Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 31 ottobre e il 4 novembre 2022

di Giuseppe Cassano


Nel corso di questa settima le Corti d'Appello si pronunciano in tema di mutuo fondiario, possesso di beni ereditari, società finanziarie non bancarie e captazione del testatore.
I Tribunali, da parte loro, trattano le materie della perizia contrattuale, del danno non patrimoniale, della locazione (mancato pagamento del canone), della caparra, dei danni da omessa manutenzione delle pubbliche vie e, infine, delle servitù di passaggio.


MUTUO
Mutuo fondiario - Limite di finanziabilità – Superamento - Conseguenze.

(Cc, articoli 1419 e 1424; Dlgs 1 settembre 1993 n. 385, articolo 38)
La Corte d'Appello di Ancona afferma il principio di diritto secondo cui il mutuo fondiario non è un contratto diverso dal mutuo ordinario, rappresentandone una species, con la conseguenza che il superamento del limite di finanziabilità previsto dall'art. 38, II, D.Lgs. n. 385/1993 (TUB) – che costituisce elemento essenziale per l'applicazione della disciplina di privilegio, sostanziale e processuale, per il finanziatore – non determina la nullità del mutuo fondiario e la sua eventuale conversione ex art. 1424 c.c., bensì comporta, in esito alla qualificazione del contratto come ordinario mutuo ipotecario, la mera disapplicazione delle speciali norme di favore previste per il creditore fondiario e la conservazione tanto del mutuo quanto della garanzia ipotecaria.
Una siffatta ipotesi non incide sulla garanzia ipotecaria: la nullità, se fondata, comporta il venire meno della disciplina caratterizzata da una serie di privilegi sostanziali e processuali attribuiti al finanziatore nei mutui fondiari (ad esempio: la facoltà di eleggere domicilio, ai fini dell'iscrizione ipotecaria, presso la propria sede, invece che nella circoscrizione del Tribunale in cui ha sede la conservatoria dei registri immobiliari, il cd. consolidamento breve dell'ipoteca fondiaria, non soggetta a revocatoria fallimentare se iscritta almeno dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza di fallimento del debitore concedente o del terzo datore di ipoteca, l'esenzione dalla revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati dal debitore poi dichiarato fallito, l'esonero dall'obbligo di notificazione previa del titolo esecutivo, la facoltà di proporre o di proseguire il processo esecutivo anche in caso di fallimento del debitore).
Viene così in rilievo il principio generale espresso all'art. 1419 c.c. secondo cui la nullità di singole clausole contrattuali si estende all'intero contratto solo ove l'interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un'esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.
Appello Ancona, sezione I, 31 ottobre 2022 n. 1381

SUCCESSIONE
Beni ereditari – Compossesso – Possesso esclusivo.

Precisa in sentenza la Corte d'Appello di Roma che la detenzione di un bene da parte di un coerede non priva gli altri coeredi (non detentori) del compossesso del bene ereditario in quanto costoro succedono nella stessa situazione possessoria che faceva capo al "de cuius", senza necessità di alcun atto materiale di apprensione.
Al contempo il coerede, il quale dopo la morte del "de cuius" sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria l'interversione del titolo del possesso, attraverso l'astensione del possesso medesimo in termini di esclusività.
Con la precisazione che, a tal fine, non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso comune della cosa, occorrendo altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus".
Poiché, peraltro, tale volontà non può desumersi dal fatto che il coerede abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario, provvedendo (fra l'altro) al pagamento delle imposte e alla manutenzione (sussistendo al riguardo una presunzione "iuris tantum" che egli abbia agito nella qualità e che abbia anticipato le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi), il coerede che invochi l'usucapione ha l'onere di provare che il rapporto materiale con il bene si è verificato in modo da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario.
Allorché un coerede utilizzi ed amministri un bene ereditario, sussiste la presunzione iuris tantum che egli agisca in tale qualità e che anticipi le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi; pertanto, il coerede che invochi l'usucapione ha l'onere di provare il mutamento del titolo del possesso, ossia che il rapporto materiale con il bene si sia verificato in modo da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare un analogo rapporto con il bene ereditario.
Appello Roma, sezione VIII, 2 novembre 2022 n. 6859

SOCIETÀ
Società finanziarie non bancarie – Controlli – Finalità.

(Dlgs 1 settembre 1993 n. 385, articoli 106 e 132)
Osserva la Corte d'Appello di Firenze come l'art. 106 D.Lgs. n. 385/1993 (TUB) imponga, ai fini dell'esercizio dell'attività di concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico, l'iscrizione da parte degli intermediari finanziari nello speciale albo tenuto dalla Banca d'Italia.
Si tratta di una disposizione che ha la funzione preminente di tutelare i risparmiatori e il mercato tramite un controllo rigoroso di quei soggetti che, in quanto autorizzati, svolgono professionalmente attività di prestito di denaro sì che il Legislatore ha introdotto un rigido controllo di tutte le società finanziarie non bancarie per garantire la cd. vigilanza equivalente tra istituti finanziari bancari e non e soprattutto al mirato scopo di assoggettarne a verifica costante la sufficiente patrimonializzazione, funzionale alla tutela dei risparmiatori.
Laddove la concessione dei finanziamenti sia stata svolta in mancanza del requisito richiesto dall'art. 106 TUB, l'attività dovrà considerarsi abusiva e colui che l'ha svolta penalmente perseguibile ai sensi dell'art. 132 TUB, che prevede una pena detentiva (la reclusione da sei mesi a quattro anni e una multa).
Con la precisazione che affinché possa trovare applicazione l'obbligo di cui all'art. 106 TUB è necessario che il soggetto eserciti l'attività di concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico e, quindi, che la stessa sia rivolta a un numero di soggetti indeterminato.
Occorre cioè la prova circa lo svolgimento dell'attività finanziaria in modo professionale nei confronti del pubblico da intendersi nel senso di svolgimento dell'attività in modo organizzato e con strumenti che consentano la concessione di finanziamenti in modo non occasionale rispetto a un numero, non necessariamente vasto, ma potenzialmente indeterminato, di persone.
Precisamente, trattandosi di fattispecie penale delineata come di pericolo presunto, posta a presidio della funzione di controllo delle attività finanziarie, la destinazione al pubblico dell'attività finanziaria ricorre anche quando l'attività sia in concreto destinata a una cerchia ristretta di persone, purché, tuttavia, essa venga rivolta a un numero potenzialmente illimitato di soggetti.
Appello Firenze, sezione II, 3 novembre 2022 n. 2443

SUCCESSIONI
Testamento olografo – Captazione del testatore – Ipotesi.

(Cc, articoli 602 e 624)
La Corte d'Appello di Milano interviene in tema di testamento olografo, ovvero quel testamento che è «scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore» (art. 602 c.c.).
La legge prescrive che il testamento olografo debba essere interamente vergato di mano del testatore anche per impedire che questi, nella confezione del testamento, possa subire illecite ingerenze altrui e manifestare di conseguenza una volontà non formatasi, in tutto o in parte, in maniera libera e spontanea.
È così, qualora nel corpo della disposizione di ultima volontà, anche una sola parola sia di mano altrui e risulti che essa è stata scritta dal terzo durante la confezione del testamento, sciente e consenziente il testatore, il testamento è nullo per intero.
In altri termini, vi la nullità dell'olografo per difetto di autografia, quando ciò che è scritto da altri, anche se su incarico o col consenso del testatore, è parte integrante del testamento, id est della parte del documento cartaceo in cui risulta trascritta la volontà testamentaria del testatore.
Ma la scrittura di mano estranea non determina sempre e comunque nullità dell'intero testamento: se la disposizione di ultima volontà è stata interamente vergata e sottoscritta dal soggetto cui essa si riferisce (testatore) in conformità alla norma dell'art. 602 c.c., il testamento olografo è valido anche se il documento su cui è vergato rechi scritture di mano aliena.
Orbene, l'adita Corte di Milano precisa in sentenza come il principio di diritto secondo cui il rispetto assoluto della volontà del testatore impone che, al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, occorrendo la provata presenza di veri propri mezzi fraudolenti i quali - avuto riguardo all'età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso - siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata (art. 624 c.c.).
La relativa prova, per quanto possa avere natura presuntiva, tuttavia deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l'attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore.
Appello Milano, sezione II, sentenza 3 novembre 2022 n. 3452

CONTRATTO
Perizia contrattuale – Impugnazione – Limiti.

(Cc, articolo 1349; Cpc, articolo 806)
È affermazione di diritto del Tribunale di Napoli quella secondo cui la perizia contrattuale impone che le parti devolvano al terzo, scelto per la particolare competenza tecnica, non la risoluzione di una controversia giuridica, ma la formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva.
Ne consegue che la perizia contrattuale può essere impugnata solo nel caso di errore, dolo o violenza e non anche di manifesta iniquità.
Peraltro, l'errore che può essere fatto valere è solo quello correlato ad un vizio della volontà e non anche quello che incide sulla quantificazione dell'indennizzo liquidato (ove non causato da un'alterata formazione del consenso).
Inoltre, anche nel caso di una manifesta iniquità o erroneità della determinazione dei periti, in caso di perizia contrattuale, non trova applicazione l'art.1349 c.c. sicché al Giudice resta inibita la facoltà di determinare diversamente la prestazione dovuta.
La perizia contrattuale rappresenta quindi una fattispecie a formazione progressiva, costituita: a) dal patto (normalmente una clausola contrattuale) in base al quale le parti prevedono che determinate questioni tecniche, che possano insorgere nell'esecuzione del contratto (o, più in generale, nello svolgimento di un rapporto giuridico) vengano risolte e decise da uno o più soggetti muniti di specifiche conoscenze tecnico-scientifiche, nonchè b) dalla relazione peritale, cioè dall'atto (che le parti si impegnano a considerare vincolante, fatta salva la facoltà di impugnazione per uno dei motivi espressamente previsti) con il quale i periti risolvono il contrasto tecnico insorto tra le parti.
Quest'ultime, dunque, mediante un atto negoziale legittimano l'espletamento di un accertamento, che viene effettuato da terzi ma che comunque è riconducibile alla loro volontà.
La perizia contrattuale è istituto affine, ma al contempo diverso dall'arbitraggio (ex art. 1349 c.c.) e dall'arbitrato (ex artt. 806 s.s. c.p.c.).
Se la previsione del ricorso alla perizia contrattuale impone alle parti di risolvere le questioni tecniche rivolgendosi al giudizio peritale, tuttavia, quando l'ambito della controversia sia più ampio, riguardando aspetti che esulano dal mero accertamento tecnico, il ricorso all'A.G. torna ad essere lo strumento ordinario di tutela.
Tribunale Napoli, sezione XI, 31 ottobre 2022 n. 9608

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Danno non patrimoniale – Risarcimento – Limiti.

(Costituzione, articolo 2; Cc, articoli 2043 e 2059)
Il Tribunale di Potenza rammenta in sentenza il superamento della tradizionale lettura restrittiva dell'art. 2059 c.c., che, secondo una interpretazione consolidata, avrebbe consentito il risarcimento del danno non patrimoniale soltanto nei casi di reato.
Pertanto, ai sensi dell'art. 2059 c.c. è risarcibile non solo il danno non patrimoniale nei casi espressamente previsti dalla legge, ma anche tutti i danni non patrimoniali che conseguono ad una lesione di diritti costituzionalmente garantiti: ciò che caratterizza tale norma e la differenzia dall'art. 2043 c.c. è il requisito della tipicità del danno non patrimoniale, contrapposta alla atipicità dell'illecito aquiliano ex art. 2043 c.c..
Con la precisazione che, nella nuova lettura dell'art. 2059 c.c., i "casi previsti dalla legge" comprendono anche le lesioni dei valori della persona costituzionalmente garantiti, dovendosi far riferimento, ai fini della individuazione dei danni risarcibili, all'art. 2 Cost., che individua gli interessi di rango inviolabile che debbono intendersi tutelati.
Il danno non patrimoniale è, poi, categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate.
Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno.
È compito del Giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.
Al contempo non sono meritevoli di tutela risarcitoria i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale.
Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale.
Tribunale Potenza, 2 novembre 2022 n. 1178

LOCAZIONI
Contratto di locazione – Canone di locazione – Mancato pagamento.

(Cc, articolo 1455; legge 27 luglio 1978 n. 392, articoli 5 e 55)
Sottolinea in sentenza il Tribunale di Roma come, nella locazione, il principale obbligo per il conduttore consista nel pagamento del corrispettivo pattuito per il godimento della cosa locata.
L'inadempimento di tale obbligo costituisce causa di risoluzione del contratto e il locatore può agire in giudizio per sentir dichiarare lo scioglimento del vincolo contrattuale, con conseguente condanna al rilascio del bene locato.
Con un'importante differenza a seconda che la locazione riguardi un immobile a uso abitativo o a uso diverso (locazione ad uso commerciale): nel primo caso trova applicazione l'art. 5 L. n. 392/1978 che determina ex lege, quale motivo di risoluzione, il mancato pagamento del canone di locazione decorsi venti giorni dalla sua scadenza o il mancato pagamento degli oneri accessori, quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone.
In materia di locazione a uso abitativo, dunque, nel caso in cui il conduttore abbia omesso di pagare una o più mensilità del canone locativo (ovvero oneri accessori per un importo superiore a due mensilità di canone), la valutazione della gravità e dell'importanza dell'inadempimento ex art. 1455 c.c., non è rimessa all'apprezzamento discrezionale del Giudice, ma è predeterminata legalmente ex art. 5 e 55 della citata legge del 1978.
Questa valutazione legislativa (relativa alla gravità dell'inadempimento) può subire delle modifiche se il conduttore richieda il termine di grazia per il pagamento ex art. 55 cit.: è prevista la sanatoria, cioè è possibile far degradare l'inadempimento da grave a non grave se il conduttore paga in udienza (sanando la morosità).
In ogni caso, l'omesso versamento del canone locativo alle scadenze pattuite in contratto integra, laddove non giustificato da qualsivoglia motivo, giuridicamente apprezzabile, un fatto idoneo ad alterare l'intera economia del contratto, ovverosia l'equilibrio tra prestazione (del locatore) e controprestazione (del conduttore) costituente espressione del sinallagma contrattuale.
In conclusione, in materia di locazioni a uso abitativo, la norma contenuta nell'art. 5 cit. dispiega la propria efficacia nell'ambito dei rimedi contro le patologie funzionali del contratto e si configura come speciale rispetto a quella posta dall'art. 1455 c.c. in quanto permette al conduttore di adempiere tardivamente.
Tribunale Roma, sezioneVI, 2 novembre 2022 n. 16050

CONTRATTO
Caparra – Inadempimento contrattuale – Conseguenze.

(Cc, articolo 1385)
Il Tribunale di Milano è chiamato a pronunciarsi sulla corretta esegesi dell'art. 1385, II, c.c. secondo cui se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Ne consegue che il legittimo esercizio del recesso in questione presuppone la prova dell'imputabilità all'una o all'altra parte dell'inadempimento, cioè della causa che ha dato luogo all'inattuazione del programma negoziale concordato.
La disciplina del recesso di cui alla riferita disposizione codicistica, in ipotesi di versamento della caparra confirmatoria, alla stregua della disciplina generale in tema di risoluzione per inadempimento, presuppone l'inadempimento colpevole e di non scarsa importanza in relazione all'interesse dell'altro contraente; ne consegue che il Giudice è tenuto ad una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti al fine di stabilire quale di essi abbia fatto venire meno l'interesse dell'altro al mantenimento del negozio.
Precisamente, nell'indagine sull'inadempimento contrattuale da compiersi al fine di stabilire se ed a chi spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l'interesse dell'altro al mantenimento del negozio.
Ancora riguardo alla caparra confirmatoria, regolata dall'art.1385 c.c., una domanda di recesso, ancorché non formalmente proposta, può ritenersi egualmente, anche se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, quando la stessa abbia richiesto la condanna della controparte, la cui inadempienza sia stata dedotta come ragione legittimante la pronunzia di risoluzione del contratto, alla restituzione del doppio della caparra a suo tempo corrisposta quale unica ed esaustiva sanzione risarcitoria di tale inadempienza.
Tribunale Milano, sezione XV spec. mat. impresa, 3 novembre 2022 n. 8642

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Strade pubbliche – Omessa manutenzione – Danni – Responsabilità della Pa.

(Cc, articoli 1227, 2051, 2056 e 2697; Dlgs 30 aprile 1992 n. 285, articolo 14)
Sottolinea il Tribunale di Palermo come la disposizione ex art. 2051 c.c. (danno cagionato da cosa in custodia) sia applicabile alla Pa anche rispetto all'obbligo di manutenzione delle strade e alla tutela della sicurezza dei cittadini, risultando irrilevante la circostanza che le dimensioni dell'infrastruttura siano, o meno, ridotte al punto da consentire una vigilanza costante.
L'eventuale affidamento a soggetti terzi dei compiti di manutenzione delle strade non vale a sottrarre al Comune proprietario la sorveglianza e il controllo sulle strade medesime, e quindi a esonerarlo dalla responsabilità da custodia, posto che in tale ipotesi il contratto d'appalto costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 D.Lgs. n. 285/1992 (Nuovo Codice della Strada).
Allorquando venga in considerazione la responsabilità ex art. 2051 c.c., il criterio generale in materia di riparto dell'onere probatorio sancito dall'art. 2697 c.c. impone al danneggiato di provare l'evento dannoso ed il nesso causale che lega la sua verificazione al bene di pertinenza altrui. Sotto quest'ultimo profilo occorre dimostrare, da un lato, che il fatto dannoso si è sia prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale del bene, o per l'insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni, e, dall'altro, che la cosa, pur combinandosi con l'elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno.
Da parte sua, il custode, per andare esente da responsabilità, deve dare prova del cd. caso fortuito, ovvero dell'esistenza di un fattore estraneo (che può essere rappresentato anche dal fatto del danneggiato) avente, per i suoi caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità, un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra cosa ed evento.
Non solo. La responsabilità del custode può essere, altresì, attenuata dal concorso di colpa del danneggiato, in applicazione dell'art. 1227, I, c.c. richiamato, in tema di responsabilità aquiliana, dall'art. 2056 c.c..
Tribunale Palermo, sezione III, 3 novembre 2022 n. 4461

SERVITÙ
Servitù di passaggio – Esercizio – Estensione.

(Cc, articoli 1064 e 1065)
Osserva in sentenza il Tribunale di Torino come la disciplina relativa all'estensione della servitù di passaggio, e alle modalità di esercizio della stessa (quando non possa essere desunta da un titolo convenzionale), debba ritenersi regolata dalle disposizioni di legge e, dunque, individuata mediante i criteri previsti dall'art. 1064 c.c., secondo cui il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne, e soprattutto dall'art. 1065 c.c., per il quale la servitù è costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente.
Precisamente, il diritto di servitù comprende tutte le connesse facoltà accessorie alla servitù, strettamente collegate al suo contenuto e strumentali al suo esercizio, che non possono esser acquistate, né perdute, se non insieme al contenuto della servitù cui si riferiscono (debbono cioè ritenersi necessarie quelle facoltà senza le quali la servitù non potrebbe essere esercitata e/o potrebbe essere esercitata in maniera differente o con modalità di esercizio ridotte e che, in quanto tali non possono essere sottratte al titolare della servitù; viceversa, non possono ritenersi necessarie quelle facoltà la cui eventuale mancanza arrechi al proprietario del fondo dominante solo scomodità o lieve pregiudizio).
E allora, l'esercizio della servitù di passaggio non può essere limitato al punto da consentire al titolare del fondo dominante l'accesso solo a una porzione del predetto fondo e non anche all'intera ed unica sua proprietà.
Se poi il passaggio si deve stabilire in quella parte per cui l'accesso alla via pubblica è più breve, e riesce di minore danno al fondo sul quale è consentito, esso può essere stabilito anche mediante sottopassaggio, qualora ciò sia preferibile, avuto riguardo al vantaggio del fondo dominante e al pregiudizio del fondo servente.
Al Giudice è demandato il compito di stabilire l'esistenza dell'interclusione del fondo per effetto della mancanza di un qualunque accesso sulla via pubblica e dell'impossibilità di procurarselo senza eccessivo dispendio o disagio (interclusione assoluta), ovvero a causa del difetto di un accesso adatto o sufficiente alle necessità di utilizzazione del fondo (interclusione relativa).
In ogni caso, ai fini della costituzione di una servitù di passaggio in favore di un fondo intercluso, il proprietario di quest'ultimo è tenuto soltanto a provare lo stato di interclusione, spettando poi al Giudice di merito il compito di accertare e determinare in concreto il luogo di esercizio della servitù.
Tribunale Torino, sezione II, 3 novembre 2022 n. 4282

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