Il CommentoAmministrativo

Gli effetti dell'informativa antimafia sui contratti di appalto di servizi in itinere

Nota all'Adunanza Plenaria n. 14/2021

di Laura Guerzoni

Il caso esaminato si riferisce a una società che era stata titolare di diversi appalti di servizi con la Pubblica Amministrazione, cessati su recesso della committente motivato da un provvedimento prefettizio di interdittiva antimafia che aveva colpito la medesima società appaltatrice.

A seguito del recesso da parte della P.A., la società appaltatrice chiedeva il pagamento delle somme dovute a titolo di revisione dei prezzi degli appalti in oggetto.

La questione è stata affrontata dal Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria ed ha riguardato la corretta interpretazione dell'art. 67 del d. lgs. n. 159/2011 , c.d. codice antimafia, con riferimento agli effetti preclusivi che l'informativa interdittiva antimafia determina in capo al suo destinatario nei rapporti con la P.A. e degli artt. 92 e 94 della medesima fonte normativa, che disciplinano i rapporti contrattuali in corso al tempo dell'informativa del Prefetto.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa ha promosso un intervento chiarificatore dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, al fine di completare l'esatta interpretazione degli articoli citati, ai sensi dell'art. 99 c.p.a.

Ed infatti, la pronuncia dell'Adunanza plenaria affronta alcuni aspetti dell'interdittiva antimafia, che non erano stati ancora valutati dal supremo consesso.

In materia, si ritrovano due precedenti decisioni rese entrambe dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria, quali la n. 3 del 6 aprile 2018 e la n. 23 del 26 ottobre 2020.

La pronuncia n. 3/2018 enuncia il principio secondo cui l'art. 67, co. 1, lett. g) del codice delle leggi antimafia intende impedire ogni attribuzione patrimoniale da parte della P.A. (ogni "esborso di matrice pubblicistica") a favore di imprese colpite da interdittiva prefettizia. Tale pronuncia non ha tuttavia preso in considerazione le norme dello stesso codice antimafia che regolano i rapporti contrattuali in itinere.

La decisione n. 23/2020 esamina invece le norma 92 e 94 del c.d. codice antimafia, che prevedono specifiche deroghe al principio espresso dalla decisione sopra citata, facendo salvo, per il caso di recesso contrattuale indotto dal sopraggiungere di un'informazione antimafia di segno interdittivo a carico del privato contraente, il pagamento del valore delle opere già eseguite nonché il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.
Secondo tale pronuncia, tali norme sono norme di eccezione e come tali di stretta interpretazione.

Quindi, con l'ordinanza di remissione nel giudizio in esame, si chiede di valutare l'esatta individuazione del "valore delle opere già eseguite" con particolare riferimento agli appalti pubblici di servizi, connotati da prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate, come debba essere inteso "il valore dei servizi resi" e cioè se debba tenersi conto solo del prezzo dedotto in contratto o dell'effettivo valore economico delle prestazioni, che deve essere quantificato anche con riferimento alla revisione dei prezzi che hanno interessato le opere realizzate ed i servizi erogati.

Illustrata la questione in esame, prima di riportare le argomentazioni e le statuizioni contenute nella pronuncia del Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, n. 14 del 6 agosto 2021 ed esporre le relative conclusioni, occorre trattare l'istituto dell'interdittiva antimafia in generale.

Sul sistema di documentazione antimafia previsto dal d. lgs. n. 159/2011, c.d. codice antimafia.

Il sistema della documentazione antimafia si basa su due differenti misure di prevenzione al fenomeno mafioso, quali la comunicazione e l'informazione antimafia, entrambe disciplinate dal d. lgs. n. 159/2011, c.d. codice antimafia.

Si tratta di due distinti strumenti giuridici: le informazioni antimafia, disciplinate dagli artt. 90-95 del c. d. codice antimafia, sono previste in materia di contratti pubblici, concessioni e sovvenzioni, allo scopo di prevenire le infiltrazioni mafiose nelle attività economiche nei rapporti dei privati con le pubbliche amministrazioni; le comunicazioni antimafia, disciplinate dall'art. 89, co. 2, lett. a e lett. b della medesima fonte normativa, hanno invece l'obiettivo di inibire l'esercizio dell'attività economica nei rapporti tra i privati stessi, in quanto sono richieste per l'esercizio di qualsiasi attività soggetta a un atto di autorizzazione, comunque denominato.

Il c.d. codice antimafia ha la finalità di tutela dell'ordine pubblico contro il crimine organizzato. Tale finalità di pubblica sicurezza ha giustificato la deroga da parte degli istituti della legislazione antimafia alle generali disposizioni del procedimento amministrativo di cui alla l. n. 241/1990, con un'attenuazione delle garanzie partecipative nei procedimenti di applicazione delle misure interdittive, ora modificata con l'entrata in vigore del l. n. 233 del 2021 (cfr. infra).

Per la medesima funzione di contrasto al fenomeno mafioso, la disciplina degli istituti in esame ha una portata derogatoria anche sul piano processuale quanto alla giurisdizione, che viene riconosciuta al giudice amministrativo, anche per provvedimenti vincolati emessi dalle pubbliche amministrazioni in fase di esecuzione del rapporto contrattuale e quanto alla competenza, che si radica in capo al tribunale amministrativo regionale, ove ha sede la Prefettura che ha emesso il provvedimento antimafia, anche in presenza di impugnazioni di diversi atti di revoca, recesso e decadenza da parte di amministrazioni sparse sull'intero territorio nazionale (per esigenza del simultaneus processo).

Sulla comunicazione antimafia e informativa antimafia

L'art. 84, co. 1, del d. lgs. n. 159/2011, c.d. codice antimafia, disciplina la comunicazione antimafia e dispone che la stessa consiste nell'attestazione della sussistenza di un provvedimento definitivo, emanato da una autorità giudiziaria, che applica una misura di prevenzione personale prevista dal c.d. codice antimafia.

Tale comunicazione ha quindi contenuto vincolato. La stessa ha efficacia interdittiva rispetto a tutte le iscrizioni e ai provvedimenti autorizzativi, concessorie, o abilitativi per lo svolgimento di attività imprenditoriali, nonché a tutte le attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività (c.d. S.c.i.a.) e alla disciplina del silenzio assenso, disciplinate dall'art. 89, co. 2, lett. a e lett. b del d. lgs. 159/2011, c.d. codice antimafia.

L'informativa antimafia è prevista dal medesimo citato articolo.
Il legislatore ha stabilito che tale misura di prevenzione, oltre ad avere un contenuto analogo alla comunicazione antimafia - ovvero consistere nella attestazione di un provvedimento giurisdizionale di prevenzione definitivo -, riporta l'esistenza, ritenuta dal Prefetto, di un tentativo di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa, desumibile o dai provvedimenti e dagli elementi tipizzati nell'art. 84, co. 4, del d. lgs 159/2011, c.d. codice antimafia, o dai provvedimenti di condanna non definitivi per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali, unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.

Pertanto, l'informazione antimafia, a differenza della comunicazione antimafia, nasce da una valutazione discrezionale dell'autorità prefettizia.

La separazione di ambiti tra i due provvedimenti – con limitazione degli effetti della informativa antimafia nei rapporti tra privati - è stata superata dall'introduzione dell'art. 89 bis del d. lgs. 159/2011, c.d. codice antimafia (introdotto con il d. lgs. n. 153/2014) e dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, confortata da quella della Corte Costituzionale, che hanno definito la portata applicativa della nuova norma.

L'introduzione dell'art. 89 bis citato e la giurisprudenza in argomento rispondono all'esigenza di contrastare la criminalità organizzata anche in quelle ipotesi del settore dell'economia privata in cui la normativa antimafia non permetteva di intervenire, in quanto, al di fuori dei casi di comunicazione antimafia emessa per misure di prevenzione definitive.

Nelle pronunce del Consiglio di Stato, Sez. III, dell'8 febbraio 2017, n. 565 e Sez. III, dell'8 marzo 2017, n. 1109 , il collegio ha superato la bipartizione e alternatività tra le comunicazioni antimafia e informative antimafia – prevista dal c.d. codice antimafia, secondo cui le comunicazioni antimafia erano applicabili alle autorizzazioni, mentre l'informativa antimafia ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni -, estendendo gli effetti della informativa antimafia anche ai provvedimenti autorizzatori (c.d. economia privata).

Nella motivazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 565/2017, si legge che: "lo stato non riconosce dignità e statuto di operatori economici, e non più soltanto nei rapporti con la pubblica amministrazione, a soggetti condizionati, controllati e infiltrati ed eterodiretti dalle associazioni mafiose" e ancora "il metodo mafioso è e resta tale, per un essenziale principio di uguaglianza sostanziale prima ancora che di logica giuridica, non solo nella contrattazioni con la pubblica amministrazione, ma anche tra privati, nello svolgimento della libera iniziatica economica".

L'orientamento giurisprudenziale espresso dal Consiglio di Stato è stato condiviso anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 18 gennaio 2018, n. 4 , in cui la Corte ha statuito che: "nel contesto del d. lgs. n. 159/2011 e sulla base della legge delega n. 136 del 2010, nulla autorizza – quindi - a pensare che il tentativo di infiltrazione mafiosa, acclarato mediate l'informazione antimafia interdittiva, non debba precludere anche le attività di cui all'art. 67, oltre che i rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione, se così il legislatore ha stabilito".

Sugli effetti dell'informativa antimafia

Ai sensi dell'art. 67, del d. lgs. n. 159/2011, c. d. codice antimafia: "le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste (...) non potrà ottenere: contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali".

Sulla base della norma citata, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ricostruito gli effetti prodotti dall'informativa antimafia in capo al suo destinatario.

Il principale effetto prodotto dal provvedimento di interdittiva antimafia è stato individuato nell'incidenza sulla capacità giuridica del destinatario che non può più essere titolare di specifici diritti, uffici o rapporti con enti pubblici .

Con la pronuncia del 6 aprile 2018 n. 3, l'Adunanza plenaria ha precisato che l'incapacità conseguente ad un provvedimento interdittivo antimafia è una forma di incapacità giuridica legale, parziale e temporanea.

Trattasi di una incapacità giuridica dettata dal legislatore per garantire valori fondamentali riconosciuti dalla Costituzione.

La stessa è parziale, perché è limitata ai rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione e limitatamente a quelli di natura contrattuale, espressamente indicati dalla legge (art. 67, d.lgs. n. 159/2011, c. d. codice antimafia).

Ed infatti, l'art. 67 del d. lgs. n. 159/2011, c. d. codice antimafia, definisce le tipologie di rapporti giuridici che il destinatario della misura interdittiva non può acquistare o rispetto ai quali perde la titolarità di posizioni giuridiche soggettive (facoltà e poteri).

Tale forma di incapacità è temporanea, poichè può venir meno a seguito di un successivo provvedimento dell'autorità amministrativa competente, ovvero il Prefetto.
Di recente, il Consiglio di Stato ha approfondito alcune rilevanti questioni sempre in materia di effetti dell'interdittiva antimafia.

Nella citata pronuncia del Consiglio di Stato, Ad. plen., del 6 aprile 2018 n. 3 , la sezione remittente ha posto la questione della possibilità da parte della P.A. di erogare somme di denaro a titolo di risarcimento per la mancata stipulazione di un contratto di appalto, in favore di un soggetto destinatario di un'informativa interdittiva antimafia, conosciuta solo successivamente alla formazione del giudicato.

L'alto consesso, richiamando la propria precedente decisione n. 9/2012, ha evidenziato come l'espressione «altre erogazioni dello stesso tipo» usata dal legislatore nell'art. 67, del d.lgs. n. 159/2011, c. d. codice antimafia, debba essere intesa nel senso di ricomprendere anche l'impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all'attività di impresa, posto che "la disposizione non solo ricomprende le erogazioni dirette ad arricchire l'imprenditore colpito da interdittiva, ma anche quelle dirette a compensarlo parzialmente di una perdita subita, sussistendo per entrambe il pericolo che l'esborso giovi ad un'impresa soggetta ad infiltrazioni criminali".

L'Adunanza plenaria ha riportato in un'unica categoria tutte le obbligazioni pubbliche, caratterizzate dalla presenza di una parte pubblica nel rapporto obbligatorio, a prescindere dalla loro natura e dalla loro causa, senza distinzione tra i contributi, i finanziamenti, i mutui e le altre forme agevolative e il corrispettivo di un contratto o a quello dovuto per un danno contrattuale o extracontrattuale.

Sempre secondo l'Adunanza plenaria, l'effetto prodotto dall'informativa antimafia incide sulla "idoneità" dell'imprenditore ad essere titolare, ovvero a persistere nella titolarità nel diritto di credito (e non sull'obbligazione dell'amministrazione) e pertanto, il soggetto colpito dalla misura interdittiva risulta essere incapace ad assumere o a mantenere (per il tempo di durata degli effetti dell'interdittiva) la titolarità di tutte le posizioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi), comunque riconducibili all'ambito delineato dall'art. 67 del d. lgs. n.159/2011, c.d. codice antimafia (cfr. anche Consiglio di Stato Sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3247).

Da ciò ne consegue l'impossibilità di far valere il diritto interdetto nei confronti del debitore, con esclusione anche della tutela del credito in sede giurisdizionale.

Un'altra recente pronuncia del Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, è la n. 23 del 26 ottobre 2020 , che prende in considerazione le conseguenze dell'interdittiva antimafia con riferimento ai rapporti in corso.

Il tema esaminato dal Consiglio di Stato riguarda l'art. 92, del d.lgs. n. 159/2011, c.d. codice antimafia, che prevede al co. 3 la facoltà per i soggetti di cui all'art. 83, co. 1 e 3, della medesima normativa, di revocare le autorizzazioni e le concessioni o di recedere dai contratti "fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite".

Secondo l'Adunanza plenaria, l'esigenza di non pregiudicare l'interesse pubblico e i valori costituzionalmente tutelati dalla normativa antimafia, impongono che tali norme debbano considerarsi eccezionali, e come tali di stretta interpretazione.

Il consiglio quindi afferma che, in ragione del dato letterale della norma che richiama le "opere già eseguite" e la locuzione "utilità conseguite", la salvezza dei pagamenti non può essere estesa anche ai finanziamenti e ai contributi, posto che la stessa "deve essere intesa in un senso più limitato e strettamente patrimoniale, tale da applicarsi alle sole opere, servizi o forniture che accrescono il patrimonio dell'amministrazione e che per quest'ultima rappresentano un valore economicamente valutabile".

Il Consiglio di Stato riconduce l'espressione "utilità conseguite" alle opere o ai servizi che accrescono il patrimonio della Pubblica Amministrazione e ritiene applicabile la clausola di cui al co. 3 dell'art. 92 citato ai soli contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture commissionati dall'Amministrazione e non anche alle pubbliche sovvenzioni.

Conforme a tale orientamento è la giurisprudenza amministrativa successiva alla pronuncia in esame n. 23 del 26 ottobre 2020 (tra le tante, TAR della Lombardia, del 31.3.3022, n. 727; TAR della Sicilia, del 19.1.2022, n. 91; TAR Puglie, del 24.1.2022, n. 130; Cons. Stat., Sez. III, n. 21, del 4.1.2022; Cons. Stat., Ad. Plen., del 28.1.2022, n. 3)

Sul valore delle opere eseguite da pagarsi all'esecutore nei limiti delle utilità conseguite della stazione appaltante in caso di interdittiva antimafia, ai sensi degli artt. 92 co. 3 e 94 co. 2 del d. lgs. n. 159/2011.

La questione preliminare esaminata dall'Adunanza plenaria nella pronuncia in esame n. 14 del 6 agosto 2021 riguarda il valore del rimborso delle opere eseguite a seguito del recesso del contratto da parte della P.A. in ragione dell'intervenuta informativa interdittiva antimafia nei confronti dell'appaltante.

In primo luogo, l'Adunanza plenaria si sofferma sull'esame della normativa del c.d. codice antimafia e riporta i principi giurisprudenziali affermati in argomento.

L'Adunanza precisa che "l'informativa interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità giuridica ex lege parziale e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto (persona fisica o giuridica) è precluso avere con la Pubblica Amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall'art. 67 co. 1, lett. g) d. lgs. n. 159/2011, nella parte in cui prevede il divieto di ottenere "contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali" e dunque "qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A., quale che ne sia la fonte e la causa, per il tempo di durata degli effetti dell'interdittiva (Cons. St., Sez. III, 4 giugno 2021, n. 4293). "

Eccezione al detto principio è contenuta nel disposto degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 che prevedono testualmente che i soggetti di cui all'art. 83 "revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite".

Il problema è quindi quello di stabilire che cosa debba intendersi per "valore delle opere (o servizi) già eseguite", pagabili al contraente privato interdetto "nei limiti delle utilità conseguite" dall'Amministrazione e dunque, se si debba tener conto solo del prezzo pattuito come desumibile dal contratto stipulato tra le parti o invece, anche al prezzo quale risultante dall'applicazione della revisione dei prezzi.

Il Consiglio di Stato riporta quanto statuito nell'Adunanza plenaria n. 23 del 26 aprile 2020, che afferma il carattere eccezionale della disciplina della documentazione antimafia, precisando che il "complessivo sistema normativo disciplinante l'informativa antimafia e le sue conseguenze (posto, lo si ribadisce, a tutela di essenziali valori costituzionali) costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione (ex art. 14 disp. prel. cod. civ.: v. Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2011 n. 5799)."

L'Adunanza plenaria chiarisce che "Le eccezioni di cui agli artt. 92 co. 3 e 94, co. 2, c.d. codice antimafia, rappresentano una precisa scelta del legislatore che si giustifica in ragione di un "bilanciamento" delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto disposta in assenza di informativa antimafia. Se è pur vero che la stipula del contratto e la sua esecuzione sono avvenute "sub condicione", è altrettanto vero che appare confliggente con evidenti ragioni di equità, oltre che con i princìpi dell'attribuzione causale, addossare tutto il peso delle conseguenze di ciò in capo al privato contraente, consentendo all'amministrazione, che pure ha tenuto un comportamento non coerente con le disposizioni normative (il ritardo nell'informativa antimafia) di conseguire un indebito arricchimento."

In base a tali principi, con l'espressione "utilità conseguite" non si intende riconoscere diritti soggettivi o interessi legittimi sorti in capo al destinatario dopo l'adozione dell'interdittiva antimafia, ma "il diritto di quest'ultimo a vedersi corrisposto un compenso limitato all'utilità conseguita dall'amministrazione, onde evitare che quest'ultima, dall'esecuzione dell'opera, o dalla prestazione di servizi possa trarre un ingiustificato arricchimento", in applicazione dei principi generali in materia del nostro ordinamento (art. 2041 cod. civ.).

Rispetto al caso in esame, di appalti di servizi, l'Adunanza plenaria inoltre osserva che "Nell'appalto di servizi, in cui l'aggiudicazione e quindi la determinazione del prezzo contrattuale seguono a una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti."

Ciò in quanto, "Il prezzo contrattuale, stabilito a seguito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, deve (infatti) ritenersi coincidente con il miglior prezzo di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione. Finalità della gara è proprio quella di individuare il contraente che offra un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che la pubblica amministrazione intende acquisire per soddisfare i bisogni che la hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica. Nei contratti di prestazione periodica o continuativa di servizi, quindi, il prezzo tende a coincidere con il valore della prestazione, e sarebbe connotata da profili patologici una situazione in cui la pubblica amministrazione si trovasse a pagare un prezzo che sotto il profilo economico si allontanasse oltre misura dal valore dell'utilità che la stessa abbia, di fatto, a conseguire."

L'Adunanza plenaria aggiunge anche, con riferimento al secondo limite delle "utilità conseguite", che "la peculiarità dell'appalto di servizi (…), connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e "ripetitive" nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità, ed è perciò ben difficile che le prestazioni eseguite prima del recesso e non ancora pagate abbiano una "utilità" diversa dalle prestazioni periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte della stazione appaltante, di aver conseguito dalle prestazioni ripetitive già eseguite e non ancora pagate una utilità inferiore rispetto alle prestazioni periodiche già eseguite e pagate."

Sulla determinazione del valore da pagare per le prestazioni eseguite, ai sensi degli artt. 92, co. 3 e 94 co. 2 del d. lgs n. 159/2011 e se debba intendersi ricompresa la revisione dei prezzi.

Esposte le premesse sopra riportate, l'Adunanza plenaria affronta lo specifico quesito se, nella determinazione del prezzo contrattuale, con particolare riferimento agli appalti di servizi connotati da prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate, debba tenersi conto solo del prezzo dedotto in contratto o dell'effettivo valore economico delle prestazioni, che deve essere quantificato dovendosi anche tener conto della revisione dei prezzi delle opere realizzate e dei servizi erogati.

Al riguardo, il supremo consesso riporta la pronuncia del Consiglio di Stato n. 3874/2020 , in cui si legge che: "L'istituto della revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell'eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell'offerta), e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2295; Id., Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994; Id., Sez. III, 20 agosto 2018, n. 4985); dall'altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 2014 n. 2052; Sez. III 4 marzo 2015 n. 1074; Sez. V 19 giugno 2009 n. 4079).
Al contempo essa è posta a tutela dell'interesse dell'impresa a non subire l'alterazione dell'equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l'arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni
".

Conformemente alla sentenza citata, la giurisprudenza civile e amministrativa maggioritaria esclude che l'istituto della revisione dei prezzi abbia finalità risarcitorie; secondo tale giurisprudenza l'istituto avrebbe la funzione di garantire l'equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito ed evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titolo (sine valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi.

Tale finalità corrisponde alla ratio della previsione normativa, di cui agli artt. 92, co. 3 e 94 co. 2 del d. lgs n. 159/2011, c. d. codice antimafia, della salvezza del valore delle opere eseguite e dei servizi resi, ovvero quella di preservare, per il periodo in cui il contratto d'appalto abbia trovato attuazione, il rispetto del relativo sinallagma, con tutte le relative conseguenze.

In questa prospettiva, l'Adunanza plenaria afferma che "non può mettersi in dubbio che il compenso revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo contrattuale, anzi, che il corrispettivo sia costituito dal prezzo come integrato."

Il supremo consesso precisa che "Proprio in considerazione della delineata ratio della revisione dei prezzi, è conseguenziale che essa svolga una funzione "integrativa" del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l'esatto corrispettivo, rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto."

Al contrario, qualora non si ritenesse applicabile l'istituto della revisione dei prezzi, si rischierebbe che all'esecutore venisse pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall'Amministrazione, il che – si ribadisce - sarebbe contrario alla lettera e alla ratio della norma in esame.

Tale soluzione renderebbe concreto il rischio indicato dalla pronuncia dell'Adunanza plenaria citata n. 23/2020 e cioè il fatto che la Pubblica Amministrazione ne trarrebbe un "ingiustificato arricchimento".

Le esposte argomentazioni hanno indotto la Adunanza plenaria a esprimere i seguenti principi di diritto:
• negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il "valore delle prestazioni già eseguite", da pagarsi all'esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso;
• nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall'applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all'art. 115 d.lgs. n. 163/2006.

Conclusioni

Sulla base di quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa esaminata, si può affermare che l'interdittiva antimafia determina un'incapacità giuridica parziale e temporanea del suo destinatario ad assumere, o a mantenere, la titolarità di diritti soggettivi e interessi giuridici con la P.A., nell'ambito delle tipologie di rapporti giuridici delineate dall'art. 67 del d. lgs n. 159/2011, c.d. codice antimafia.

Tale incapacità è derogata dagli artt. 92, co. 3 e 94 co. 2 del d. lgs n. 159/2011, c.d. codice antimafia, che prevedono che la P.A., a seguito di un recesso da un contratto motivato dall'interdittiva antimafia, debba comunque riconoscere al destinatario della misura interdittiva il valore delle opere eseguite nei limiti dell'utilità conseguita dalla stessa Amministrazione.

Ciò, al fine di garantire l'equilibrio del sinallagma contrattuale per il periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione ed evitare un ingiusto arricchimento in capo alla P.A.

Le norme in esame devono considerarsi eccezionali e quindi, di stretta interpretazione. Conseguentemente, in ragione del dato letterale, deve affermarsi che la clausola di salvaguardia del valore delle opere eseguite si applica solo ai contratti di appalto di servizi, forniture e opere e non alle concessioni, o altre erogazioni di denaro pubblico.

Rispetto ai contratti di appalto di servizi, che seguono una procedura ad evidenzia pubblica e sono caratterizzati da prestazioni standardizzate, il compenso da riconoscere comunque può corrispondere con il prezzo contrattuale pattuito tra le parti, fatta salva sempre la prova contraria da parte della stazione appaltante.

Il prezzo contrattuale deve però essere integrato con l'istituto della revisione dei prezzi, la cui finalità corrisponde alla ratio delle norme in esame, ovvero la salvezza del valore delle opere eseguite.

Per completezza, si aggiunge che la giurisprudenza riportata ha affermato che la posizione dell'appaltatore in ordine all'istituto della revisione dei prezzi ha natura di interesse legittimo.

La giurisprudenza citata ha statuito che: "l'applicazione dell'istituto della revisione prezzi prevede il compimento da parte della Pubblica Amministrazione di un'attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale (…)". Si tratterebbe dell'"esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell'Amministrazione nei confronti del privato contraente" .

Da ciò ne deriva che sarebbe sempre necessaria l'attivazione, su istanza di parte, di un procedimento amministrativo nel quale l'Amministrazione dovrebbe svolgere l'attività istruttoria volta all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale.

Il procedimento dovrebbe concludersi con l'adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l'importo.

Quanto affermato rimane valido anche a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 233/2021, che non ha modificato gli artt. 84, co. 1, 92, co. 3 e 94, co. 2 del d. lgs. 159/2011, c.d. codice antimafia.