Amministrativo

Consiglio di Stato e Tar: le principali decisioni della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia amministrativa nel periodo compreso tra il 2 e il 6 maggio 2022

di Maurizio De Giorgi

Nel corso di questa settimana i Giudici di Palazzo Spada sono chiamati a pronunciarsi in tema di allocazione sul territorio delle farmacie, di tutela dell'ambiente, di operatività del principio di unicità dell'offerta nelle gare pubbliche, di autorizzazione paesaggistica e, infine, di finanziamenti pubblici.
Da parte loro i Tar intervengono in materia di legittimazione al titolo edilizio, causa di servizio, contratto di avvalimento, demolizione di immobili abusivi e, ancora, di retribuzione in favore degli appartenenti alla Polizia di Stato (per il tempo di "vestizione" della divisa).


FARMACIE
Farmacie – Allocazione sul territorio - Competenza
(Dl 24 gennaio 2012 n. 1)
In punto di diritto l'adito Collegio di Palazzo Spada afferma in sentenza come, alla Regione non spetti più, dopo la riforma attuata con il Dl n. 1/2012, alcun compito in ordine alla delimitazione delle zone in cui allocare sul territorio le farmacie. La scelta del Legislatore statale del 2012 di attribuire ai Comuni tale compito risponde all'esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, corrispondente agli effettivi bisogni della collettività locale, ossia alla finalità di assicurare un'equa distribuzione delle farmacie sul territorio.
L'individuazione e la localizzazione delle sedi farmaceutiche sono connesse ai compiti di pianificazione urbanistica attribuiti ai Comuni, enti appartenenti ad un livello di governo più prossimo ai cittadini, in piena coerenza con il principio costituzionale della sussidiarietà verticale. Il tutto fatti salvi i casi di esplicita attribuzione da parte del Legislatore in favore delle Regioni e delle Province autonome dell'istituzione di farmacie localizzate in determinati siti (quali stazioni ferroviarie, aeroporti, etc.) che, per la loro specifica funzione, hanno rilevanza ultra comunale.
È nella logica delle cose che il cennato potere-dovere di pianificazione territoriale non si eserciti una tantum ma possa (e se del caso debba) essere nuovamente esercitato per apportare gli opportuni aggiornamenti, e che ciò venga fatto nel quadro di una visione complessiva del territorio comunale. In linea di principio, la pianta organica delle farmacie deve essere formulata in modo tale da non lasciare né spazi vuoti, né sovrapposizioni.
Se questa è la regola (pur non enunciata dalla legge e tuttavia invalsa nella prassi e confortata dalla giurisprudenza), è certamente possibile che si abbia una pianta organica che presenti spazi vuoti e/o sovrapposizioni, e che non vi siano margini interpretativi per superare l'impasse: in tale evenienza soccorrono gli ordinari strumenti di impugnazione (o autoannullamento, o modifica).
Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 2 maggio 2022 n. 3410

AMBIENTE
Ambiente - Principio di precauzione – Operatività
(Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, articolo 301)
Osserva il Consiglio di Stato come l'impossibilità di imporre le misure di bonifica al proprietario non responsabile della contaminazione ambientale si giustifica alla luce della natura sanzionatoria di questa misura.
Diversamente è a dirsi per le misure di messa in sicurezza di emergenza, le quali, così come le misure di prevenzione, non hanno tale natura, ma costituiscono prevenzione dei danni, sono imposte dal principio di precauzione e dal correlato principio dell'azione preventiva, e quindi gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente solo perché egli è tale, senza necessità di accertarne il dolo o la colpa.
In particolare il principio di precauzione è sintesi dell'obbligo giuridico di assicurare un elevato livello di tutela ambientale ed integra un criterio orientativo generale e di larga massima che deve caratterizzare non soltanto le attività normative, ma anche (e prima ancora) quelle amministrative (articolo 301 Dlgs n. 152/2006).
Tale principio può essere invocato quando: a) un fenomeno, un prodotto o un processo possano avere effetti potenzialmente pericolosi; b) la predetta pericolosità sia stata individuata in base a dati scientifici obiettivi, attuali e disponibili, all'esito di una valutazione il più possibile completa; c) la predetta valutazione non consenta di determinare il rischio con sufficiente certezza.
Il principio de quo si impone a tutti i soggetti, e in tutte le fasi dell'attività amministrativa, per cui il sistema deve eterointegrarsi (anche) con normative tecniche che abbiano identificato un potenziale rischio, formulate in paesi stranieri o con norme tecniche interne, provenienti da organi tecnici competenti e qualificati, come i pareri dell'Istituto di Sanità o dell'Arpa.
Consegue al principio di precauzione che è richiesto un onere di motivazione specifico solo ove l'amministrazione, in presenza di un pericolo potenziale per la salute e per l'ambiente, espliciti le ragioni della non azione mentre, ove l'amministrazione decida di agire imponendo misure precauzionali, non è richiesto un particolare onere motivazionale.
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 2 maggio 2022, n. 3424

GARE PUBBLICHE
Gare pubbliche – Offerta – Principio di unicità
(Dlgs del 18 aprile 2016 n. 50, articolo 32)
Osserva in sentenza il Collegio di Palazzo Spada come l'articolo 32, IV, del Dlgs n. 50/2016 – nella parte in cui dispone che, in sede di gara per l'aggiudicazione dell'appalto pubblico, ciascun concorrente non possa presentare più di un'offerta - sancisca il principio (ineludibile) di unicità dell'offerta.
Trattasi di un principio posto tanto a presidio del buon andamento, dell'economicità e della certezza dell'azione amministrativa, per evitare che la stazione appaltante sia costretta a valutare plurime offerte provenienti dal medesimo operatore economico, tra loro incompatibili, e che perciò venga ostacolata nell'attività di individuazione della migliore offerta, quanto a tutela della par condicio dei concorrenti, poiché la pluralità delle proposte attribuirebbe all'operatore economico maggiori possibilità di ottenere l'aggiudicazione o comunque di ridurre il rischio di vedersi collocato in posizione deteriore, a scapito dei concorrenti fedeli che abbiano presentato una sola e univoca proposta corrispondente alla prestazione oggetto dell'appalto, alla quale abbiano affidato la loro unica ed esclusiva chance di aggiudicazione.
La disposizione de qua impone, quindi, ai partecipanti alle gare pubbliche di concorrere essenzialmente con un'unica proposta tecnica ed economica, fatte naturalmente salve le migliorie dell'offerta. Tale eccezione fa salve quelle precisazioni, integrazioni e migliorie che sono finalizzate a rendere il progetto prescelto meglio corrispondente alle esigenze della stazione. Possono essere considerate proposte migliorative tutte quelle precisazioni, integrazioni e migliorie che sono finalizzate a rendere il progetto prescelto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste; al contrario, non sono ammesse tutte quelle varianti progettuali che, traducendosi in una diversa ideazione dell'oggetto del contratto, alternativa rispetto al disegno progettuale originario, diano luogo ad uno stravolgimento di quest'ultimo. Nell'ambito, poi, della gara da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa è lasciato ampio margine di discrezionalità alla commissione giudicatrice anche quanto alla valutazione delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta e la sua efficienza nonché quanto alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante.
Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 3 maggio 2022 n. 3442


AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA
Autorizzazione paesaggistica - Permesso di costruire – Rapporto
(Costituzione, articolo 9)
Secondo quanto afferma in sentenza il Consiglio di Stato l'autorizzazione paesaggistica costituisce un atto autonomo rispetto al permesso di costruire, come agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio.
I due atti di assenso, quello paesaggistico e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti.
Ne deriva che il parametro di riferimento per la valutazione dell'aspetto paesaggistico non coincide con la disciplina urbanistico edilizia, in quanto la valutazione di compatibilità paesaggistica è connaturata all'esistenza del vincolo paesaggistico ed è autonoma dalla pianificazione edilizia.
Il fatto che siano rilasciati i titoli edilizi, pur in assenza dell'autorizzazione paesaggistica, non può in alcun modo legittimare anche sotto il profilo paesaggistico il fabbricato posto in essere: un tale esito si porrebbe in contrasto con il principio secondo cui l'interesse paesaggistico deve sempre essere valutato espressamente anche nell'ambito del bilanciamento con altri interessi pubblici.
La funzione dell'autorizzazione paesaggistica è quella di verificare la compatibilità dell'opera edilizia che si intende realizzare con l'esigenza di conservazione dei valori paesistici protetti dal vincolo, dovendo l'autorità preposta unicamente operare un giudizio in concreto circa il rispetto da parte dell'intervento progettato delle esigenze connesse alla tutela del paesaggio stesso.
Fondamentale, in materia, si rivela il disposto dell'articolo 9 Cost. nella parte in cui prevede che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione» (nonché con la riforma del 2022 «l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi»).
Non solo. Esiste un principio di autonomia anche tra l'illecito urbanistico-edilizio e l'illecito paesaggistico, come anche un'autonomia tra i correlati procedimenti e regimi sanzionatori.
Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 3 maggio 2022 n. 3446

FINANZIAMENTI PUBBLICI
Finanziamenti pubblici - Ammissione delle imprese - Avviso

Intervenuto in materia di concessioni di agevolazioni pubbliche il Consiglio di Stato, con il suo intervento qui in esame, osserva come l'avviso con cui sia dato avvio alla procedura è l'unico atto cui occorre far riferimento per stabilire i requisiti di ammissione delle imprese a finanziamento; non rilevano a tal fine gli altri atti che l'avviso abbiano preceduto e in seguito ai quali sia, poi, stato adottato.
L'avviso, infatti, al pari del bando di una gara pubblica per l'affidamento di un contratto, è l'atto amministrativo generale con il quale sono fissate le regole al cui rispetto l'amministrazione procedente si vincola nella selezione del privato cui assegnare il finanziamento; in tal senso si dice che è lex specialis della procedura che va ad integrare le disposizioni generali contenute in atti normativi.
Gli atti che precedono l'avviso, se provengono da organi politici o di indirizzo politico–amministrativo dell'ente, possono fornire indicazioni di massima circa i criteri e il metodo da seguire per la selezione dei progetti finanziabili (o degli operatori meritevoli di essere supportati con finanziamenti pubblici), ma non dettano essi stessi le regole della procedura, né, in definitiva, potrebbero farlo per il principio di separazione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione amministrativa (tra quest'ultima ultima rientra l'adozione degli atti amministrativi per l'erogazione di contributi pubblici).
Le regole contenute nel bando di gara (identico discorso vale per gli avvisi con cui è indetta una procedura per l'erogazione di contributi pubblici giusta l'identica natura giuridica) vincolano rigidamente l'operato dell'amministrazione procedente, la quale è obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità per preservare i principi di affidamento e di parità di trattamento tra i concorrenti che sarebbero pregiudicati ove si consentisse di modificare le regole (o anche disapplicarle) a seconda delle varie condizioni dei partecipanti; per questa ragione si afferma anche che il bando deve essere interpretato in termini strettamente letterali.
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 6 maggio 2022 n. 3561

TITOLO EDILIZIO
Titolo edilizio - Legittimazione del richiedente – Diritti dei terzi
(Dpr 6 giugno 2001, n. 380, articolo 11)
Precisa in sentenza il Tar Firenze come, nell'ambito del procedimento per il rilascio di un titolo edilizio (anche in sanatoria), l'amministrazione non sia tenuta ad approfondire ogni singolo aspetto astrattamente idoneo a riflettersi sull'accertamento del regime proprietario dell'immobile. L'amministrazione ha il dovere di svolgere un'istruttoria adeguata, volta a verificare la sussistenza di un collegamento soggettivo qualificato tra chi propone l'istanza e il bene oggetto dell'autorizzazione.
Per tale ragione il potere di verifica del titolo legittimante non impone alla Pa di svolgere complessi e laboriosi accertamenti, diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile considerato, al fine di accertare ogni aspetto potenzialmente idoneo ad incidere sul regime dominicale di esso. Il titolo edilizio è un atto che regola il solo rapporto che, con esso (e la relativa attività autorizzata), si pone in essere tra l'autorità amministrativa che lo emette e il soggetto a favore del quale è emesso senza attribuire in favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune.
Di conseguenza, in caso di contestazioni sul titolo di legittimazione, pur potendo condurre le necessarie attività istruttorie, il Comune non può sovrapporre i propri apprezzamenti a quelli di competenza del Giudice civile, e quindi deve arrestarsi laddove il richiedente non sia in grado di produrre elementi prima facie attendibili.
E cioè a dire, il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia proprietario dell'immobile su cui si eseguirà il richiesto intervento costruttivo o che, in ogni caso, ne abbia una disponibilità giuridica sufficiente a tal fine (cioè all'esecuzione dell'opera) fermo restando che il titolo abilitativo è comunque rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi (articolo 11 Dpr n. 380/2001).
L'amministrazione deve quindi condurre un'attività istruttoria il cui scopo non è quello di risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in merito all'assetto proprietario degli immobili dovendo accertare il (solo) requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
Tar Toscana, Firenze, sezione III, sentenza 3 maggio 2022 606

CAUSA DI SERVIZIO
Causa di servizio – Infermità – CVCS – Parere
(Dpr 29 ottobre 2001 n. 461, articoli 11 e 14)
Rileva il Ga di Roma come al Comitato di verifica delle cause di servizio (CVCS) - il quale ha una composizione complessa, essendo costituito non solo da medici, ma anche da soggetti con professionalità amministrative e giuridiche – spetti il compito di accertare la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l'infermità o lesione (articolo 11 Dpr n. 461/2001).
Il provvedimento finale, che riconosce l'infermità o la lesione come dipendente o meno da causa di servizio, è adottato dall'Amministrazione competente su conforme parere del Comitato; in tal caso, la Pa adotta il provvedimento motivandolo conformemente al parere del Comitato. Qualora, invece, l'Amministrazione, per motivate ragioni, non ritenga di conformarsi a tale parere, ha l'obbligo di richiedere ulteriore parere al medesimo Comitato.
Ai fini del riconoscimento della dipendenza di infermità da fatti di servizio, invero, il parere del CVCS, non solo è obbligatorio, ma è altresì vincolante e insurrogabile, posto che l'Amministrazione ha il dovere di adottare il provvedimento in conformità al giudizio di questo organo.
Ai sensi del combinato disposto degli aricolo 11 e 14 Dpr n. 461/2001, quindi, il parere del CVCS si impone, nel suo contenuto tecnico-discrezionale, all'Amministrazione, la quale, nell'adottare il provvedimento finale, deve limitarsi ad eseguire soltanto una verifica estrinseca della completezza e regolarità del precedente iter valutativo e non deve attivare una nuova ed autonoma valutazione che investa il merito tecnico.
E cioè a dire, la Pa deve conformarsi al suddetto parere, al quale può senz'altro rinviare per relationem e, solo ove ritenga di non poterlo fare, certamente per ragioni non di tipo tecnico, che deve in ogni caso esplicitare, può chiedere un ulteriore parere.
Conseguenza della particolare efficacia del parere - obbligatorio - espresso da tale organo è la sua idoneità, ove non vi siano elementi comprovanti la sua inattendibilità, a fungere da unica motivazione per il provvedimento finale, mentre solo nel caso in cui la Pa ritenga di non potervi aderire sorge un obbligo specifico di motivazione in capo alla stessa.
Tar Lazio, Roma, sezione I stralcio, sentenza 3 maggio 2022 n. 5511

CONTRATTO DI AVVALIMENTO
Contratto di avvalimento - Avvalimento operativo – Interpretazione
(c.c., articoli 1363, 1367; Dlgs 18 aprile 2016, n. 50, articolo 89)
Il Tar Venezia si sofferma in sentenza in tema di avvalimento nelle gare pubbliche, ovvero sull'istituto che rende possibile per l'operatore economico soddisfare il possesso di taluni requisiti di partecipazione (economico, finanziari, tecnico e professionali) previsti dalla lex specialis di gara, ricorrendo alle risorse umane e strumentali che altre imprese si impegnano a mettere a sua disposizione (articolo 89, I, Dlgs 50/2016).
L'avvalimento garantisce un'ampia concorrenza risolvendosi così a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma anche delle amministrazioni aggiudicatrici. Si tratta dunque di un istituto con ambito applicativo generale e che, in quanto tale, non tollera interpretazioni limitative ad eccezione dei requisiti soggettivi inerenti alla moralità, e all'onorabilità professionale, a tutela della serietà ed affidabilità degli offerenti.
In materia si distingue tra avvalimento di garanzia e avvalimento operativo: il primo ricorre quando l'ausiliaria mette a disposizione dell'ausiliata la sua solidità economica e finanziaria, rassicurando la stazione appaltante sulle sue capacità di far fronte agli impegni economici conseguenti al contratto d'appalto, anche in caso di inadempimento; il secondo (quello operativo) ricorre quando l'ausiliaria si impegna a mettere a disposizione dell'ausiliata le risorse tecnico-organizzative indispensabili per l'esecuzione del contratto di appalto.
Orbene, osserva l'adito Collegio giudicante come il contratto di avvalimento operativo debba essere interpretato sulla base delle regole generali in materia contrattuale, e in particolare secondo i canoni enunciati dal codice civile di interpretazione complessiva e secondo buona fede delle clausole contrattuali (articoli 1363 e 1367 c.c.).
Alla stregua di tali regole generali deve ritenersi che il contratto di avvalimento non richieda la puntuale quantificazione dei mezzi d'opera, l'esatta specificazione delle qualifiche del personale messo a disposizione e nemmeno la precisa indicazione numerica dello stesso personale. È infatti sufficiente che l'assetto negoziale consenta quantomeno l'individuazione delle esatte funzioni che l'impresa ausiliaria andrà a svolgere, direttamente o in ausilio all'impresa ausiliata, e dei parametri cui rapportare le risorse messe a disposizione.
Tar Veneto, Venezia, sezione I, sentenza 3 maggio 2022 n. 665

ORDINANZA DI DEMOLIZIONE
Ordinanza di demolizione - Impugnazione – Controinteressati
(Dpr 6 giugno 2001, n. 380)
Osserva in sentenza il Tar Napoli come a fronte dell'esercizio della potestas sanzionatoria e repressiva - in quanto funzionale a reprimere la violazione dell'illecito e, in materia di edilizia e urbanistica, altresì ad assicurare il ripristino dello status quo ante e la riparazione del vulnus arrecato al territorio - non è dato rinvenire qualsivoglia controinteressato, inteso quale soggetto direttamente attributario di un bene giuridico ad opera della actio provvedimentale, e perciò stesso portatore di un interesse eguale e contrario (alla conservazione) rispetto a quello vantato dal ricorrente (all'annullamento).
La situazione di vantaggio che eventualmente può rinvenire ai terzi a cagione dell'esercizio del potere e (massimamente) della sua esecuzione, costituisce per così dire un "effetto riflesso" dell'azione pubblica, adoperando le tradizionali categorie dommatiche scolpite da autorevole dottrina germanica.
La repressione di un illecito amministrativo e la reintegrazione dell'ordine giuridico violato costituisce dovere generale della Pa nei confronti di tutti i consociati, sebbene il concreto esercizio della potestas di vigilanza possa essere: 1) ab initio stimolato ed eccitato da soggetti a vario titolo interessati, e perciò a questo "legittimati"; 2) ex post, foriero di vantaggi specifici e particolari (rispetto a quelli che la generalità degli amministrati in ogni caso ritrae per effetto della riparazione del vulnus arrecato al territorio, quale bene comune) rivenienti, ad esempio, dalla vicinitas all'area abusiva.
E così l'adito Collegio giudicante precisa come, nell'impugnazione di un'ordinanza di demolizione di immobile abusivo, non siano configurabili controinteressati nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contraddittorio, anche nel caso in cui sia palese la posizione di vantaggio che scaturirebbe per il terzo dall'esecuzione della misura repressiva ed anche quando il terzo abbia provveduto a segnalare alla Pubblica Amministrazione l'illecito edilizio da altri commesso (Dpr n. 380/2001).
In materia edilizia, pertanto, e con particolare con riguardo ai provvedimenti di natura repressiva di illecito edilizio, deve essere tendenzialmente negato il riconoscimento della qualità di controinteressato ai proprietari confinanti dell'area nella quale è stato realizzato un manufatto abusivo del quale è stata ordinata la demolizione dall'Autorità competente.
Il principio, tuttavia, subisce un importante temperamento nell'ipotesi in cui ci si trovi di fronte non già a un "generico vicino di casa", ma a un soggetto il cui diritto di proprietà risulti direttamente leso da un'opera edilizia abusiva, e che sia direttamente avvantaggiato dal diniego di concessione edilizia e dall'ordine di demolizione, vantando dunque un interesse qualificato a difendere la propria posizione giuridica (ad esempio di titolare di un diritto di proprietà su parti comuni).
Tar Campania, Napoli, sezione VI, sentenza 4 maggio 2022 n. 3033

POLIZIA DI STATO
Polizia di Stato - Personale – Tempo di vestizione – Retribuzione – Diniego
(Dlgs 8 aprile 2003, n. 66, articolo 1)
Il Tar Milano è investito della questione di stabilire se i ricorrenti (appartenenti alla Polizia di Stato) abbiano, o meno, diritto a percepire la retribuzione aggiuntiva per il cosiddetto "tempo di vestizione" (ovvero per il tempo necessario ad indossare la divisa prima dell'inizio del turno e per svestirsi alla fine dello stesso) (articolo 1, II, Dlgs n. 66/2003).
Alla domanda l'adito Ga dà risposta negativa sul rilievo per cui, al fine di stabilire se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere remunerato, occorre avere riguardo alla regolazione contrattuale, verificando in concreto se al lavoratore è data la facoltà di decidere liberamente tempo e luogo ove indossare la divisa, o se invece si sia in presenza di operazione diretta dal datore di lavoro che ne disciplina luogo e modalità di esecuzione.
Si è così ulteriormente precisato che il diritto alla retribuzione, corrispondente al tempo impiegato per indossare la divisa (e, a fine turno, per dismetterla), non è connesso al mero obbligo del dipendente di portare gli indumenti e le dotazioni prescritte (né al luogo in cui il predetto obbligo viene adempiuto), ma richiede che le operazioni connesse alla vestizione siano contestualmente dirette dall'Amministrazione datrice di lavoro, la quale eserciti sotto tale profilo un esplicito potere di conformazione, tipico dello svolgimento della prestazione lavorativa. Allorquando non sia data prova di una propagazione, al di fuori dell'orario contrattuale, del potere di eterodirezione, esercitato dall'Amministrazione, in modo da regolare in capo a ciascun dipendente le modalità della vestizione (e della successiva svestizione), il tempo dedicato alle operazioni in questione si pone ontologicamente al di fuori della prestazione lavorativa.
Le operazioni connesse alla vestizione e alla svestizione, complessivamente considerate (indipendentemente dal luogo in cui siano eseguite), si sostanziano quindi in un'attività accessoria, funzionale allo svolgimento del servizio, la quale ben può trovare riconoscimento nel coacervo delle indennità accessorie, contrattualmente stabilite, intese ad alleviare taluni disagi connessi alle caratteristiche della prestazione lavorativa e, tra di esse, all'obbligatorietà dell'uso della divisa e delle prescritte dotazioni.
Tar Lombardia, Milano, sezione III. sentenza 5 maggio 2022 n. 1013

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