lavorativa e vita privata, con una eccessiva dilatazione dei tempi di lavoro dovuta a quella che il Parlamento Europeo, con una risoluzione del gennaio dello scorso anno, ha definito "la cultura del sempre connesso".

Da ciò l'accento posto, anche dal legislatore italiano, sul tema della disconnessione, ovvero del diritto ad astenersi dal compiere attività lavorativa, ivi comprese comunicazioni a mezzo mail o telefono, al di fuori delle fasce orarie pattuite e comunque nelle ore destinate al riposo, senza per ciò esser discriminati. Il diritto alla disconnessione dovrà trovare la sua regolamentazione negli accordi individuali, che torneranno da luglio ad essere obbligatori.

Sono inoltre sicuramente auspicabili policy aziendali relative al corretto utilizzo dei dispositivi e finalizzate a garantire un uso appropriato della tecnologia e a evitare forme di invasione della vita privata mediante l'abuso di telefonate, sms o chat aziendali e l'invio di e-mail al di fuori dell'orario di lavoro e durante i periodi di ferie, riposo o malattia.

In questo modo, il ricorso allo smart working consentirà veramente di cogliere tutte le opportunità in termini di work life balance con le conseguenti positive ricadute su organizzazioni ed individui.

Sebbene infatti non possa darsi per scontato che il ricorso al lavoro "agile" determini in modo automatico un aumento della produttività e lo stesso rappresenti principalmente una leva organizzativa, pare innegabile che gli effetti positivi sul work life balance costituiscano uno strumento sempre più efficace di attraction e retention dei talenti.

Ma soprattutto esso ha importantissime ricadute sull'organizzazione aziendale che è chiamata a ripensare sé stessa.

Il fattore tempo non è più l'unico - tantomeno il più importante – in base al quale misurare l'efficienza della prestazione lavorativa; il raggiungimento degli obiettivi prefissati rappresenterà sempre di più la modalità prescelta dalle aziende per valutare la prestazione lavorativa, indipendentemente dal tempo e dal luogo in cui la stessa verrà svolta.

D'altro canto, modalità sempre più flessibili di erogazione della prestazione e individuazione di nuovi strumenti incentivanti ad esse associati, rappresentano alcuni degli elementi chiave su cui l'organizzazione aziendale deve agire al fine di incrementare i risultati, anche grazie ad una maggiore partecipazione dei collaboratori alla mission aziendale, e attrarre e mantenere presso di sé le risorse che meglio sapranno farsi coinvolgere dai rapidi cambiamenti della nostra società tutta.

*di Serena Botta, partner di Toffoletto De Luca Tamajo

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