Società

L'investitore nelle liti antitrust in Italia deve essere assimilato a un intermediario finanziario

L'attività di finanziamento del contenzioso presenta, a giudizio della Banca d'Italia, molti punti in comune con quella propria degli intermediari finanziari, intesi come soggetti, diversi dalle banche, che esercitano in via professionale, nei confronti del pubblico, la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma

di Simone Gambuto*

In Italia stiamo assistendo ad un serio sviluppo del contenzioso avente ad oggetto il risarcimento del danno antitrust, in particolare di quello che segue l'accertamento di un illecito da parte della Commissione europea o delle Autorità nazionali.

Una crescita fortemente voluta dal legislatore comunitario e nazionale coscienti che, in Europa, il solo enforcement delle autorità pubbliche non esercita sufficiente deterrenza a condotte anticompetitive, vero cancro delle economie liberali.

In parallelo sta anche emergendo un forte interesse di soggetti finanziatori del suddetto contenzioso, disposti a sopportare gli oneri ed i rischi che le vittime di un illecito devono affrontare per ottenere i danni, in via giudiziale o transattiva, in cambio di una remunerazione dell'investimento al buon esito della lite (sotto diverse forme e modalità).

Su questo ultimo fenomeno, è rilevante la chiarezza con la quale la Banca d'Italia ritiene necessaria la supervisione sui c.d. Litigation Fund, al fine di assicurarne uno sviluppo armonico.

L'attività di finanziamento del contenzioso presenta, a giudizio della Banca d'Italia, molti punti in comune con quella propria degli intermediari finanziari, intesi come soggetti, diversi dalle banche, che esercitano in via professionale, nei confronti del pubblico, la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. In questo quadro, molto puntuale è stata la posizione espressa, in un recentissimo convegno organizzato dal centro di ricerca Paolo Ferro-Luzzi di RomaTre, da un'alta dirigente della Banca d'Italia, la quale ha identificato l'attività di finanziamento del contenzioso come riservata, ex art. 106 tub. I fondi di litigation, dunque, per poter finanziare un contenzioso in Italia, dovrebbero possedere una autorizzazione all'esercizio dell'attività di intermediazione.

Ciò vuol dire, ex multis, avere una sede legale e direzione generale situate in Italia; un capitale iniziale versato almeno pari a 2 milioni di euro per gli intermediari che non rilasciano garanzie; o 3 milioni di euro per coloro che esercitano, anche non in esclusiva, l'attività di rilascio di garanzie; il possesso dei requisiti di capacità ed idoneità per gli esponenti aziendali; un oggetto sociale limitato alle sole attività riservate e la sottoposizione ad una penetrante attività di monitoraggio, al fine di garantire una sana e prudente gestione.

Questa impostazione del regolatore italiano appare piuttosto distante dalle esperienze tedesca, dei Paesi Bassi o britannica, ove l'attività non è regolata ed ha registrato uno sviluppo poderoso.

Rimane da chiedersi perché il finanziamento della lite può svolgere un ruolo positivo In Italia, in particolare nel risarcimento danni antitrust. Prendendo inspirazione dall'antitrust americano, il d.lgs 3/2017 traspone una direttiva europea che facilita questo tipo di azioni, ma in "salsa europea": si attribuiscono vantaggi sostanziali e processuali alle vittime dei cartelli, tra i quali, seguendo un principio di efficienza e non duplicazione, quello per cui il giudice civile deve considerare come accertato l'illecito antitrust consacrato in una decisione definitiva delle autorità garante; la presunzione di danno da cartello per la sua intera durata; il termine di prescrizione decorrente solo dal momento in cui la vittima può ragionevolmente comprendere di aver subito un illecito concorrenziale; la responsabilità congiunta e solidale dei cartellisti. Tuttavia, non si arriva sino alla previsione dei c.d. danni punitivi, che premiano le vittime dello sforzo del contenzioso (che pur ha funzioni di efficienza generale), riconoscendo solo misure compensative dell'effettivo danno subito.

Nonostante le sopracitate norme e la giurisprudenza della Corte di giustizia a suo coerente supporto, permangono seri disincentivi all'agire per la tutela dei propri diritti di vittime, anche in caso di cartello di prezzo: l'illecito viene spesso scoperto ed accertato in modo definitivo solo molti anni dopo la sua attuazione, rendendo complesso il reperimento di prove risalenti all'epoca dei fatti; talvolta riguarda prodotti che incidono relativamente poco sul conto economico, e si esita a intraprendere una lite con uno, o più spesso tutti i fornitori, solidalmente responsabili dei danni.

I tempi dei processi e i rischi di soccombenza, comunque esistenti dinanzi a giudici talvolta poco abituati o inclini a relazionarsi con giudicati amministrativi e ad adeguarsi alla legislazione europea, sono sempre tenuti in considerazione, per non parlare dei costi dei consulenti economici e degli avvocati specializzati, che sono vitali per il buon esito del giudizio.

In questo scenario, l'intervento di litigation funds aumenta sensibilmente l'efficienza di sistema. Si pensi, ad esempio, al fatto che, selezionando attentamente l'investimento, esso filtra naturalmente le azioni temerarie, o sprovvisti di prove a supporto, escludendole dal perimetro. Una vittima che si vede rifiutato un finanziamento a conclusione di una attenta due diligence dell'investitore, rifletterà bene prima di intentare una causa per suo conto e a proprio rischio. In secondo luogo, il finanziatore professionale è spesso uno specialista e coadiuvando – in diverse forme e modi – la vittima dell'illecito, riduce la asimmetria informativa tipicamente intercorrente tra cliente e avvocato ed aumenta la "qualità" della causa, e dunque anche le probabilità di una sua chiusura in via transattiva. In terzo luogo, esistono forme di aggregazione di interessi omogenei delle vittime in una unica azione, che conferiscono la possibilità di svolgere una più accurata analisi statistica dei danni anticompetitivi.

L'investimento di terzi nel contenzioso genera tuttavia anche dei rischi, enucleati anche nel recente Rapporto Voss approvato dal Parlamento europeo, legati appunto e soprattutto alla solidità, capacità e visione di periodo dell'investitore finanziario, ed al rischio di un non perfetto allineamento degli interessi della vittima e del finanziatore. Si pensi, inoltre, alla autonomia (di giudizio), indipendenza e fedeltà dell'avvocato a tutela esclusiva degli interessi del cliente, che può non essere più colui che lo retribuisce.

Sarà dunque interessante studiare l'impatto che l'interpretazione della Banca d'Italia avrà sulla attività dei litigation funds in Italia. Da un lato, i costi di capitalizzazione, finanziari e amministrativi, ed i correlati rischi penali, possono rappresentare una seria barriera all'entrata all'ingresso dei fondi di litigation.

Sfruttando una certa libertà di forum shopping tra i vari Paesi europei, e dunque di libertà di radicamento della lite in diverse giurisdizioni, essa può vederci sfavoriti rispetto ad ambienti meno regolati. Dall'altro, proprio la supervisione dell'intermediario può dare alle vittime sufficienti garanzie non solo di finanziamento, ma anche di solidità del partner finanziario della lite, e rappresentare nel lungo periodo un modello attrattivo delle cause più meritevoli.

In altri termini, se da un lato la supervisione può rappresentare un serio disincentivo alla attrazione di investimenti in contenziosi italiani, in particolare dall'estero, dall'altro, soprattutto in questa fase iniziale, può proteggere il nostro sistema di giustizia da comportamenti aggressivi che ne danneggerebbero irrimediabilmente le possibilità di sviluppo nel lungo periodo, creando un clima di fiducia in un importante ed innovativo strumento.

*a cura dell'Avv. Simone Gambuto, partner Nunziante Magrone e Professore di Antitrust Private Enforcement, Università Cattolica di Lille

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