Penale

Data retention, il Gip può chiedere i tabulati come indagine ulteriore

D<span id="U402979033830Y9" style="">opo la richiesta del Pm </span> <span id="U40297903383031B" style=""> di archiviare il reato </span> <span id="U402979033830QTH" style=""> di maltrattamenti in famiglia</span>

di Patrizia Maciocchi

Il Gip può indicare al pubblico ministero l’acquisizione dei tabulati telefonici, dopo l’udienza camerale fissata per l’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione del reato di maltrattamenti familiari. La Cassazione (sentenza 18853) respinge il ricorso del procuratore generale contro l’ordinanza con la quale il Gip - dopo la richiesta di archiviazione del Pm - aveva disposto che l’organo dell’accusa svolgesse, entro trenta giorni dalla notifica del procedimento, un’ indagine supplementare. Il Gip aveva chiesto, infatti, di acquisire i tabulati telefonici con le celle d’appoggio. Un atto abnorme, ad avviso ricorrente, per più ragioni. Ad iniziare dalla violazione del Dl 132/2021 sull’acquisizione dei dati sul traffico telefonico e telematico, per le indagini. Norma che, per il Pg, rimette la scelta al solo Pm lasciando al Gip solo l’autorizzazione a provvedere.

Infine, per il ricorrente, il provvedimento del Gip non era abbastanza motivato, rispetto all’articolo 132 del Codice della privacy, che consente di entrare in possesso dei dati solo se rilevanti per proseguire le indagini e comunque non richiede anche quelli in uscita dall’utenza della parte lesa.

Contestazioni che la Suprema corte smonta, considerando legittima l’azione del Gip.

Per i giudici di legittimità, appartiene proprio al ruolo della giurisdizione «accertare gli ambiti di integrazione probatoria non percorsi dal pubblico ministero».

E questo non per sostituirsi alla pubblica accusa ma per evitare che l’indagine non sia completa. Un’esigenza che vale a maggior ragione nei reati di violenza contro le donne, in cui il ruolo del controllo procedimentale del giudice sull’accusa «non può essere letto, come emerge nel ricorso - scrivono i giudici - in una chiave di competizione, alterazione o sconfinamento tra poteri delle diverse autorità giudiziarie, ma nell’unico superiore interesse ordinamentale e istituzionale che consiste nell’evitare che le indagini siano inadeguate e lacunose».

Va poi considerato che, nei reati come la violenza sulle donne, le norme sovranazionali impongono allo Stato obblighi di garanzia, adeguatezza e tutela, proprio nella fase investigativa, in cui c’è la valutazione del rischio di letalità , come previsto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa, sulla violenza di genere e domestica ratificata con la legge 77/2013. È quindi da evitare quella «passività giudiziaria» che è costata all’Italia più di una condanna.

La Cassazione nega infine che l’acquisizione alteri la sequenza disegnata dal Dl 132/2021, perchè resta comunque affidata al giudice il potere di vagliarne, dopo la richiesta, a fronte della Pm che non ha provveduto.

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