Penale

Così cambiano gli appelli penali: nuovi limiti, più digitale e rito scritto

Impugnazioni inammissibili se manca il requisito di «specificità dei motivi». Indispensabile depositare con l’atto introduttivo la dichiarazione di domicilio

di Guido Camera

Via più stretta per i procedimenti penali di appello. La riforma attuata dal decreto legislativo 150/2022, in vigore dal 30 dicembre 2022, per centrare gli obiettivi Pnrr, ha infatti aumentato, da un lato, le cause di inammissibilità delle impugnazioni e, dall’altro, il novero delle sentenze inappellabili. Il nuovo appello penale, inoltre, si fa più telematico e sposa il contraddittorio scritto.

I nuovi «filtri»

Tra i requisiti delle impugnazioni compare quello della «specificità dei motivi», a pena di inammissibilità: per ogni richiesta devono essere enunciati «in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato». L’appello diventa così un giudizio di controllo della motivazione della sentenza di primo grado.

È questo il punto di arrivo di un percorso di cambiamento in senso restrittivo del giudizio d’appello iniziato con la sentenza 8825/2017 delle Sezioni unite e con la legge 103/2017. Le ripercussioni sull’attività del professionista sono evidenti: l’impugnazione dovrà essere altamente qualificata, e consistere in un puntuale confronto tra le risultanze processuali e le argomentazioni della sentenza, sulla falsariga del ricorso per Cassazione per vizio motivazionale.

Altra causa di inammissibilità è il mancato deposito, con l’atto di impugnazione, della dichiarazione di domicilio e, nel caso di imputato assente, del mandato a impugnare. È perciò sempre opportuno eleggere un inequivocabile domicilio con l’impugnazione, anche se di conferma del precedente.

Aumentano poi le sentenze inappellabili: vengono incluse quelle in cui è applicata la nuova sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità e quelle di proscioglimento relative a delitti puniti con la sola pena pecuniaria o pena alternativa. Quest’ultima disposizione si applica solo alle sentenze emesse dopo il 30 dicembre 2022.

Altre novità riguardano l’appello ai fini civili. La Corte svolge ora solo il controllo di ammissibilità, demandando poi il merito al giudice civile. Con la sentenza 2854/2023, la Cassazione ha sancito che la novità è immediatamente applicabile ai processi in corso, anche in relazione a impugnazioni proposte prima del 31 dicembre.

Allo stesso modo la Corte d’appello procede nei casi di improcedibilità previsti dal nuovo articolo 344-bis del Codice di procedura penale, nonché di amnistia e prescrizione. In caso di improcedibilità per superamento dei termini, la Corte dispone la confisca, se obbligatoria, anche quando non è stata pronunciata condanna in primo grado. Negli altri casi, trasmette gli atti alla Procura competente per l’eventuale proposta di misure di prevenzione.

Le altre novità

Il deposito cartaceo dell’atto è ora possibile solo nella cancelleria che ha emanato la sentenza impugnata, o, per le parti private, anche presso un agente consolare all’estero. Vengono incentivate le spedizioni telematiche mediante posta elettronica certificata, come previsto dalla normativa del periodo Covid, in attesa che vengano emanate – entro il 31 dicembre 2023 – le regole tecniche del processo penale telematico. Sino ad allora, resta l’obbligo di deposito delle copie cartacee di cortesia. Peraltro, sempre nell’ottica di incentivare il deposito telematico, la normativa transitoria non prevede più tra le cause di inammissibilità della spedizione telematica l’invio da indirizzo di Pec non intestato al difensore, né la mancanza di sottoscrizione digitale del difensore per attestazione di conformità sulle copie informatiche degli allegati.

Il dibattimento di appello diventa di natura scritta, in recepimento dell’esperienza vissuta nella pandemia: la normativa sul procedimento cartolare si continua ad applicare per gli atti presentati prima del 30 giugno 2023.

Aumenta il termine a comparire indicato nella citazione, che sale a 40 giorni: il decreto deve inoltre contenere l’avviso della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa e del diritto di chiedere la trattazione orale, attraverso il difensore, entro 15 giorni, a pena di decadenza. Se la Corte la dispone d’ufficio, deve darne avviso nel decreto di citazione.

Vengono modificate anche le disposizioni in materia di concordato in appello (si veda «Il Sole 24 Ore» del 30 gennaio scorso) e di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Nel caso di appello del Pm contro una sentenza di giudizio abbreviato, la Corte dovrà disporre la rinnovazione solo in relazione alle prove integrative. Un cambio di rotta rispetto a quanto stabilito dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (sentenza 18620/2017), che imponeva l’obbligo di rinnovazione anche in caso di abbreviato “secco”.

In relazione al regime dell’assenza in appello, la Corte non può pronunciare la nuova sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza del processo, ma solo sospenderlo; in questo periodo, assume le prove non rinviabili.

Vengono infine introdotti nuovi casi di restituzione del termine. Se nell’appello vengono sollevate questioni inerenti l’assenza in primo grado, la Corte può annullare la sentenza; l’imputato, in questi casi, può però chiedere di procedere con la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Inoltre, può avanzare istanza di patteggiamento od oblazione; se però vengono respinte, non possono essere riproposte.

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