Civile

Concessioni per l'occupazione di suolo pubblico: formazione progressiva del contratto e clausole penali

Oggetto del contendere era rappresentato dall'occupazione temporanea di suolo pubblico (OSP), rilasciata da Roma Capitale ad ARETI S.p.a, concessionaria di pubblico servizio, al fine di operare scavi nel territorio comunale nello svolgimento dei compiti propri della concessionaria

di Filippo Maria Salvo*

Per quanto attiene alle concessioni per l'occupazione di suolo pubblico, l'istanza del concessionario che si obblighi a rispettare il regolamento comunale in materia di OSP integra la "forma scritta ad substantiam" di cui all'art. 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, ove seguita da conforme provvedimento di concessione.

Questo l'insegnamento che emerge dalla sentenza n. 9775 del 25 marzo 2022, con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono tornate a pronunciarsi sul tema della forma dei contratti pubblici.

Oggetto del contendere era rappresentato dall'occupazione temporanea di suolo pubblico (OSP), rilasciata da Roma Capitale ad ARETI S.p.a, concessionaria di pubblico servizio, al fine di operare scavi nel territorio comunale nello svolgimento dei compiti propri della concessionaria.

Tale OSP, secondo l'amministrazione comunale, non era stata correttamente adempiuta da parte della concessionaria, per avere, questa, ritardato la riconsegna dei luoghi.

Il ritardo rilevato da Roma Capitale ha comportato l'irrogazione a carico di ARETI delle misure previste dall'allora "Regolamento Cavi" di Roma, di cui alla delibera di Consiglio Municipale n. 56 del 17 maggio 2002.

Tale Regolamento irrogava sanzioni di carattere amministrativo (art. 25) ed altre misure consistenti (ivi, art. 26) in "penali di natura civilistica, fermo restando il risarcimento del danno".

Ad avviso della concessionaria, tali "penali di natura civilistica" avrebbero dovuto, invece, qualificarsi come vere e proprie sanzioni di natura pubblicistica, con il che la legittimità della loro irrogazione avrebbe dovuto essere verificata alla luce della normativa applicabile.Secondo Roma Capitale, invece, le misure contestate sarebbero consistite in vere e proprie penali civilistiche, seppure imposte dal suddetto Regolamento.

Premesso che, attualmente, la materia è regolata dal (nuovo) "Regolamento Scavi" di cui alla delibera del Commissario straordinario n. 21 del 31 marzo 2016 (e ss.mm.ii.), ad avviso della Suprema Corte, la tesi di Roma Capitale è quella corretta.

I presupposti della concessione di OSP.

Per quanto attiene all'occupazione di strade a mezzo sottoservizi o attraversamenti, anche aerei, la Corte osserva, in primo luogo, che, in forza dell'art. 25, comma 1, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 e dell'art. 67, comma 5, del d.p.r. 16 dicembre 1992, n. 495, il suo necessario presupposto è rappresentato dall'esistenza di una valida concessione.

Tale concessione deve essere rilasciata da parte dell'Ente proprietario della strada e deve contenere gli elementi indicati dal suddetto art. 67.

Orbene, richiamando pregressa giurisprudenza, la Suprema Corte ha rammentato che, nella fattispecie, viene a delinearsi l'istituto della "concessione-contratto".

Secondo le Sezioni Unite, in particolare, la concessione-contratto "è caratterizzata dalla contemporanea presenza di elementi pubblicistici e privatistici, per effetto della quale … un soggetto privato può divenire titolare di prerogative pubblicistiche, mentre l'Amministrazione viene a trovarsi in una posizione particolare e privilegiata rispetto all'altra parte, in quanto dispone, oltre che dei pubblici poteri che derivano direttamente dalla necessità di assicurare il pubblico interesse in quel particolare settore al quale inerisce la concessione, anche dei diritti e delle facoltà che nascono comunemente dal contratto …, tra i quali può essere previsto anche quello di esigere dalla controparte il pagamento di una penale in caso l'inadempimento degli obblighi posti a suo carico".

A tal riguardo, la Cassazione osserva pure che anche la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto lecita e legittima la previsione di "penali contrattuali" all'interno della concessione-contratto, dovendosi compendiare l'istituto privatistico del contratto con l'esercizio del pubblico potere che ne è alla sua base.

In un tale scenario giuridico, il contratto di concessione rappresenta uno strumento ausiliario dell'esercizio del pubblico potere.

La stessa l. 7 agosto 1990, n. 241 (art. 11), d'altronde, rammenta la Cassazione, codifica l'istituto degli "accordi con contenuto patrimoniale, ma afferenti al previo esercizio di potestà pubbliche". Quando questi vengono in essere, pur essendo chiara la natura latamente contrattuale dell'atto bilaterale, volto a regolare aspetti patrimoniali, l'inosservanza delle condizioni concordate si riflette anche sull'interesse pubblico, che costituisce la causa della concessione.

Chiarito quanto sopra, la Corte, infine, afferma che la "penale", nell'ambito della concessione-contratto, svolge una duplice funzione: quella di sanzione irrogata per la frustrazione dell'interesse pubblico e quella (civilistica) di determinazione preventiva e consensuale della misura del risarcimento del danno per inadempimento.

La forma scritta ad substantiam.

La sentenza in nota afferma anche il seguente principio: "ai fini della individuazione della forma dei contratti stipulati da una Pubblica Amministrazione va ascritto specifico rilievo agli artt. 16 e 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440.

L'art. 16, primo comma, del citato r.d. n. 2440 del 1923, contempla la c.d. "forma pubblica amministrativa" ("I contratti sono stipulati da un pubblico ufficiale delegato a rappresentare l'amministrazione e ricevuti da un funzionario designato quale ufficiale rogante, con le norme stabilite dal regolamento").

Il successivo art. 17 disciplina la stipulazione dei "contratti a trattativa privata", i quali, oltre a poter assumere la forma indicata dall'art. 16, "possono anche stipularsi: per mezzo di scrittura privata firmata dall'offerente e dal funzionario rappresentante l'amministrazione; per mezzo di obbligazione stesa appiedi del capitolato; con atto separato di obbligazione sottoscritto da chi presenta l'offerta; per mezzo di corrispondenza, secondo l'uso del commercio, quando sono conclusi con ditte commerciali".

Dal combinato disposto di tali norme, la giurisprudenza, come già ricordato, da sempre fa discendere la necessità della forma scritta ad substantiam" per i contratti di cui sia parte una pubblica amministrazione.

Non serve la contestualità.

Le Sezioni Unite, infine, pur dando atto della presenza di due orientamenti contrastanti, sul punto, affermano la tesi per cui non è indispensabile che il contratto con la p.a. sia "contestuale" (incarnato in un unico documento contrattuale).

E' sufficiente, affinché si formi il detto vincolo e sorga la fattispecie contrattuale, anche la formazione progressiva del contratto, mediante scambio (e piena "sovrapponibilità") di proposta ed accettazione.

Conseguentemente, le Sezioni Unite affermano il seguente principio, relativo alla "concessione temporanea per l'occupazione di suolo pubblico in favore di un soggetto privato", ma, in realtà, estensibile anche ad altre ipotesi: "l'istanza del concessionario, con espressa assunzione dell'obbligo di rispettare anche gli impegni relativi allo scavo sanzionati con clausola penale, recepita da un regolamento comunale, per il relativo inadempimento o ritardo nell'adempimento, cui faccia seguito il rilascio del provvedimento amministrativo che richiami detto obbligo, dà luogo ad una convenzione accessiva alla concessione validamente stipulata in forma scritta ad substantiam, in base alla disposizione di cui all'art. 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440".Concessione-contratto e forma scritta.

La concessione di bene pubblico, intesa come contratto, ha delle caratteristiche sue proprie indefettibili, in assenza delle quali la giurisprudenza non ha ritenuto potersi individuare un valido vincolo contrattuale.

Ovviamente, è, prima di tutto, indispensabile la titolarità del potere concessorio in capo all'amministrazione concedente, posto che anche nei contratti con la p.a. trova applicazione la "...regula iuris di diritto comune - ma, all'evidenza, valida anche in diritto pubblico - per cui nemo plus iuris in alium transferre potest, quam ipse habet, (D. 50.17.54 – Ulpianus, liber XLVI, Ad edictum" (Cons. Stato, II, 12 maggio 2020, n. 2999).

Come, poi, si è appena detto, serve la forma scritta, perché la concessione è un contratto stipulato da almeno una amministrazione pubblica (Cass, civ., I, 29 settembre 2000, n. 12942), anche per quanto attiene al rinnovo della concessione (TAR Lazio, I, 11 gennaio 2018, n. 313), dovendosi disconoscere qualunque possibilità di stipula o di rinnovo "per facta concludentia" (TAR Ct, 7 dicembre 2012, n. 2851) o sulla base di "atti interni alla p.a.", quali delibere, istruzioni, comunicazioni e simili (Corte App. Genova, sez. I, 18 marzo 2022, n. 303).

Come, poi, nota CTP Lecce, sez. II, n. 1097, 15 marzo 2018: "sulla base dell'oggetto si distinguono, tra l'altro, le concessioni di potestà, di onorificenze, le concessioni di beni pubblici e di servizi pubblici. Sul piano funzionale, le concessioni sono atti con i quali la p.a. provvede indirettamente alla gestione di una determinata attività, con l'attribuzione in via esclusiva ad un privato dei relativi poteri e facoltà". infine, ma non meno importante, la durata; un elemento giuridico indispensabile per completare nei loro elementi essenziali sia la "parte provvedimentale" che quella "contrattuale" della concessione, che in difetto non può ritenersi validamente perfezionata (Cons. Stato, IV, 24 luglio 2019, n. 5231).

Per la Sezione Tributaria "non serve" nemmeno il contratto.

Secondo le Sezioni Unite, dunque, la forma scritta dei contratti in cui è parte una p.a. è soddisfatta anche se il contratto in questione scaturisce dalle contrapposte dichiarazioni unilaterali di parte.

In realtà, però, la stessa giurisprudenza di Cassazione afferma che, almeno in un caso, il vincolo contrattuale non è necessario perché un determinato soggetto possa essere qualificato come "concessionario" di un bene pubblico.

E', questa, la situazione in cui, almeno secondo la Sezione Tributaria, si troverebbero i Consorzi di bonifica. Secondo la Sezione, "i consorzi di bonifica sono concessionari ex lege (tanto prevederebbe il Regio Decreto 13 febbraio 1933, n. 215, sebbene questo in nulla regoli qualsivoglia aspetto contrattuale), dei beni demaniali loro affidati per l'espletamento dell'attivita' istituzionale di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica e di preservazione idraulica" (v., ad es., Cass. Trib., 30 maggio 2018, n. 13609).

Questa tesi, che viene ripetuta ininterrottamente dalla Sezione Tributaria a partire dal 2014, sembra del tutto incoerente con i principi affermati dalle Sezioni Unite sopra citate e con le norme da queste prese in considerazione.

La speranza è che quest'ultimo arresto porti a più illuminate considerazioni.

*di Filippo Maria Salvo, Avvocato in Roma e Partner24Ore Avvocati


Per saperne di piùRiproduzione riservata ©