Amministrativo

Consiglio di Stato e Tar: le principali decisioni della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia amministrativa nel periodo compreso tra il 7 e l'11 marzo 2022

di Maurizio De Giorgi

 

Nel corso di questa settimana si registrano interessanti decisioni del Consiglio di Stato assunte in materia di governo del territorio (in particolare, pertinenza urbanistica e attività edilizia cd. libera), di gare pubbliche (soccorso istruttorio), di autorizzazione all’esercizio dell’attività di raccolta delle scommesse, di trasferimento di sede di una farmacia, di sanzioni amministrative. I Tribunali Amministrativi, da parte loro, trattano i temi della tutela del paesaggio, dell’immigrazione e della responsabilità civile della Pa .

 

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PERTINENZA URBANISTICA

Pertinenza urbanistica – Natura giuridica. (Dpr 6 giugno 2001 n. 380, articolo 3; Cc, articolo 817)

Il Consiglio nella sentenza qui in esame avalla l’orientamento della giurisprudenza amministrativa che subordina il riconoscimento della natura di pertinenza, ai fini edilizi, alla presenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la res accessoria e quella principale.

Il riferimento, in particolare, è a un nesso tale da consentire esclusivamente la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, il quale emerge se l'opera pertinenziale ha una dimensione ridotta e modesta rispetto alla cosa cui inerisce, tale da rendere la stessa priva di un autonomo valore di mercato e non comportante un carico urbanistico o una alterazione significativa dell'assetto del territorio.

In materia edilizia la natura pertinenziale è dunque riferibile soltanto ai piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili e non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa. A i sensi dell’articolo 3, I, lettera e.6), Dpr n. 380/2001, è consentito alle amministrazioni comunali, mediante le norme tecniche dei propri strumenti urbanistici, configurare come interventi di «nuova costruzione» anche quelli altrimenti riconducibili alla realizzazione di pertinenze urbanistico-edilizie in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree in cui essi ricadono.

Sempre dal punto di vista urbanistico non possono ritenersi beni pertinenziali quegli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio a un bene principale, non siano tuttavia coessenziali -ma ulteriori - rispetto ad esso, in quanto suscettibili di un utilizzo autonomo, e separato, e in quanto occupanti aree e volumi diversi dal bene principale. Il concetto di pertinenza urbanistica è, di conseguenza, meno ampio di quello rilevante in materia civilistica, ex articolo 817 del Cc, tale da non poter consentire la realizzazione di opere soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato come principale.

Consiglio di  Stato, sezione VI, 7 marzo 2022 n. 1605

 

MURO DI RECINZIONE

Muro di recinzione – Titolo edilizio. (Dpr 6 giugno 2001, n. 380; Cc, articolo 841)

È controversa, innanzi all’adito Consiglio di Stato, la questione circa l’esatta perimetrazione del concetto di attività edilizia cd. libera e, in particolare, se alla stessa sia o meno riconducibile la costruzione di muri di recinzione. Tema, questo, che si interseca necessariamente con il diritto del proprietario di costruire una recinzione per attuare il disposto di cui  all'articolo 841 del Cc.  (secondo cui, come noto, il  proprietario può chiudere in qualunque tempo il suo fondo). La soluzione deve essere individuata nel fatto che non è in discussione lo ius excludendi alios ma esclusivamente la modalità edilizia di un tale intervento.

La realizzabilità di un intervento di recinzione di un fondo di proprietà privata non è (e non può considerarsi) esclusa tout court in virtù di un mero divieto, ma dipende pur sempre dalle concrete caratteristiche della recinzione, che il Comune deve esaminare e valutare, se del caso anche nell'ottica collaborativa di indicare all'interessato possibili soluzioni alternative paesaggisticamente meno impattanti. Più che all’astratto genus (o tipologia) di intervento edilizio, sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi, occorrere far riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio.

In conclusione, può dirsi che, in materia urbanistica (D.p.r. n. 380/2001), non è necessario un idoneo titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla quale, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni ridotte dell'intervento, non derivi un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios va riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.

Consiglio di Stato, sezione VI, 7 marzo 2022 n. 1609

 

GARE PUBBLICHE

Soccorso istruttorio – Finalità. (Dlgs 18 aprile 2016 n. 50, articolo 83)

Adito in materia di procedure evidenziali osserva in sentenza il Collegio di Palazzo Spada, in riferimento al soccorso istruttorio relativo ad elementi dell’offerta, che operano le seguenti regole: a) consentire all’amministrazione di chiedere ad un candidato la cui offerta essa ritiene imprecisa o non conforme alle specifiche tecniche del capitolato d’oneri, chiarimenti, violerebbe il principio della par condicio (poiché sembrerebbe che, ove il privato risponda positivamente, l’amministrazione abbia con questi negoziato l’offerta in via riservata); b) non è in contrasto con il principio della par condicio tra i concorrenti la richiesta di correzione o completamento dell’offerta su singoli punti, qualora l’offerta necessiti in modo evidente di un chiarimento o qualora si tratti di correggere errori materiali manifesti, fatto salvo il rispetto di alcuni requisiti; c) una richiesta di chiarimenti non può ovviare alla mancanza di un documento o di un’informazione la cui comunicazione era richiesta dai documenti dell’appalto, se non nel caso in cui essi siano indispensabili per chiarimento dell’offerta o rettifica di un errore manifesto dell’offerta e sempre che non comportino modifiche tali da costituire, in realtà, una nuova offerta.

Precisamente, n elle gare pubbliche, in virtù del tenore letterale dell’articolo 83, IX , DLgs n. 50 del 2016 la finalità sottesa alla procedura di soccorso istruttorio è quella di consentire l'integrazione della documentazione già prodotta in gara dai concorrenti, ma ritenuta dalla stazione appaltante incompleta o irregolare sotto un profilo formale.

Si esclude che tale procedura possa avere anche la funzione di consentire all'offerente di formare atti in data successiva a quella di scadenza del termine di presentazione delle offerte: diversamente, infatti, si violerebbero i principi di immodificabilità e segretezza dell'offerta, imparzialità e par condicio delle imprese concorrenti.

La disciplina della procedura di gara non deve essere concepita come una sorta di corsa ad ostacoli fra adempimenti formali imposti agli operatori economici e all'amministrazione aggiudicatrice, ma deve mirare ad appurare, in modo efficiente, quale sia l'offerta migliore, nel rispetto delle regole di concorrenza, verificando la sussistenza dei requisiti tecnici, economici, morali e professionali dell'aggiudicatario; in questo senso l'istituto del soccorso istruttorio tende ad evitare che irregolarità e inadempimenti meramente estrinseci possano pregiudicare gli operatori economici più meritevoli, anche nell'interesse del seggio di gara, che potrebbe perdere l'opportunità di selezionare il concorrente migliore, per vizi procedimentali facilmente emendabili.

Consiglio di Stato, sezione V, 8 marzo 2022 n. 1663

 

SCOMMESSE

Scommesse – Regolamentazione restrittiva – Legittimità. (Rd 18 giugno 1931, n. 773, articolo 88; Legge 13 dicembre 1989, n. 401, articolo 4)

Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato interviene in materia di autorizzazione all’esercizio dell’attività di raccolta delle scommesse di abilità nella rete fisica. Afferma così che, nel nostro Paese, una tale attività può essere svolta in via lecita solo dagli operatori muniti degli appositi titoli, ovvero della concessione rilasciata dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli e della conseguente autorizzazione di polizia di cui all’articolo 88 Rd n. 773/1931 (Tulps). Ciò, in particolare, vale anche per i Ctd (centri trasmissione dati - ovvero esercizi commerciali che raccolgono le giocate in Italia e le trasmettono per via telematica all’allibratore estero) e per i PVR (punti vendita ricariche – ovvero esercizi commerciali presso i quali è possibile aprire un conto gioco per scommettere via internet ed acquistare le relative “ricariche” ovvero le schede prepagate con cui si alimenta il conto): essi possono esistere solo in collegamento con un operatore legittimato in base alle disposizioni nazionali. In assenza di tali requisiti, l’attività è illecita e costituisce reato ai sensi dell’articolo 4 legge 13 dicembre 1989, n. 401. Tale sistema di regole è ritenuto del tutto conforme al diritto europeo: le disposizioni dei Trattati Europei, invero, non ostano a norme nazionali le quali riservino a determinati soggetti l’esercizio delle scommesse sugli eventi sportivi, ove le norme stesse siano effettivamente giustificate da obiettivi politico sociali di limitazione degli effetti nocivi di tale attività e impongano restrizioni non sproporzionate rispetto a tale obiettivo. E quindi, pur a fronte della libertà generale di stabilimento e di prestazione dei servizi, resta impregiudicata l'applicabilità delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedano un regime particolare per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.

L’esigenza di evitare infiltrazioni della criminalità organizzata nel mercato delle scommesse e di controllare che esso si svolga in modo lecito costituisce un’esigenza imperativa di interesse generale che giustifica una normativa nazionale restrittiva in materia.

Consiglio di Stato, sezione IV, 9 marzo 2022, n. 1685

 

FARMACIE

Farmacie – Sedi – Trasferimento. (Dl 24 gennaio 2012, n. 1, articolo 11; Dpr 21 agosto 1971 n. 1275, articolo 13)

Il Consiglio di Stato è adito in materia di trasferimento di sede di una farmacia e fa applicazione del principio di diritto secondo cui vi è la libera scelta del farmacista in ordine all'ubicazione del proprio esercizio all’interno della sede di pertinenza, qualificandosi l'autorizzazione al trasferimento quale provvedimento rivolto alla rimozione di un limite imposto dalla legge all'esercizio di un diritto. L a c.d. liberalizzazione delle farmacie – attuata a mezzo dell’articolo 11 D.L. n. 1/2012 – ha coniugato due finalità: da un lato, quella di razionalizzare la rete distributiva dei farmaci, garantendo l'equa distribuzione nel territorio delle farmacie e, in tal modo, una migliore accessibilità del servizio e, dall’altro lato, quella di dare attuazione ai principi costituzionali e comunitari di libertà di iniziativa economica e di favore per lo sviluppo della concorrenza, rimuovendo le restrizioni all'ingresso di nuovi operatori sul mercato, pur assicurando, al contempo, che il numero delle farmacie sia proporzionato (con riferimento ad un parametro numerico ridotto rispetto al passato) alle dimensioni demografiche dei Comuni, così che i nuovi esercizi possano contare, al pari di quelli esistenti, su un bacino di utenza potenziale in grado di assicurare condizioni di redditività.

Il trasferimento è comunque soggetto ad autorizzazione dell’autorità competente la quale deve verificare, fra l’altro, che «il locale indicato per il trasferimento della farmacia [sia] situato in modo da soddisfare le esigenze degli abitanti della zona» (articolo 13 Dpr n. 1275/1971). Alla libertà (sia pure non incondizionata) del farmacista di ubicarsi a sua discrezione all’interno del perimetro che gli è assegnato non consegue un diritto di esclusiva (ius excludendi). L’esclusiva, semmai, sorge di riflesso, in quanto, essendo ciascun farmacista vincolato al proprio territorio, gli altri farmacisti sono legittimati ad impugnare il provvedimento che autorizzi un trasferimento in violazione tale vincolo.

Consiglio di Stato, sezione III, 9 marzo 2022, n. 1692

 

SANZIONI AMMINISTRATIVE

Sanzioni amministrative - Adozione - Termine. (Costituzione, articoli 24 e 97; Dlgs 1° giugno 2011, n. 93, articolo 6;  Legge 24 novembre 1981, n. 689, articolo 28)

La questione all’esame del Consiglio di Stato attiene alla legittimità, o meno, del provvedimento adottato dall’Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) nei confronti di una società per violazioni delle disposizioni in materia di separazione funzionale e contabile (unbundling) nei rapporti con società del medesimo gruppo. Rileva, quale quadro normativo di riferimento, l’articolo 45, VI, Dlgs n. 93/2011 secondo cui detta Autorità è chiamata ad adottare un regolamento per disciplinare i procedimenti sanzionatori di sua competenza. In tale contesto resta fermo, secondo il Collegio di Palazzo Spada, il principio, in punto di diritto, per il quale il termine di conclusione del procedimento sanzionatorio ha natura perentoria.

Se, in linea generale, il carattere della perentorietà può essere riconosciuto a una scadenza temporale solo da un’espressa norma di legge, sicché, in assenza di una specifica disposizione che lo preveda come perentorio, il termine va inteso come sollecitatorio o ordinatorio e il suo superamento non determina l’illegittimità dell’atto, tuttavia la particolarità del procedimento sanzionatorio rispetto al generale paradigma del procedimento amministrativo conduce a diverse conseguenze, attesa la stretta correlazione sussistente tra il rispetto di quel termine e l’effettività del diritto di difesa, avente protezione costituzionale (nel combinato disposto degli articoli 24 e 97 della Costituzione).

Consentire, invero, nei procedimenti sanzionatori, l’adozione del provvedimento finale entro il lungo termine prescrizionale (cinque anni, ex articolo 28 Legge n. 689/1981), anziché nel rispetto del termine specificamente fissato per la sua adozione, equivarrebbe a esporre l’incolpato a un potere sanzionatorio di fronte al cui tardivo esercizio potrebbe essergli difficoltoso approntare in concreto adeguati strumenti di difesa, laddove l’esercizio di una potestà sanzionatoria, di qualsivoglia natura, non può restare esposta sine die all’inerzia dell’autorità preposta al procedimento, per elementari esigenze di sicurezza giuridica e di prevedibilità in tempi ragionevoli delle conseguenze dei propri comportamenti.

Né è escluso che la esigenza di fissazione di termini perentori a pena di decadenza possa essere soddisfatta, nel rispetto del principio di legalità sostanziale, da atti normativi secondari o generali a ciò autorizzati o al limite anche in sede di avvio del procedimento, con una autolimitazione della successiva attività.

Consiglio di Stato, sezione II, 11 marzo 2022, n. 1723

 

PAESAGGIO

Paesaggio – Autorizzazione paesaggistica – Motivazione. (Costituzione, articolo 97; Legge 7 agosto  1990 , n.  241 , articolo 3; Dlgs 22 gennaio 2004 n. 42).

Secondo la pronuncia in esame, resa dal Tar Puglia-Lecce, affinché un provvedimento di diniego di autorizzazione paesaggistica possa considerarsi legittimo sotto il profilo dell’adeguatezza della motivazione, nel rispetto del principio scolpito nell’articolo 3 L. n. 241/1990, che costituisce il precipitato normativo di fonte legislativa al principio costituzionale di cui all’articolo 97 Cost., deve contenere una puntuale manifestazione delle ragioni tecnico-giuridiche che costituiscono il complesso impeditivo alla realizzazione dell’opera con riferimento alla quale l’autorizzazione è richiesta.

La motivazione, invero, deve corrispondere ad un modello che contempli la descrizione dell’edificio e del progetto, del contesto paesaggistico in cui esso si colloca e del rapporto tra edificio e contesto, teso a stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio.

E cioè a dire, sempre in tema di determinazioni paesaggistiche, l’amministrazione deve esternare adeguatamente l’avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall’altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto.

La tutela del paesaggio, avente valore costituzionale e funzione di preminente interesse pubblico, è nettamente distinta da quella dell’urbanistica ed in tale ottica la funzione dell’autorizzazione paesaggistica è quella di verificare la compatibilità dell’opera edilizia che si intende realizzare con l’esigenza di conservazione dei valori paesistici protetti dal vincolo, dovendo l’autorità preposta unicamente operare un giudizio in concreto circa il rispetto da parte dell’intervento progettato delle esigenze connesse alla tutela del paesaggio stesso.

La normativa vigente (D.Lgs. n. 42/2004), d’altronde, non sancisce in modo automatico l’incompatibilità di un qualunque intervento sul territorio con i valori oggetto di tutela per cui, nelle ipotesi in cui l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo sia chiamata a valutare l’effettiva consistenza e la localizzazione dell’intervento, al fine di confermare o escludere la concreta compatibilità dello stesso con i valori tutelati nello specifico contesto di riferimento, non può ritenersi sufficiente il generico richiamo all’esistenza del vincolo, essendo al contrario necessario un apprezzamento di compatibilità da condurre sulla base di rilevazioni e di giudizi puntuali.

Tar Puglia, Lecce, sezione I, 8 marzo 2022, n. 383

 

PERMESSO DI SOGGIORNO

Permesso di soggiorno – Procedimento – Garanzie partecipative. (Legge 7 agosto 1990, n. 241, articoli 7, 10-bis, 21-octies; Dl 16 luglio 2020, n. 76, articolo 12)

È centrale nella decisione qui in esame, resa dal G.A. di Milano, la questione riguardante la violazione dell’articolo 10-bis Legge n. 241/1990 (omessa comunicazione del preavviso di rigetto) in riferimento ad un procedimento per il rilascio, in favore del richiedente, del permesso di soggiorno di natura temporanea.

La domanda a tal fine presentata era stata dichiarata inammissibile per la carenza di atti e documenti indispensabili (passaporto, permesso di soggiorno scaduto di validità, rapporto lavorativo in un uno dei tre comparti elencati dalla normativa di riferimento e indicazione della dimora abituale) e, secondo il Collegio giudicante, era onere dell’Amministrazione quello di comunicare il preavviso di rigetto, così da consentire al soggetto interessato di poter interloquire e addurre gli elementi in proprio favore, eventualmente integrando la documentazione mancante o esponendo le ragioni per le quali le riscontrate carenze non fossero da considerare ostative al rilascio del permesso in suo favore.

Né assume rilievo in senso contrario la circostanza che si trattava di un procedimento a esito vincolato, poiché tale aspetto non impedisce all’amministrato di addurre elementi fattuali in grado di orientare diversamente l’azione dell’Amministrazione.

Non solo. Sussiste l’obbligo di avviso dell’avvio del procedimento (ex articolo 7 Legge n. 241/1990) anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa.

Non è rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all’amministrazione l’inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria.

È illegittimo il provvedimento vincolato emesso senza che sia stata offerta al destinatario dello stesso provvedimento la preventiva comunicazione di avvio del procedimento, ove dal giudizio emerga che l’omessa comunicazione del procedimento avrebbe consentito al privato di dedurre le proprie argomentazioni, idonee a determinare l’emanazione di un provvedimento con contenuto diverso.

L’articolo 12, I, lettera i), Dl n. 76/2020 ha modificato l’articolo 21-octies, II, Legge n. 241/1990, precisando che la disposizione di cui al secondo periodo dell’articolo 21-octies (relativa ai provvedimenti adottati in seguito a violazioni procedimentali per i quali l’Amministrazione dimostri in giudizio che il loro contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato) non si applica al provvedimento assunto in violazione dell’articolo 10-bis Legge n. 241/1990.

Tar Lombardia, Milano, sezione IV, 8 marzo 2022, n. 548

 

RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA P.A.

Responsabilità civile della Pa – Risarcimento danni – Onere della prova. (Cc, articoli 2043, 2697; Dlgs 2 luglio 2010, n.104, articolo 64)

Il Tar Napoli, intervenuto in una vicenda di espropriazione per pubblica utilità, ha sottolineato come, nel giudizio risarcitorio che si svolge innanzi al Giudice Amministrativo, nel rispetto del principio generale sancito dal combinato disposto dell’articolo 2697 del Cc (secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda) e degli articoli 63, comma 1, e 64, comma 1, Dlgs n. 104/2010 (secondo cui l'onere della prova grava sulle parti che devono fornire i relativi elementi di fatto di cui hanno la piena disponibilità), il ricorrente che chiede il risarcimento del danno deve fornire la prova dei fatti base costitutivi della domanda. Di conseguenza sulla parte ricorrente (presunta danneggiata) grava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell'amministrazione per fatto illecito delineata dall'articolo 2043 c.c. nel cui alveo deve essere ricondotta la domanda risarcitoria formulata per danni derivanti dall'illegittimo od omesso svolgimento dell'attività amministrativa di stampo autoritativo.

È quindi necessario verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, così individuabili: a) il fatto illecito; b) l'evento dannoso ingiusto ed il danno patrimoniale conseguente; c) il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito; d) la "colpa" dell'apparato amministrativo, dovendosi individuare, anche in tema di responsabilità della P.A. da attività amministrativa illegittima, l'elemento soggettivo (colpa oppure dolo) richiesto dall'articolo 2043 c.c..

Nell'azione di responsabilità per danni innanzi al Giudice Amministrativo, dunque, il principio dispositivo (sancito in generale dall'articolo 2697, comma 1, c.c.) opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex articolo 64, commi 1 e 3, D.Lgs. n. 104 del 2010); quest'ultimo, in tanto si giustifica, in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo.

Tar Campania, Napoli, 8 marzo 2022, n. 1587

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