Penale

Stop all’estradizione in Russia, con la guerra diritti umani più a rischo

La drammatica situazione in Ucraina impone verifiche più che mai stringenti

di Patrizia Maciocchi

I drammatici sviluppi della guerra in Ucraina impongono di non consegnare la cittadina russa nell’ambito di una richiesta di estradizione per reati comuni, solo sulla base delle “rassicuranti informazioni” fornite dall’autorità giudiziaria dello Stato richiedente. Per la Cassazione (sentenza 10656) in questo momento è più che mai importante avere notizie personalizzate e stringenti sul tipo di trattamento al quale sarà sottoposta la persona, oggetto di un mandato di cattura, della quale il governo della confederazione russa chiede la consegna. La Suprema corte accoglie così il ricorso di una cittadina russa ex agente del Kgb classe ’73, contro la decisione della Corte d’Appello di estradarla senza il suo consenso.

La ricorrente era accusata di aver comprato dei farmaci nocivi per la salute a causa dei quali c’erano state delle morti in una clinica privata nella quale era dirigente. Per l’imputata un’accusa falsa, alla base di una richiesta di estradizione “mascherata” che nascondeva un intento punitivo e ragioni politiche, a causa di un’indagine fatta dall’ex membro dei servizi di sicurezza russi, relativa alla illecita distribuzione nel territorio russo, supportata da alte autorità locali, di un farmaco anestetico. Una tesi che la Cassazione ritiene però priva di riscontri. Tuttavia i giudici accolgono il ricorso L’estradanda aveva, infatti, dimostrato il rischio di trattamenti disumani nelle carceri russe.

La Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare anche se la pena prevista come alternativa alla detenzione, indicata nella traduzione come “lavori forzatati” , consistesse effettivamente in un trattamento disumano oltre ad evocarlo. In un momento tanto drammatico per la consegna non bastano le rassicurazioni contenute nella relazione del procuratore federale russo.

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